RECENSIONI
Franco Limardi
I cinquanta nomi del bianco
Marsilio, Pag. 392 Euro 17,50
Trovatomi di fronte il libro ho pensato: mi ricorda qualcosa. Infatti, il titolo: fa riferimento, credo, ad un passaggio de Il senso di Smilla della neve dove il protagonista ci istruisce su una 'tradizione' esquimese che abbisogna di cinquanta parole diverse per indicare sempre la stessa cosa: la neve.
Per fortuna i contenuti sono diversi (dico fortuna perché il giallo di Peter Hoeg non era tutto 'sto granché e poi perché ve la sentireste di leggere un libro che ne scimmiotta un altro?).
La vicenda del noir di Limardi all'inizio è un po' ingarbugliata, nel senso che si fa fatica a posizionare i vari personaggi (quelli più 'tosti' sono essenzialmente quattro) poi l'intreccio, come si dice in questi casi, si dipana e il libro prende quota.
Qua ci sono poliziotti onesti e poliziotti corrotti, delinquenti senza un briciolo di cuore e delinquenti schiacciati dagli ingranaggi della società e che tentano la via del riscatto, zoccole e magnaccia, onorevoli puttanieri, modelle e star system (un po' come il governo Berlusconi) e c'è una ragazza improvvisamente scomparsa. Semmai la questione è un'altra: ma non ricalca moduli già consolidati? Ma la via del noir deve essere necessariamente su certi binari? Ma è davvero questa la letteratura che poi inevitabilmente declina nei passaggi televisivi? E a questa narrativa che i ragazzi coattelli di periferia si rifanno quando vanno in giro portandosi dietro le nuove armi dell''immaginario giovanilistico'? (vedere per cortesia la sinagoga a firma Adriano Angelini 'Da 'Romanzo criminale' (e 'Gomorra') agli stiletti dei nuovi bulletti. Quando la letteratura (e il cinema) sono cattivissimi alunni').
Ci vorrebbe un saggio per rispondere a tutte le domande. Si può azzardare a dire qualcosa che non sia troppo scontato: c'è davvero il rischio di un'omologazione (i segni già ci sono e pure vistosi) ed il pericolo che i fatti di cronaca, nella loro successione scandente, fagocitino la fantasia dello scrittore. Come a dire che non è più chi scrive a 'ordinare' la matassa sociologica, ma è l'incombenza della realtà a dettare le leggi del richiamo.
Le edizioni verdenero per esempio stanno tentando la carta della denuncia sociale... e potrebbe essere una soluzione (potrebbe) o forse qualcun altro tentare la carta dell'ibrido letterario (lo so, citare Er pasticciaccio... di Gadda sembrerebbe pura provocazione, provocazione per chi scrive ovvio, ma non sembri però troppo azzardato). Insomma, qualcosa s'ha da fare se no 'sto genere noir che tanto amiamo ce lo ritroviamo asfittico e senza più energie.
Limardi, da buon artigiano, come un brandy di tanti anni fa, sa creare un'atmosfera (tanta neve, tanto freddo, un po' di nebbia ed un clima che ti farebbe pensare a Simenon se non ci fosse uno scarto temporale e quindi generazionale che crea il 'gap') e la vicenda ha un che di risoluto (vorrei vedere, visto che parliamo comunque di noir) e di fascinoso.
Ma insomma... che fine ha fatto baby Jane?
di Alfredo Ronci
Per fortuna i contenuti sono diversi (dico fortuna perché il giallo di Peter Hoeg non era tutto 'sto granché e poi perché ve la sentireste di leggere un libro che ne scimmiotta un altro?).
La vicenda del noir di Limardi all'inizio è un po' ingarbugliata, nel senso che si fa fatica a posizionare i vari personaggi (quelli più 'tosti' sono essenzialmente quattro) poi l'intreccio, come si dice in questi casi, si dipana e il libro prende quota.
Qua ci sono poliziotti onesti e poliziotti corrotti, delinquenti senza un briciolo di cuore e delinquenti schiacciati dagli ingranaggi della società e che tentano la via del riscatto, zoccole e magnaccia, onorevoli puttanieri, modelle e star system (un po' come il governo Berlusconi) e c'è una ragazza improvvisamente scomparsa. Semmai la questione è un'altra: ma non ricalca moduli già consolidati? Ma la via del noir deve essere necessariamente su certi binari? Ma è davvero questa la letteratura che poi inevitabilmente declina nei passaggi televisivi? E a questa narrativa che i ragazzi coattelli di periferia si rifanno quando vanno in giro portandosi dietro le nuove armi dell''immaginario giovanilistico'? (vedere per cortesia la sinagoga a firma Adriano Angelini 'Da 'Romanzo criminale' (e 'Gomorra') agli stiletti dei nuovi bulletti. Quando la letteratura (e il cinema) sono cattivissimi alunni').
Ci vorrebbe un saggio per rispondere a tutte le domande. Si può azzardare a dire qualcosa che non sia troppo scontato: c'è davvero il rischio di un'omologazione (i segni già ci sono e pure vistosi) ed il pericolo che i fatti di cronaca, nella loro successione scandente, fagocitino la fantasia dello scrittore. Come a dire che non è più chi scrive a 'ordinare' la matassa sociologica, ma è l'incombenza della realtà a dettare le leggi del richiamo.
Le edizioni verdenero per esempio stanno tentando la carta della denuncia sociale... e potrebbe essere una soluzione (potrebbe) o forse qualcun altro tentare la carta dell'ibrido letterario (lo so, citare Er pasticciaccio... di Gadda sembrerebbe pura provocazione, provocazione per chi scrive ovvio, ma non sembri però troppo azzardato). Insomma, qualcosa s'ha da fare se no 'sto genere noir che tanto amiamo ce lo ritroviamo asfittico e senza più energie.
Limardi, da buon artigiano, come un brandy di tanti anni fa, sa creare un'atmosfera (tanta neve, tanto freddo, un po' di nebbia ed un clima che ti farebbe pensare a Simenon se non ci fosse uno scarto temporale e quindi generazionale che crea il 'gap') e la vicenda ha un che di risoluto (vorrei vedere, visto che parliamo comunque di noir) e di fascinoso.
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