CLASSICI
Alfredo Ronci
Il lavoro distruttivo del fascismo: “L’uomo di Camporosso” di Guido Seborga.
Era stato l’amore per la Riviera Ligure a convincere il giovane Guido Hess (1909-1990), nato a Torino e di famiglia ebraica, a prendere come pseudonimo letterario il cognome Seborga, legato a un paesino vicino a Bordighera, che Guido considerava il suo vero luogo d’origine.
Queste sono le parole iniziali dedicate appunto a Guido Seborga in un sito di personaggi da recuperare. Naturalmente tutto vero e ancora di più se si dà un’occhiata alle altre notizie e che ce lo propongono come attivissimo intellettuale che, a parte i pochi romanzi che ha scritto, ha dedicato tutta la sua vita ad un’attività giornalistica che in breve tempo lo porterà anche alla direzione dell’Avanti.
Una cosa però il sito lo riconosce: Seborga è stato uno scrittore dimenticato, i suoi libri, che hanno avuto discreto successo a partire dalla fine degli anni quaranta, non sono stati mai più ripubblicati e su di lui ovviamente, è caduto il silenzio.
Francamente non sappiamo di preciso come mai questa cosa è successa, ma considerando che soprattutto in Italia certe cose succedono (potremmo portare i nomi di decine e decine di nomi e tra questi anche qualcuno di spessissimo valore) il nostro ruolo allora diventa quello di riscattare certe figure altrimenti destinate all’oblio.
I romanzi di Seborga, soprattutto quelli del primo periodo (lo ricordiamo ancora, fine anni quaranta e quasi tutti gli anni cinquanta) raccontano di un periodo che giustamente faceva parte dell’intellettualismo più pronto ed audace: quello del fascismo e immediatamente gli anni successivi.
Il figlio di Caino per esempio, del 1949, narra l’evoluzione drammatica della lotta partigiana in Liguria durante gli anni del fascismo (lui, non lo abbiamo detto, ma lo si può capire dal sito di presentazione che abbiamo riportato, era stato partigiano, infatti partecipa alla Resistenza nelle Brigate Matteotti), mentre L’uomo di Camporosso, il libro che andiamo valutando, del 1948, quindi precedente, riporta la vita, gli amori ma anche le disavventure di Quinto, uno scaricatore di porto che vive una vita elementare e normalissima nella Liguria della fine degli anni trenta.
Una vita che si comprende benissimo dai pensieri segreti di Quinto: Infatti c’erano troppi sacchi per gli uomini, c’erano troppi bimbi per i sacchi. Perché, se avesse avuto ancora dei bimbi con la moglie, non era sicuro di trovare abbastanza sacchi da trasportare per nutrirli; perché gli uomini erano pochi in confronto ai sacchi e perciò non avevano mai tempo di pensare a loro stessi, di sviluppare l’intelligenza, di capire ciò che avveniva nel mondo. Ma lui intanto non sapeva cosa volesse dire il prete con quella strana parola: “generare”.
Con poche ma efficaci parole, Seborga ci fa capire com’è l’uomo: intuisce che c’è qualcosa di sbagliato in quello che fa, ma nello stesso tempo non ha la forza necessaria per ribaltarlo.
Ma ad un certo punto succede qualcosa che in qualche modo lo rinfranca: pur sposato, comincia un’avventura sentimentale con la vicina di casa, anch’essa sposata, ma il cui marito è impegnato a lavorare in Piemonte e ogni tanto viene a trovarla.
Anche nei confronti delle donne ha un atteggiamento diviso: Da ragazza non era così, non era così quando insieme passeggiavano per i prati e le colline tenendosi per mano e abbracciandosi all’ombra dei cespugli. Disse alla donna: “se stai buona non ti picchio”. E fu stupito della frase che gli era sgorgata istintivamente dal cuore, come un diritto acquisito da epoche remote.
E ancora: Immagine paurosa restava nel pensiero di Quinto, la moglie. Non rifletteva sui figli; questi erano suoi per natura. Ignorava le complicazioni sofistiche della legge. La sua mente si fermava lì.
Poi però arriverà il riscatto anche se a costo di grandi sofferenze. Dice la seconda di copertina del libro: Spesso dimentichiamo che esistono uomini esclusi da ogni forma di vita civile dei quali ignoriamo o vogliamo ignorare in sede artistica e umana i sogni, le aspirazioni il modo di vivere. Nel momento in cui la polemica si fa più serrata, è giusto che un narratore (…) si rivolga a queste persone dimenticate.
Quinto sa di essere una persona dimenticata, una persona che chiede anche aiuto agli altri (si confida soprattutto col marito della sua amante), ma che poi, senza grosse diramazioni sociali, sa anche scegliere il momento più adatta per sopravvivere.
L’uomo di Camporosso è un bel libro, scritto con un senso poetico non indifferente. E Guido Seborga un autore da riscoprire. Nonostante quello che dice qualche sito.
L’edizione da noi considerata è:
Guido Seborga
L’uomo di Camporosso
Mondadori editore
Queste sono le parole iniziali dedicate appunto a Guido Seborga in un sito di personaggi da recuperare. Naturalmente tutto vero e ancora di più se si dà un’occhiata alle altre notizie e che ce lo propongono come attivissimo intellettuale che, a parte i pochi romanzi che ha scritto, ha dedicato tutta la sua vita ad un’attività giornalistica che in breve tempo lo porterà anche alla direzione dell’Avanti.
Una cosa però il sito lo riconosce: Seborga è stato uno scrittore dimenticato, i suoi libri, che hanno avuto discreto successo a partire dalla fine degli anni quaranta, non sono stati mai più ripubblicati e su di lui ovviamente, è caduto il silenzio.
Francamente non sappiamo di preciso come mai questa cosa è successa, ma considerando che soprattutto in Italia certe cose succedono (potremmo portare i nomi di decine e decine di nomi e tra questi anche qualcuno di spessissimo valore) il nostro ruolo allora diventa quello di riscattare certe figure altrimenti destinate all’oblio.
I romanzi di Seborga, soprattutto quelli del primo periodo (lo ricordiamo ancora, fine anni quaranta e quasi tutti gli anni cinquanta) raccontano di un periodo che giustamente faceva parte dell’intellettualismo più pronto ed audace: quello del fascismo e immediatamente gli anni successivi.
Il figlio di Caino per esempio, del 1949, narra l’evoluzione drammatica della lotta partigiana in Liguria durante gli anni del fascismo (lui, non lo abbiamo detto, ma lo si può capire dal sito di presentazione che abbiamo riportato, era stato partigiano, infatti partecipa alla Resistenza nelle Brigate Matteotti), mentre L’uomo di Camporosso, il libro che andiamo valutando, del 1948, quindi precedente, riporta la vita, gli amori ma anche le disavventure di Quinto, uno scaricatore di porto che vive una vita elementare e normalissima nella Liguria della fine degli anni trenta.
Una vita che si comprende benissimo dai pensieri segreti di Quinto: Infatti c’erano troppi sacchi per gli uomini, c’erano troppi bimbi per i sacchi. Perché, se avesse avuto ancora dei bimbi con la moglie, non era sicuro di trovare abbastanza sacchi da trasportare per nutrirli; perché gli uomini erano pochi in confronto ai sacchi e perciò non avevano mai tempo di pensare a loro stessi, di sviluppare l’intelligenza, di capire ciò che avveniva nel mondo. Ma lui intanto non sapeva cosa volesse dire il prete con quella strana parola: “generare”.
Con poche ma efficaci parole, Seborga ci fa capire com’è l’uomo: intuisce che c’è qualcosa di sbagliato in quello che fa, ma nello stesso tempo non ha la forza necessaria per ribaltarlo.
Ma ad un certo punto succede qualcosa che in qualche modo lo rinfranca: pur sposato, comincia un’avventura sentimentale con la vicina di casa, anch’essa sposata, ma il cui marito è impegnato a lavorare in Piemonte e ogni tanto viene a trovarla.
Anche nei confronti delle donne ha un atteggiamento diviso: Da ragazza non era così, non era così quando insieme passeggiavano per i prati e le colline tenendosi per mano e abbracciandosi all’ombra dei cespugli. Disse alla donna: “se stai buona non ti picchio”. E fu stupito della frase che gli era sgorgata istintivamente dal cuore, come un diritto acquisito da epoche remote.
E ancora: Immagine paurosa restava nel pensiero di Quinto, la moglie. Non rifletteva sui figli; questi erano suoi per natura. Ignorava le complicazioni sofistiche della legge. La sua mente si fermava lì.
Poi però arriverà il riscatto anche se a costo di grandi sofferenze. Dice la seconda di copertina del libro: Spesso dimentichiamo che esistono uomini esclusi da ogni forma di vita civile dei quali ignoriamo o vogliamo ignorare in sede artistica e umana i sogni, le aspirazioni il modo di vivere. Nel momento in cui la polemica si fa più serrata, è giusto che un narratore (…) si rivolga a queste persone dimenticate.
Quinto sa di essere una persona dimenticata, una persona che chiede anche aiuto agli altri (si confida soprattutto col marito della sua amante), ma che poi, senza grosse diramazioni sociali, sa anche scegliere il momento più adatta per sopravvivere.
L’uomo di Camporosso è un bel libro, scritto con un senso poetico non indifferente. E Guido Seborga un autore da riscoprire. Nonostante quello che dice qualche sito.
L’edizione da noi considerata è:
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L’uomo di Camporosso
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