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RECENSIONI

Ron Butlin

Il suono della mia voce

Socrates edizioni, Pag. 128 Euro 10,00
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Irvine Welsh ci svela un segreto: tutto il mondo (editoriale) è paese. Ho scoperto per caso questo libro l'estate scorsa – scriveva nel 2002 – È stato ripubblicato di recente dalla Black Ace Books, una minuscola casa editrice di Arbroath, Scozia. A mio giudizio, questo romanzo è una delle più grandi opere di narrativa pubblicate in UK negli anni Ottanta, e resto tuttora alquanto stupito del modo in cui è stato trascurato.

Cause? Secondo Welsh (cfr. prefazione), la sua natura di critica "implacabile e senza compromessi" nei confronti del suo tempo.

Scopriamo allora questo piccolo caso letterario scozzese del 1987, opera di un poeta scozzese contemporaneo. È la storia di Morris Magellan, dirigente d'una grande azienda di biscotti "patriottici". Lui ha una vita felice e realizzata (moglie, due figli, una bella casa) e tuttavia non basta. C'è un demone lontano nel tempo che tormenta e macchia le sue giornate. Probabilmente, stando alla verità romanzesca, quel demone s'incarna alla morte del padre: una morte mai accettata e mai compresa. Il demone di Magellan è una terribile e simbolica dipendenza dall'alcol. Simbolica perché, a quanto pare, il modello di realizzazione dell'individuo incarnato dal protagonista è tutt'altro che infallibile. La famiglia, una buona professione e la stabilità economica non bastano a curare le ferite dell'anima. Morris si ubriaca per sentirsi normale in mezzo alla gente. L'alcol non è un problema, dice: è la soluzione. Dissolve tutte le singole parti in una sola. Un solvente universale. Un oceano (pag. 35). E come Magellano, naviga in questo oceano: convinto di saper tenere a bada l'alcol, convinto di saperlo arginare, di poterlo dominare. Chi dominava finirà dominato. Lentamente, la coscienza e la consapevolezza slitteranno via. Senza dissolversi, cominceranno a essere intermittenti.

Nel libro, Morris si rivolge a sé stesso in seconda persona. L'impatto è decisamente estraniante: Ogni giorno, quasi ogni momento, devi riprendere la lotta dal principio – la lotta per essere te stesso. Continui a provarci, come un attore che impara la sua parte, nella speranza che alla fine, se ti ci metti d'impegno, riuscirai a recitare il ruolo di Morris Magellan in modo convincente. Col tempo speri di convincere persino te stesso (pag. 31), scrive. Ma la prima persona ritornerà, come scoprirete, nel frangente determinante e conclusivo: quando la vergogna per un'autodistruzione che rischia di diventare distruzione si farà troppo grande per essere tollerata, e il demone regalerà l'ultima apparizione dell'antica ombra.

Sempre Welsh: Ogni epoca esercita la propria egemonia culturale, e la Gran Bretagna thatcheriana lo ha fatto più rigorosamente che mai. L'opera di Butlin era forse troppo avanti per l'epoca; la sua critica incessante, anche se implicita, di un periodo spiritualmente vuoto e socialmente conformista è di gran lunga più destabilizzante rispetto a molte opere di narrativa più celebrate e apertamente polemiche che la Scozia abbia prodotto in quel periodo.

Ne prendiamo atto: si direbbe che la lettura profonda dello scrittore di Trainspotting abbia colpito nel vivo, oltremanica, suggerendo qualcosa che sarebbe restato, per noi mediterranei, altrimenti indecifrabile. Avrei considerato questo libro un prepotente studio sulle influenze e sulle nefaste conseguenze degli alcolici; uno dei migliori romanzi sulla dipendenza dalla bottiglia, e sull'impatto dell'alcol nei pensieri di un individuo; una impressionante descrizione dell'annichilimento di un'identità, e di un ruolo, sotto l'egida di una droga.

Welsh sostiene che quella droga fosse un effetto di un sistema sociale sbagliato, fondato su un ingiusto e disumano culto dell'immagine, poggiato su lavori intellettualmente degradanti: in effetti, scoprire colori e slogan più adatti per le etichette dei biscotti, studiando al contempo strategie per pubblicizzarli a dovere in tutta una nazione, non dev'essere particolarmente edificante.

E tuttavia Welsh rischia, "massimizzando" la portata dell'opera, di smarrirne il nucleo vitale. Il nucleo vitale è una mancata elaborazione di un lutto grave: il libro principia dal racconto – lungo – del giorno della morte del padre, dell'alcol che il "tu" cui si rivolge il narratore sembrava non sentire, della donna che non riusciva ad avere, quando avrebbe voluto. Quella ferita, mai rimarginata, sanguina per tutta l'opera. E non è un caso, allora, se la stessa fallimentare dinamica erotica si verificherà anche con la moglie, a un passo dalla fine, e il protagonista si ritroverà, riverso in un catino, a svuotarsi da qualcosa che nemmeno ricordava di avere bevuto.

Il suono della mia voce è quello della prima persona singolare che infine apparirà e tornerà ad avere controllo, con sacrosanto tempismo. È un suono che Morris aveva dimenticato, un suono che aveva smarrito. Quello che tutti gli alcolisti dovrebbero ricordare, quando cominciano a confondere realtà e sogni, fantasie e ricordi. Quando iniziano a fare discorsi che non portano da nessuna parte, nell'incredulità generale; e quando i bambini osservano e ascoltano tutto.

Un must per chi sente di avere bisogno di leggere un libro prima di andare a prendere un palo – metaforicamente e non solo – a una certa velocità: Il suono della mia voce sarà praticamente una cura disintossicante. L'alcol tornerà a essere una presenza normale nella sua esistenza: percepito come il tè, diversivo piacevole, una volta ogni tanto, in buona compagnia.

Più di una curiosità per chi è appassionato dei narratori scozzesi del Novecento (da Trocchi a Welsh, fino a Burnside), sicuramente necessario per quegli scrittori che vogliano apprezzare fino a che punto può tenere una narrazione in seconda persona singolare. La risposta è convincente.





di Gianfranco Franchi


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