RECENSIONI
Sergej Dovlatov
Il libro invisibile
Sellerio, Pag.184 Euro 10,00
Stiamo ormai assistendo ad una decisa democristianizzazione della politica, ed il nuovo Partito Democratico fa la parte del leone. Altrimenti non si spiegherebbe la "retata simil nazista" a danno dei rumeni dopo l'episodio della signora romana violentata e poi uccisa. Altrimenti non si spiegherebbe l'inciucio elettorale tra Veltroni e Berlusconi e ancora l'alt "capitolino" (tutto neo-democratico) al registro per le unioni civili (e stendiamo un velo pietoso sulle dichiarazioni dalemiane sui matrimoni gay e sulle sue impellenti necessità confessionali).
Qualcuno dirà: che c'entra con Dovlatov?
C'entra (e non è uno slogan casiniano). In questo senso: quando credi d'aver combattuto per ideali sensati e poi ti accorgi all'improvviso che i tuoi compagni di viaggio e di ideologia non lo sono più per evidenti opportunità politiche, la frattura che si crea determina una rivalutazione anche dolorosa di tutto il resto.
Il libro parla di questo e non solo: parla di un uomo che crede nella bontà della sua vocazione letteraria (un consiglio agli emergenti che vogliono "emergere": anche un grande come Dovlatov – perché la grandezza letteraria di Dovlatov ormai è un dato oggettivo – è stato "rifiutato" un centinaio di volte, prima di aver ricevuto il primo contrattino... quindi... molta pazienza, come diceva uno slogano caroselliano degli anni '70), ma soprattutto crede nella coerenza e nell'onestà d'intenti. Un uomo che crede nelle proprie capacità di discernimento: - Forse. Non so proprio dove trovino i loro soggetti gli scrittori sovietici. Tutto quello che ci circonda non è pubblicabile. (pag.44). E crede nella concordanza delle sue opinioni: Eravamo atei naturali, fisiologici. Così ci avevano educato. Se anche parlavamo di Dio, era sempre una posa, una civetteria, una concessione. L'idea di Dio ci sembrava un sintomo di particolare impellenza creativa. L'emblema supremo dell'opulenza artistica. Dio diventava qualcosa di simile a un positivo personaggio letterario (pag.41).
Il libro invisibile sta a significare proprio questo, una sorta di autobiografica resistenza ad un mondo ed ad una impalcatura censoria di stato che affermava che il talento era sospetto. La genialità terrorizzava. La moneta più gradita era una moderata competenza letteraria. Ma siamo davvero sicuri che Dovlatov parlasse della Russia pre-muro?
Ahimé lo scrittore ci ha lasciati troppo presto, aveva solo 49 anni quando è morto. Chissà cosa avrebbe detto della Russia di Putin (lo intuiamo però), e della situazione in genere, lui così ligio ad un'idea dell'esistenza alleggerita di sovrastrutture ideologiche, non per questa priva di una saldezza per nulla astratta.
Il suo essere russo fuori dalla Russia, ma mai lontano sentimentalmente dai luoghi della sua crescita, non gli ha impedito di esternare la sua essenza più intima. Dice nel libro: Non so chi sono. Scrivo racconti... Una coscienza ce l'ho, questa è una certezza. Ne percepisco la dolorosa presenza. Mi rattrista pensare che in futuro il nostro pianeta si raffredderà.
Potremmo aggiungere a questa considerazione lucida e commovente che il raffreddamento di cui parla lo scrittore russo ormai lo si avverte in molti campi (nonostante il riscaldamento ambientale, ci verrebbe da ironizzare) "sposato" ad un opportunismo becero e sdilinquente. Democristiano, come dicevamo all'inizio.
Dovlatov dovrebbe essere letto nelle scuole per la sua coerenza. Perché chi si tiene lontano dai dogmi del potere rifugge anche dal mero calcolo. Bella lezione di vita no? Meglio ancora della provvidenza manzoniana.
di Alfredo Ronci
Qualcuno dirà: che c'entra con Dovlatov?
C'entra (e non è uno slogan casiniano). In questo senso: quando credi d'aver combattuto per ideali sensati e poi ti accorgi all'improvviso che i tuoi compagni di viaggio e di ideologia non lo sono più per evidenti opportunità politiche, la frattura che si crea determina una rivalutazione anche dolorosa di tutto il resto.
Il libro parla di questo e non solo: parla di un uomo che crede nella bontà della sua vocazione letteraria (un consiglio agli emergenti che vogliono "emergere": anche un grande come Dovlatov – perché la grandezza letteraria di Dovlatov ormai è un dato oggettivo – è stato "rifiutato" un centinaio di volte, prima di aver ricevuto il primo contrattino... quindi... molta pazienza, come diceva uno slogano caroselliano degli anni '70), ma soprattutto crede nella coerenza e nell'onestà d'intenti. Un uomo che crede nelle proprie capacità di discernimento: - Forse. Non so proprio dove trovino i loro soggetti gli scrittori sovietici. Tutto quello che ci circonda non è pubblicabile. (pag.44). E crede nella concordanza delle sue opinioni: Eravamo atei naturali, fisiologici. Così ci avevano educato. Se anche parlavamo di Dio, era sempre una posa, una civetteria, una concessione. L'idea di Dio ci sembrava un sintomo di particolare impellenza creativa. L'emblema supremo dell'opulenza artistica. Dio diventava qualcosa di simile a un positivo personaggio letterario (pag.41).
Il libro invisibile sta a significare proprio questo, una sorta di autobiografica resistenza ad un mondo ed ad una impalcatura censoria di stato che affermava che il talento era sospetto. La genialità terrorizzava. La moneta più gradita era una moderata competenza letteraria. Ma siamo davvero sicuri che Dovlatov parlasse della Russia pre-muro?
Ahimé lo scrittore ci ha lasciati troppo presto, aveva solo 49 anni quando è morto. Chissà cosa avrebbe detto della Russia di Putin (lo intuiamo però), e della situazione in genere, lui così ligio ad un'idea dell'esistenza alleggerita di sovrastrutture ideologiche, non per questa priva di una saldezza per nulla astratta.
Il suo essere russo fuori dalla Russia, ma mai lontano sentimentalmente dai luoghi della sua crescita, non gli ha impedito di esternare la sua essenza più intima. Dice nel libro: Non so chi sono. Scrivo racconti... Una coscienza ce l'ho, questa è una certezza. Ne percepisco la dolorosa presenza. Mi rattrista pensare che in futuro il nostro pianeta si raffredderà.
Potremmo aggiungere a questa considerazione lucida e commovente che il raffreddamento di cui parla lo scrittore russo ormai lo si avverte in molti campi (nonostante il riscaldamento ambientale, ci verrebbe da ironizzare) "sposato" ad un opportunismo becero e sdilinquente. Democristiano, come dicevamo all'inizio.
Dovlatov dovrebbe essere letto nelle scuole per la sua coerenza. Perché chi si tiene lontano dai dogmi del potere rifugge anche dal mero calcolo. Bella lezione di vita no? Meglio ancora della provvidenza manzoniana.
di Alfredo Ronci
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