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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Gianluca Massimini

Il tempo passa, le cose cambiano

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Come accade spesso in amore, quando in una coppia la passione si fa da parte per lasciare il posto all'affetto dopo tanti anni di convivenza, anche tra Lisa e Paolo con l'andare del tempo erano cambiate molte cose e dopo i primi momenti folgoranti in cui l'ardore l'aveva fatta da padrone, rallegrando e conducendo lietamente i loro giorni senza freni e ipocrisie, quel fuoco esuberante e mai sazio e che mai trovava pace a poco a poco s'era spento, lasciandoli solo con la gioia di rimestare ogni tanto col bastone tra le ceneri crude. Né erano valsi a ritrovar l'appetito la volontà e l'impegno più strenuo, spesso evocati, ma poco era bastato per capire che nulla ormai nella vita d'ogni giorno tra loro s'accendeva, li prendeva, li faceva ardere. In tale dimessa e triste condizione s'eran fatti avanti allora, un po' alla volta, la noia e gli esami di coscienza, le più nere riflessioni e i giudizi severi dell'uno contro l'altro, assai poco confortanti, e non ultima una sorda insoddisfazione che aveva finito col minare fino al fondo la stabilità di quella unione. Eran giunti così, ancora giovani e con buona parte della vita davanti, al punto in cui entrambi, mal sopportando quei giorni tutti uguali e infausti e del tutto privi di entusiasmo, mal si sopportavano, pur volendosi bene, e se lo dicevano apertamente, e a poco a poco, ma senza rimedio, avevano iniziato ad ignorarsi. Pur amando la famiglia e gli obblighi che essa comporta, anche per il fatto che fosse stata santificata negli anni dall'arrivo di un figlio, avevano constatato con tristezza come quel loro sodalizio fosse ormai divenuto un puro gioco delle parti, in cui ogni figura era priva di reale consistenza, tanto che nessuno dei coniugi in verità riconosceva più l'altro come tale. E a tal riguardo, quando vi pensavano, "così doveva essere", si dicevano, oppure "era scritto", senza troppi problemi, e così vivevano, trascurando la cosa, anche se entrambi in cuor loro ne soffrivano.

Lisa, per esempio, dopo anni d'amore e di trasporto autentico verso Paolo, di cui aveva agognato all'eccesso l'affetto e l'attenzione più completi, cercando per questo di compiacerlo e assecondarlo oltre ogni buon limite della decenza, nei discorsi fatti in casa o che intercorrevano tra di loro non gli dava più ascolto, anzi lo ignorava del tutto, tutt'al più lo lasciava parlare rispondendo con un sì o con un no di circostanza fino a quando l'altro non si stancava di dar fiato alla voce, irritata oltre ogni modo da quel suo tono querulo e blando; lui insisteva ancora per un che di inutile e insulso letto sul giornale o appreso alla tivù, e lei non gli dava corda, e così ogni volta che lui aprisse bocca. Parimenti, qualora per caso ce ne fosse l'occasione, vuoi per un motivo o per un altro, non lo coinvolgeva in nulla, non lo chiamava mai in causa, anzi lo evitava, meglio ancora se delle sue cose non sapesse nulla. Ma questo perché, - fatto ancor più grave nella vita dei due - a suo modo di vedere, nelle più futili beghe quotidiane, nelle faccende più semplici o che di regola avrebbero dovuto esser tali, che fosse in casa o per strada per le vie di paese, era divenuta per Paolo sempre più l'oggetto di richiami e di critiche frequenti, quasi fosse un parafulmine, o un capro espiatorio, cosa che esprimeva in primo luogo tutto il malumore e l'astio di lui, ma che nel cuore di lei, povera donna, la vessava, la angariava, rendendola d'improvviso cieca e furente da calma che era, e motivo per cui, qualsiasi incombenza lei dovesse sbrigare, non le rimaneva che pensare d'esser sola, negletta, abbandonata a se stessa, con l'idea sempre più chiara che Paolo non fosse più per lei una certezza o un punto fermo come era stato invece in passato, ma fosse diventato a poco a poco, coscienziosamente, un nemico, un ostacolo, una pietra al collo. Si aggiungeva a tutto ciò il fatto che continuasse a non scorgere in lui alcunché di nuovo e alcuna possibilità di cambiamento, niente, ma solo un uomo ormai sopraffatto dal tedio e dall'indolenza, sempre più svogliato, che passava il tempo libero a sonnecchiare sul divano, a leggere il giornale, senza neanche darsi cura del figlio, quando lei invece voleva ardere e sognare, e vivere di grandi emozioni. Tristemente constatava, invece, che non la degnava di uno sguardo, non l'apprezzava se non di controvoglia, non riusciva ad appassionarla in nulla, neanche nell'uscire, nell'andare per negozi. E questo certo non l'aiutava, ma finiva con l'affliggerla, con il prostrarla, nel farla sprofondare nello sconforto più nero. Era questo - si chiedeva tristemente - il futuro vagheggiato un tempo, la vita in cui aveva sperato una volta, quand'era ragazza? Nemmeno lei sapeva rispondere e in questa condizione Lisa si sentiva persa: lo amava, si diceva, o forse no, non lo sapeva ancora; non gli voleva bene, probabilmente, ma era un brav'uomo, e un bravo padre, né avrebbe sognato mai di abbandonarlo, facendo per di più soffrire il figlio ancor piccolo, che a quell'età non capiva e che avrebbe capito forse solo da grande. Tutto ciò, dunque, la spingeva a soffocare dentro di sé una sorta d'incontenibile stizza che la sfiancava senza rimedio, e a deplorare del tutto la propria condizione, quasi si fosse accanita con lei la sorte, o un cieco destino, e dal suo viso cupo e triste palesemente traspariva ogni cosa.

Paolo dal suo canto, per ripicca, contro l'ostilità muta messa in mostra dalla moglie, che non perdeva occasione frattanto per rimproverarlo e fargli notare tutto ciò che in lui non andasse, ogniqualvolta lei parlasse e proponesse qualcosa si limitava il più del tempo a mostrarsi infastidito, se non irritato, tradendo in quel caso l'insofferenza più greve di fronte alle richieste di lei, che giudicava vane e senza senso, se non sciocche e inopportune. Pur portato per indole alla comprensione più sincera, pareva da queste lontano, tanto meno coinvolto, né avrebbe mostrato in alcun modo un segno d'interesse e di partecipazione, cosa che in un certo qual modo, forse, li avrebbe pur riavvicinati, e anche quando annuiva senza distogliere gli occhi dalla tivù o sbocconcellando del pane alla buona sul divano era solo per mera abitudine, per non sentirla oltre. Faceva così in modo che, dai discorsi o dalle proposte entusiaste con cui di scatto lei si accendeva, la moglie non ricevesse alcuna soddisfazione, ponendo così fine lestamente ad ogni suo tentativo di incontro e di conciliazione. Semplicemente la puniva, la umiliava, e a quel modo faceva affiorare fuor di sé tutto il disprezzo e la ribellione per quella loro unione, per quell'esito inglorioso, si diceva, a cui insieme erano giunti. Più concretamente, questo le rinfacciava, lei da tempo non dava peso ai suoi slanci e al suo fervore per le cose, per le sue cose, quelle che lui apprezzava e che lei gli negava, avendolo tristemente relegato nell'ambito mesto di quelle quattro mura di casa e a poche insignificanti abitudini che l'avevano spento. Ecco perché tra loro, in pochi istanti, a volte, come nella più grande e munita polveriera, cose ridicole e di minimo conto divenivano la scintilla per un risentimento che avvampava improvviso e violento, con esiti spaventosi. Si univa a tutto questo il fatto che non trovasse più nella moglie alcunché di piacente, sotto ogni riguardo. La riteneva invece già sfiorita, nonché assopita, assorta, senza più mordente per le cose, quando invece a ben vedere non era vero. Col tempo, si diceva, aveva perso tutto il fascino di pochi anni prima e a volte mostrava così poco impegno nel curarsi e nel vestire da riuscire trasandata, cosa che a lui non piaceva, come se fosse ormai soddisfatta di quel che era e che aveva. Si erano detti tutto, si diceva, come anche i loro corpi e non c'era più nulla da fare.

E allora accadeva che quando, per esempio, dopo una mattina intensa di lavoro, col fatto che Andrea fosse all'asilo o a casa dei nonni, uscissero insieme lungo l'acciottolato bianco della strada che dalla loro villa di campagna porta al paese vicino, non sopportandosi l'un l'altro e non avendo interesse a stare insieme, riuscissero a fare solo due passi prima di ravvedersi e di mutare opinione, e senza proseguire oltre, senza neanche giungere sulla statale più agevole al passo, finissero col rientrare lestamente tra le mura odiose di casa, sconfortati entrambi, e coll'evitare di parlarsi poi per giorni. Peggio ancora quando nei pomeriggi assolati della primavera incipiente, pur sedotti dal desiderio comune di migliorare le cose, montavano in auto per andare in paese, dove spesso si recavano per dare un senso alla giornata e per distrarsi, almeno nelle intenzioni, e lei restava seduta accanto a lui in un silenzio ostile e impenetrabile, volgendo lo sguardo altrove, sugli alberi e sulla costa erbosa che si allontanava a poco a poco o sulle case; lui invece s'affannava passando tutto il tempo a dannarsi come un forsennato, senza neanche rivolgerle la parola, ma rimuginando in sé un livore che lo portava continuamente a chiedersi: "ma se la cosa non ti interessa, se non eri convinta, allora perché siamo partiti?", il tutto con una rassegnazione muta e incomprensibile che avrebbe fatto dire a chiunque "ma perché stanno insieme?, perché perseverano?", tanto era facile leggere il disappunto sul viso di entrambi. Sicché anche in quel caso li si vedeva tornare rassegnati sulla via di casa, lontani, senza un minimo segno di legame tra loro, con una prova evidente di insoddisfazione, di frustrazione addosso, che palesava il disfacimento sempre più presente.

A ciò si aggiunse, più in là, un periodo molto lungo in cui lui, per ovviare a tutto questo e rendersi la vita più leggera, volle dedicarsi con estrema dedizione al lavoro, cosa che lo portò ben presto ad essere del tutto assente da casa. Si abituò ad uscire di buon'ora anche d'inverno, al mattino, quando la luce del sole era di là da venire e un freddo intenso e senz'anima infieriva sui pochi passanti presenti, e per tutto il giorno poi non si faceva sentire, neanche uno squillo, un messaggio tanto per salutare e chiedere se tutto andasse bene, cosa impensabile solo qualche anno prima, e che la diceva meglio di qualsiasi confidenza su come andasse la vita tra loro. Con la stessa lucida ostinazione faceva di tutto per rientrare molto tardi, a volte a notte inoltrata, disfatto, stanco come non lo si era mai visto, ma contento. Nei giorni in cui, poi, lavoro non ce n'era, vuoi perché fosse festa o perché per un qualche motivo era d'obbligo restare a casa, usciva allo stesso modo assai presto, non sapendo cosa fare altrimenti, e camminava a piedi fino al bar del paese, alla ricerca disperata di amici e conoscenti, e stava lì per ore e ore bevendo e sproloquiando ad alta voce su ogni possibile argomento, con l'incubo nel cuore di dover tornare a casa, di ritrovare prima o poi la moglie al suo fianco, bisbetica più che mai, magari con lei che cominciava subito a denigrarlo per l'uscita o qualcos'altro, o che gli affidava il bambino in lacrime. Al bar invece gli occhi gli correvano felici su qualche giovane fanciulla che entrava di volata, su quelle frivole e sciocche che gli davano corda e che ridevano a tutti con gli occhi mordaci, mostrando il loro bacino stretto, le gambe fasciate in quei pantaloni aderenti, che trovava irresistibilmente interessanti. Tutte bellezze allegre e gaie che avrebbero allietato la giornata a chiunque, pensava, mettendo in fuga i problemi. E come le avrebbe prese tra le braccia, per stringerle e baciarle ad una ad una, si diceva. Una volta rientrato, però, del tutto indispettito dalla cosa che proprio non gli andava, ma a cui s'adeguava, sembrava che ergesse verso Lisa delle barriere insormontabili pur di tenerla fuori dal suo mondo, e si vedeva chiaramente come lo facesse apposta, che fosse voluto, studiato con somma cattiveria.

Di fronte a questa incompatibilità, allora, anche lei in quei giorni di cielo livido e freddo intenso cominciò ad andarsene in giro, pensando che fosse una cosa giusta non rimanere in casa a soffocare, ad impazzire sola in compagnia del bambino, ma che fosse suo dovere uscire e accettare la vita per quella che è, e tornare a sentire. Affidava Andrea ai suoceri o a sua madre, sentendosi con questo già libera e priva di un peso, e si spingeva lontana, nei paesi di provincia o in città, solo per passeggiare, per il gusto di vedere e respirare un'aria nuova, convinta sordamente e con ostinazione che non ci fosse nulla da salvare tra loro o da tenere ancora in vita e che nessuno sforzo valesse la gioia di non averlo tra i piedi. La si vedeva in quel caso sedere in qualche piazza al tavolo di un bar, sola, sotto un gazebo illuminato da un sole scialbo, mentre girava e rigirava il cucchiaino nel caffè e sorseggiava con calma, mentre posava i suoi occhi sulle coppie di passaggio, che le sembravano tutte felici. Ed era un bel ricordare quindi i tempi addietro, quando anche loro lo erano stati e tutto correva lietamente e sembrava non bastare, e ogni cosa, pur piccola, li animava di una immotivata allegria, come se fossero ingenui. A quel tempo una splendida leggerezza pervadeva i loro giorni, li lasciava vivere come in una febbre, in uno stato euforico, come figli prediletti dell'amore, senza affanni o pensieri e inutili preoccupazioni. Si riusciva a ridere di tutto, anche se questo tutto era niente o davvero poca cosa. Adesso invece, se era in casa, lui sedeva in sala sul divano col giornale, rifiutandole qualsiasi attenzione, mentre lei restava assorta in cucina, o a guardare fuori dalla finestra. Paolo non cercava mai di capire cosa pensasse, né cosa desiderasse, che fosse lieta o triste era per lui la stessa cosa, per lui ormai non contava niente. Tornavano così a tormentarla le eterne domande: perché tutto quello strazio, quella fatica giornaliera che sempre più li allontanava? Ma perché si erano sposati se poi era destino che giungessero a quel punto, senza più mordente? Ma cosa significava esattamente essere sposati? O non era tutto un inganno della vita, che prima ti illude e promette tutto e poi ti lascia con un palmo di naso, del tutto scontenti. Certo lei si era illusa quando aveva immaginato un qualcosa di diverso, che la più grande felicità sarebbe stata una famiglia. Era valsa la pena affaticarsi per tutto questo? Ora, cosa ancor più triste, pensava, non le restava che invecchiare.

A fronte di ciò, quindi, essendo il tutto gravoso e giunto al culmine, parve buona cosa a un certo punto ingegnarsi per trovare un rimedio, per cambiare alcunché, per cercare una soluzione giusta a quella situazione che di certo, così com'era, aveva già logorato troppo i nervi di entrambi. Avrebbero potuto provare ad allontanarsi, a vivere separati, almeno per un po', di modo che l'assenza avrebbe potuto far rinascere la passione o far finire tutto d'un botto, con buona pace dei valori e del figlio ancora piccolo. Questa forse era la cosa migliore, da accettare insieme senza riserve, senza compromessi, se solo ne avessero avuto il coraggio. Si tornava a tal proposito, dopo che l'idea era apparsa in uno dei tanti momenti d'odio, a guardare all'altro con un misto d'affetto e di misericordia, di compassione inestimabile, di comprensione quasi, e si volava indietro con la mente alla vita passata insieme, ai giorni felici e sereni di un tempo, al matrimonio, alla loro casa, che avevano messo su con tanti sacrifici, e soprattutto a quel figlio arrivato tardi che non aveva colpe e che non doveva in ogni caso patire nulla. Si convincevano quindi entrambi, ancora una volta, che non tutto fosse da buttare, che ci fosse ancora qualcosa di buono, da salvare, e che su quello si dovesse fare affidamento, visto che col tempo ogni cosa può cambiare ed evolversi in meglio. La loro storia poteva andare avanti anche così, si dicevano, ognuno a fare la propria vita, senza addii drammatici, senza separazioni. Ma questi propositi, si capisce, non potevano che avere vita breve. Accadeva quindi che, a seconda dei momenti, se non c'erano litigi e l'aria era buona, elogiassero a più riprese il matrimonio e l'unità della famiglia, e poco dopo, con un mutato colpo di vento, li detestassero, denigrandoli in ogni modo. A cosa serviva legare due persone per sempre, si chiedevano, costringendoli a vivere la loro vita insieme, in una schiavitù perenne e senza vie d'uscita, per affrontare un percorso faticoso e inutile? E quell'amore eterno promesso tra il giubilo sull'altare, che in realtà è tutto un inganno. Questo si chiedevano, interrogandosi senza fine, ma senza giungere a una decisione vera. Provavano allora, come estremo tentativo, a fare di tutto per evitarsi, per non intralciarsi, per non ostacolarsi, pur di tornare ad una vita tranquilla, ad essere sereni, e senza urtare la suscettibilità dell'altro, perché a volte tra loro involontariamente si concretizzava per giorni una sorta di tregua avvilente che li affrancava all'improvviso dai diverbi e dai litigi violenti, che permetteva di respirare a entrambi, e la cosa andava custodita attentamente. Se ne stavano così, giorno dopo giorno, ognuno per proprio conto, sotto lo stesso tetto, nelle medesime stanze, attenti a non imbattersi nell'altro e per questo fuggendolo, per non disturbarlo, affinché non s'avvedesse, a che non s'immischiasse in cose che non lo riguardassero, ma più propriamente per non sentirne i rimbrotti e i commenti insopportabili. Tutto allora per qualche settimana sembrava di nuovo andare bene e promettere il meglio, ma ecco che bastava un qualcosa, un nonnulla che li indispettiva e tutto tornava ad essere come prima, o anche peggio. Lui cominciava a storcere il naso, a rispondere in malo modo, lei ad insultare con la lingua tagliente. La guerra durava così per giorni e giorni, tremenda. Nei brevi e scarni interloqui che ne seguivano i due coniugi continuavano ad osteggiarsi sordamente. Lui si limitava allora a constatare che non capisse, lei pensava che non l'amasse. Ogni problema e questione sollevati che richiedessero il parere e l'intervento di entrambi, anche sul figlio, continuavano ad essere a malincuore un nuovo terreno di scontro. Insomma, era triste.

Passarono a quel modo ancora due anni o qualcosa di più, senza che la situazione tra loro cambiasse. S'ignoravano, si parlavano, non è che facesse molta differenza. Entrambi soffrivano, ma nessuno dei due sembrò proporre all'altro una vera soluzione, e parevano decisi a rassegnarsi, senza nulla opporre a quell'atroce scherzo del destino. Fino a quando, però, all'improvviso tutto migliorò in modo insperato. Come accade con le cose che, per una loro naturale disposizione a comporsi, prendono a volte la piega giusta e si risolvono da sole senza trascinare con sé ulteriori problemi, la loro vita cambiò strada e la gioia fu molta.

Senza troppo penare, una giovane ventenne, assai carina e d'un carattere spigliato, divenne da un giorno all'altro l'amante di Paolo, che aveva cominciato a darle corda un po' alla volta nel bar dove lei lavorava, e dove di sorriso in sorriso, di battuta in battuta, che poi erano apprezzamenti, era riuscito a farla sua. Lui in quelle visite interminabili la mangiava con gli occhi e la riempiva di lodi sperticate, e si vedeva che la ragazza voleva fare esperienze. Finalmente una compagna sbarazzina e senza troppe idee per la testa, si diceva, che pensa solo a divertirsi e non si fa problemi, che non ha pretese bizzarre per il domani o fantasmagorici progetti. Finalmente una storia tranquilla e senza troppa importanza. E di questo intimamente si gloriava. Era in effetti una giovane semplice e leggera, che non lo angustiava con i compiti e le responsabilità come Lisa, a cui si sentiva sempre con l'onere di rispondere e di dare conto di tutto, dalle uscite insolite e malcelate agli orari per fare la spesa. Iniziò allora ad accoglierla in casa di nascosto con tanto di sussiego e di buone maniere, quando la moglie era fuori e il bimbo all'asilo, perché la voglia di lei era tanta e non riusciva a resistere, e a trascorrere così una o due ore di piacere, amandosi, e già i primi incontri, i primi sussulti del corpo, bastarono a farne un uomo nuovo. Rinvigorirono in lui l'ardore, il desiderio represso e fino allora negato, al tempo stesso lo calmarono, lo resero amabile, splendido, saziarono la brama di vita che rinasceva a quel modo inaspettata come fosse un regalo del caso, e per il quale non finiva di rallegrarsi, e il tutto senza avere sul groppo il peso di dover progettare, di pensare, di rispondere di ogni cosa con i modi e la fatica che il matrimonio comporta, ma sollevato dal piacere di un incontro in cui non ci sono obblighi ma solo piaceri, cosa che favorirebbe di molto, pensò, i rapporti nelle coppie. Riscoprì in breve la gioia di stringere tra le sue mani un corpo giovane e ansante, avido e pronto ad assecondare, a esaudire, avvinto finalmente ad una donna che lo apprezzava, lo elogiava, che amava stare con lui, che riusciva sovente a sorprenderlo e ad infiammargli il sangue nelle vene. E questo gli piaceva. Marta con lui era sempre allegra e gioviale, gli diceva sempre sì, sorridendo con la lingua tra i denti. E poi era così viva! Questo li rendeva felici entrambi e appagati.

Lisa invece, qualche tempo più tardi, si legò a un giovane aitante di colore che vendeva della semplice chincaglieria da quattro soldi in un bugigattolo scuro a pochi metri dal duomo e che spesso, al vederla passare, colpito dalla persona e dalla grazia di lei che gli sorrideva, la chiamava, la fermava, avendo preso col tempo confidenza, e che le faceva ogni volta la corte per gioco e seriamente, cosa che a lei però piaceva molto, facendole tornare il buonumore. Aveva cominciato a starle dietro, invitandola ogni volta ad entrare nel negozio per dei vecchi cocci di ceramica da usare per il the, o per comprare un narghilè, dei tappeti persiani e delle splendide borse in pelle, finché lei un giorno aveva acconsentito a guardarle meglio da vicino e aveva accettato le sue lodi nel retrobottega, tra le pentole accatastate e dei vecchi orologi con carica a mano, coperti a malapena da un tendone, ma trovando a quel modo la felicità. Fu per lei allora una vera scoperta. Riscoprì d'un tratto, dopo anni e anni, tutta la bellezza dell'amore e i brividi del corpo, a cui da troppo tempo aveva rinunciato. Il piacere della carne tornò ad essere interessante ed esplose tra loro una passione immediata, che la lasciò senza fiato. Quest'amore clandestino risvegliò in lei l'entusiasmo e la gioia di vivere. Lei si sentì a quel modo di nuovo amata e ciò la fece rinascere. Finalmente, si diceva, era di nuovo corteggiata, e da un uomo splendido. E come si scioglieva, toccata dalle sue mani, da quell'uomo che le faceva sentire tutto il suo ardore, il desiderio, che la dominava, e che male c'era, sembrava dirsi, nel passare così i giorni, visto che il marito la disprezzava. Tornò per lei il tempo degli appuntamenti e delle attese, degli incontri segreti e dei baci rubati. Tutta la sua vita, insomma, tornò d'improvviso interessante. Perdeva adesso delle ore davanti allo specchio e riprese a passarsi di nuovo il rossetto sulle labbra, a scegliere con cura il profumo, la biancheria, la camicia, il foulard di seta, il vestito giusto. E lei cambiava. Paolo andava via di fretta o il figlio rompeva un cristallo di valore o un quadro e lei stranamente non vi badava, non gli dava retta. Accendeva la radio mentre era in cucina e insolitamente cantava. Non appena il telefono squillava accorreva alla cornetta in preda al panico, per poi ridere in silenzio tra sé. Si accostava spesso alla finestra e guardava e riguardava, scostando le tende, come se ci fosse sempre qualcuno ad attenderla. A volte prendeva all'improvviso le chiavi e la borsa e usciva di corsa senza dir nulla. E scappava via in auto. La si vedeva aspettare trepidante, seduta in un bar, tambureggiando con le dita sul tavolo. E come era strano passeggiare assieme a un altro, si diceva, quando era in sua compagnia. Anche quando si recava a far la spesa, girava lungo i reparti del supermarket con una tale leggiadria, sospingendo il carrello, che si sarebbe detto che amava di cuore la vita e tutto quello che faceva.

Allora in pochi mesi rinacquero entrambi. Dopo anni di litigi e di tribolazioni inutili in breve nulla parve più turbarli e tutto volse al meglio: il muso imbronciato di lui sparì e sembrò non serbarle più rancore, lei lo trattava con garbo e una grazia inusitata ne ispirava i gesti e le parole, ogni cosa parve accomodarsi, tanto che il tempo ricominciò a volare senza che se ne accorgessero, tutti e due presi dalle loro relazioni. Iniziarono dunque ad interrogarsi. A cosa era servito rattristarsi e dilaniarsi l'un l'altro, parevano dirsi con gli sguardi, quando avrebbero potuto invece trovare facilmente la gioia a pochi passi da casa molto prima, quando sarebbe bastato prendere la porta e chiudere un mondo per aprirne un altro, e questo significava tante opportunità nuove e una nuova vita entusiasmante, che li rendeva allegri sempre, anche quando si era in giro da soli. Tutto adesso rivelava una natura diversa, tutto era così luminoso che i dispiaceri degli anni appena passati non erano mai stati, di fronte a un ostacolo la loro mente volava velocemente ad altro. Gli amici pareva che li accogliessero con affetto, gli estranei si mostravano gentili, tutto, la vita in genere, tornava ad essere interessante, perfino il coniuge, trattato con maggiore bonomia. Portare avanti quelle relazioni era pertanto una cosa giusta e sacrosanta. Del resto anche in passato, pensavano, si riconosceva al matrimonio il compito di formare una famiglia e non quello assurdo di garantire una passione illimitata, idea folle e inaccettabile. E quel sì detto una volta per sempre, che funziona forse sulla carta o nei confessionali, ma non nella vita reale, anche quello era assurdo. Si stabilì quindi tra loro come un tacito accordo. Nulla era più dolce e felice di quella loro situazione, del loro accomodamento. Erano sempre solari e si difficilmente si arrabbiavano. Anche il vivere assieme non parve più un peso. L'affetto e la comprensione tra loro tornarono veri. Quando uscivano sembravano una nuova coppia.





Gianluca Massimini



E' nato a Pescara nel 1974. Dopo gli studi universitari ha svolto varie attività, vivendo a Bologna e successivamente a Vicenza, città nella quale risiede tuttora.

Nel 2010 ha pubblicato per Lampi di stampa la raccolta di racconti L'età dell'amore.





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