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Il Paradiso degli Orchi
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CLASSICI

Alfredo Ronci

Il tempo incrostato dell’insegnante: “Il supplente” di Angelo Fiore.

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Aveva ragione Geno Pampaloni quando, agli albori degli anni ’80, si permetteva di alludere alla scarsa conoscenza di Angelo Fiore, tanto che, concludendo il suo intervento, nel caso di un abbaglio avrebbe detto, manzonianamente, che, sullo scrittore, non  s’è fatto apposta.
E’ vero, la critica di allora, ma anche i lettori più audaci, non seppero vedere niente di personale e audace nelle storie di Angelo Fiore, nonostante alcuni suoi romanzi, dai cultori di lettere più robusti e preparati, fossero indicati come veri e propri eventi del panorama del novecento italiano.
Ma noi siamo qui (nonostante sappiamo con certezza che nemmeno la nostra volenterosa citazione può restituire il maltolto allo sfortunato scrittore) a rimediare a certe manchevolezze e ad indicare alcuni appunti degni della migliore tradizione letteraria.
Angelo Fiore era siciliano ma della sicilianità scontata e politicante nulla vi è. Mafia, delitti d’onore e cadaveri bagnati di sangue nelle sue storie non v’è traccia, semmai un repertorio di protagonisti che hanno tutti, o quasi tutti, straordinarie capacità intellettuali.
Il supplente ne è un esempio: Attilio Forra è un uomo insoddisfatto ed irrisoluto. Per cercare una via di svolta decide di abbandonare il suo impiego e di recarsi in un paese sperduto della Sicilia a fare il supplente d’inglese in una scuola.
Qui l’incontro con i colleghi e soprattutto con la gente del posto è meschino e improduttivo tanto da costringerlo a rivedere le sue mire ma alimentando la sua inadeguatezza e coltivando le sue velleità di filosofo.
Ma anche gli altri sembrano non avere particolari delicatezze nei suoi confronti: Sembra che lei non abbia contezza dei confini tra lecito e illecito, tra il reale e l’assurdo. In lei è un fervore che vieta di misurare gli effetti di ciò che fa o dice; più che fervore, lo direi l’abito mentale e spirituale del veterano, il veterano di quella tale guerra. Si voltò, e domandò brusco; Dov’è vissuto, fino ad oggi?.
In realtà le impressioni dei suoi vicini fanno poco, anzi, alimentano una sorta di alienazione convinta, tanto che anche le attività di ogni giorno assumono rilevanza di altro tipo: D’altronde, una preparazione salda egli non l’aveva; e non avrebbe potuta acquistarla a causa di quella sua speranza, dell’attesa di un avvenimento metafisico.
Su Angelo Fiore i pochi critici più avveduti hanno cercato di dargli delle radici che lo ponessero giustamente su altre strade, radici ovviamente di carattere letterario: da Tozzi, al Pizzuto di Signorina Rosina, a Musil e ovviamente, ma con la sicilianità, come già detto in precedenza, non c’entra nulla, Pirandello. Ma si è giustamente notato che pur affibbiandogli una famigliarità così prestigiosa e concreta, il suo stile e la sua scrittura così elegante, precisa, ma in alcune situazione anche sfuggente, lo pongono in uno spazio tutto suo, di rango, ma visto come sono andate le cose, anche di esiliato di lusso.
Aveva ragione sempre Geno Pampaloni a dire che la sigla poetica di Fiore fosse da cercare proprio nel contrasto tra la piattezza della realtà apparente e il fiato metafisico che la sommuoveva. Un fiato metafisico che l’ha privato della giusta considerazione e che ha fatto di lui un perfetto sconosciuto (nel migliore dei casi, un semi-sconosciuto) anche ai lettori più coraggiosi e determinati.
Un consiglio ai più: va bene anche Camilleri (non sia mai), ma se volete un siciliano privo di connotazioni ladresche, Angelo Fiore può davvero valere una messa.
Vivrai ignaro di tutto. Noi viviamo, ma tu non puoi partecipare alla nostra vita e ai nostri interessi, sentire le nostre sensazioni.



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