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Giovanna Repetto

Ineffabili consonanze. Gravity. Immaginare l’Universo dopo Einstein

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In principio era il Ragno. Potrebbe essere una cosmogonia fra le tante con cui l’uomo si accosta all’origine dell’universo. In realtà io sono ancora sotto la suggestione indotta dalla presenza di un ragno vivo all’interno di una delle installazioni che cercano di coniugare l’arte con la scienza in quella terra di confine che è l’intreccio fra le dimensioni di spazio e tempo. Perché questo è l’obiettivo della mostra: far dialogare arte e scienza nell’ottica di un nuovo umanesimo. Mi riferisco a Gravity. Immaginare l'universo dopo Einstein, mostra allestita dal MAXXI di Roma in collaborazione con l’ASI (Agenzia spaziale Italiana) e l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Dopo aver ammirato il modello della sonda Cassini esposto nell’atrio insieme all’installazione Aeroke di Tomás Saraceno composta da due palloni aerostatici specchianti che captano impercettibili suoni dall’atmosfera, si sale ai piani superiori per immergersi in un percorso tracciato nell’oscurità. Le luci delle teche, come tante stelle, fanno da guida nello spazio buio mostrando oggetti di diverso tipo. Alcuni sono strumenti scientifici come il Cannocchiale di Galileo e lo Specchio di Virgo (l’interferometro laser che capta le onde gravitazionali), o documenti storici come gli scritti di Galileo, altri sono opere di artisti come Marcel Duchamp, Allora & Calzadilla, Peter Fischli, David Weiss, Laurent Grasso e Tomás Saraceno. È stato quest’ultimo a collocare il ragno in una teca virtuale che ora appare argentata dai festoni delle ragnatele. La Nephila Senegalensis è una straordinaria creatura dall’aspetto metallico, che sembra finta per quanto è lucida e immobile (toglie ogni dubbio un cartello che rassicura gli animalisti sul fatto che l’aracnide è adeguatamente nutrito e accudito nel rispetto del suo benessere). Le vibrazioni della ragnatela, mescolate a segnali captati da sofisticati apparecchi, si trasformano in suoni producendo una sorta di concerto cosmico. Un imprevisto esperimento interattivo si è verificato quando io ho allungato una mano per toccare il vetro della teca che mi appariva trasparente in modo surreale. Infatti il vetro non c’era, e ho visto la mia mano oltrepassare una barriera dimensionale per finire dentro la dimensione del ragno. Per fortuna una solerte mediatrice scientifica si è affrettata a bloccarmi. Ce ne sono diversi, di questi mediatori. Ragazzi discreti che, se qualcuno dà segni di curiosità, si avvicinano e danno spiegazioni o istruzioni per le esperienze interattive. Così puoi ricevere delle palline di diverso peso e dimensione da gettare in un vortice che simula le orbite dei pianeti (purtroppo alla fine le palline vengono inghiottite da un buco nero, e questo è un po’ inquietante). Oppure puoi deformare lo spazio-tempo con l’impronta della tua persona, muovendoti o alzando le braccia (certi ragazzini, scoperto il gioco, non si schiodavano più dall’installazione) e creare strani ghirigori su una parete. Tra i filmati visibili nella mostra ho trovato particolarmente poetico quello dedicato al “grande silenzio”, ovvero al paradosso di Fermi (perché, se l’universo è popolato come appare statisticamente probabile, non cogliamo segnali dai suoi abitanti?) realizzato con la collaborazione dello scrittore Ted Chiang (l’autore del romanzo che ha ispirato Arrival, tanto per intenderci) che mette in evidenza il contrasto fra i potenti mezzi messi in atto dall’uomo per captare messaggi alieni e la sua indifferenza verso i linguaggi degli animali (pappagalli tropicali nella fattispecie) che si stanno estinguendo accanto a lui e per sua mano.

Gravity. Immaginare l’Universo dopo Einstein
MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo
via Guido Reni 4A – Roma
2 dicembre 2017 / 29 aprile 2018



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