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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Simone Quadri

Innesti

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1.
   Tutto è cominciato dagli occhi; a pensarci bene, la parte più semplice da replicare. Una camera, un disco di archivio per filmati e immagini, delle API(1) per collegarsi al sistema nervoso, un po’ di design nella realizzazione del bulbo oculare. E tac: il gioco è fatto. Nessuno ha dato troppa importanza alla faccenda, perché tanto, i soldi si veri facevano in altro modo; stomaco, polmoni, fegato, cuore e, chiaramente, l’eldorado degli innesti, il cervello.    I distretti specializzati nella produzione di occhi sono entrati ben presto in crisi per colpa dei prezzi stracciati dei prodotti realizzati oltreoceano. Risultato? Centinaia di persone senza un lavoro; italiani dagli occhi a mandorla aumentati a dismisura.
Non è che laggiù fabbricano solo occhi a mandorla, ma quelli ovviamente costano molto meno. Risparmi sul design del bulbo oculare, ma a livello di funzionamento core hai praticamente tutto. Se poi vuoi l’occhio celeste di taglio caucasico, probabilmente te lo compri originale, a un prezzo più alto. Ma se sei al verde, e ti serve un occhio, chissenefrega se poi è a mandorla; l’importante d’altronde è vederci, accumulare ricordi visivi, archiviare materiale per i sogni, e certo, non avere un cavolo di buco nella faccia.   
   Comunque, finché il problema era circoscritto agli occhi, nessun politico ha alzato un dito. Anche perché, il distretto specializzato negli occhi è stato abilmente riconvertito in distretto per la produzione di orecchi low cost. Quello degli orecchi, è sempre stato un mercato dominato dagli svedesi. Non chiedermi perché. Per non rischiare di danneggiare l’innesto prima dell’installazione, è indispensabile movimentarlo via terra. Per questo motivo, di orecchi asiatici, in Europa, se ne trovano ben pochi. E gli svedesi, su questa falla, ci hanno costruito una vera fortuna.
Sta di fatto che, di punto in bianco, ci siamo messi a produrre orecchi per il mercato nazionale. Se la nostra gente non ha denaro per acquistare occhi locali, con ogni probabilità non ne ha nemmeno per orecchi importati di prima qualità; hanno pensato i nostri imprenditori. E così il crollo del PIL, dovuto alle mancate esportazioni di occhi, è stato bilanciato dagli introiti della produzione interna di orecchi.
   Gli svedesi non l’hanno presa per niente bene; ci è costato un embargo sui mobiletti scadenti da montare. Inaspettatamente, siamo tornati a vendere divani e mobili nostrani, mezzo scadenti e già montati. Alla fine dell’anno, tutti abbiamo pensato di aver fatto un affare.
2.
   Poi è arrivato il turno dello stomaco; riflettendoci, niente più di un sacco con un foro di entrata e uno di uscita, le cui pareti lasciano filtrare secrezioni in entrambe le direzioni (che si tratti di succhi gastrici o di nutrienti). Più complicato da realizzare, rispetto a un occhio o un orecchio; ma nemmeno un’impresa troppo ardita.
   Gli stomaci asiatici si sono diffusi rapidamente tra la popolazione, con gli effetti che ormai tutti, a distanza di tempo, ben conosciamo. È aumentata la digeribilità di alcuni alimenti; specialmente soia, salsa di ostrica e talune spezie come il coriandolo. È diminuita la tolleranza a ingredienti che erano propri della nostra cultura alimentare; latte, carne bovina, cereali. Questa cosa ha fatto parecchio incazzare i produttori locali. Scioperi, quote manzo, latte rancido versato per le strade delle grandi città. Un bel pasticcio.
   I media hanno iniziato ad occuparsi della faccenda, degli effetti perversi della globalumanizzazione. Le bracerie sono via via diventate ristoranti per ricchi, luoghi frequentati da chi ancora poteva permettersi uno stomaco italiano DOP. Stesso dicasi per le gastronomie specializzate in formaggi. Il costo del gorgonzola è schizzato alle stelle; ha iniziato a circolare il termine oro blu. I gastroenterologhi hanno saputo cavalcare la bolla, facendo una fortuna con le visite private.
Considerando anche l’indotto, la produzione locale di stomaco contava circa quarantamila addetti. Numeri importanti; come fai a riqualificarli tutti? I più giovani e preparati hanno trovato sbocco nel settore del fegato, che allora pompava ancora a mille. A quel tempo, se uno aveva due soldi da parte, non ci pensava due volte; cambiare fegato ogni tre, quattro anni al massimo. Tutti gli altri sono finiti in cassa integrazione. La manovra finanziaria ha portato un doloroso incremento dell’imposizione fiscale, per bilanciare lo stanziamento di risorse volte alla ricollocazione dei cassaintegrati.
3.
   Poi è arrivato il turno dei polmoni; in effetti sono due e, al contrario dei reni, devono funzionare entrambi per garantire una buona qualità di vita (che che ne dicano gli scettici, citando l’esperienza mono-polmonare di John Wayne).
Si dice che l’attività di ricerca e prototipazione polmonare, portata avanti dagli asiatici, sia stata sovvenzionata dalle multinazionali del tabacco. Polmoni a basso costo uguale
maggiori profitti. È stata aperta un’inchiesta parlamentare, una gola profonda del settore è stata chiamata a testimoniare. C’è stato parecchio clamore per la faccenda.
   Sta di fatto che, a quei prezzi stracciati, la produzione italiana non ha potuto competere. Le tre principali aziende nostrane di polmoni hanno deciso di spostare la produzione degli innesti nei balcani, suscitando un’infinità di polemiche. Altri hanno provato a resistere, puntando sulla qualità del prodotto, ma si sono dovuti presto arrendere alla dura legge del mercato.    I polmoni fruttavano al paese un volume pari a nove zeri, di sole esportazioni. Senza quel flusso di denaro, e con la forte contrazione della domanda interna, il settore si è di fatto sgretolato.
Il governo in carica è caduto, a causa della sfiducia ricevuta, per la mancata implementazione di un programma di tutela della produzione locale. Il partito populista ha preso il comando del paese; sono arrivati i dazi sugli innesti asiatici, corposi sgravi fiscali per le aziende nostrane con produzioni non delocalizzate. L’Italia è stata multata dalla WTO; favoreggiamento verso operatori nazionali. Gli sgravi fiscali promessi sono stati bloccati, per evitare ulteriori sanzioni. Il settore è definitivamente crollato, sotto il peso delle promesse populiste non mantenute.
4.  
   Poi è arrivato il turno del fegato; una ghiandola piuttosto complessa ma che, stringi stringi, svolge solo tre funzioni importanti: metabolizza composti chimici, produce e secerne sostanze, converte roba in altra roba. Se sei riuscito a mandare una sonda su Marte, realizzare un fegato non dovrebbe essere un’impresa.
E così gli asiatici ci hanno fregato pure il fegato.
   Ricordo bene l’estate della crisi del fegato; gli scontri violenti tra addetti alla produzione e persone cui avevano diagnosticato forme violente di cirrosi. Nei talkshow televisivi, gli esperti intimavano di diffidare dai fegati low cost; se un occhio non è realizzato a dovere campi uguale, col fegato non si scherza. Ma tra smettere di bere alcolici e assicurarsi un innesto di qualità inferiore, in molti hanno scelto l’opzione orientale.
   Il tasso di rigetto di innesti è cresciuto esponenzialmente e, a farne le spese, oltre ai malaugurati acquirenti, è stato il già malconcio servizio sanitario nazionale. I ricoveri d’urgenza hanno intasato le corsie, rendendo le limitate disponibilità di posti letto un problema politico; interventi posticipati, anziani in piedi fissati alle pareti col nastro adesivo, gente moribonda sulle poltroncine del pronto soccorso in attesa di essere visitata. Insomma, il caos.    In termini economici, il settore del fegato cubava quanto la produzione di auto di lusso. Perdere qui posti di lavoro, ha di fatto sotterrato ogni possibilità per il nostro paese di uscire dalla crisi. I morti per innesti scadenti hanno iniziato ad essere conteggiati sul sito del ministero della sanità. Il malumore ha preso piede.
5.
   Poi è arrivato il turno del cuore; nient’altro che una pompetta comandata da un controller ad alta resistenza. Ma un conto è avvalersi di un innesto realizzato con i migliori materiali disponibili oggigiorno; tutt’altra faccenda è mettersi nel petto una pompetta di plastica, del tipo realizzato per gli acquari.
   Nel mondo, siamo da sempre considerati gente passionale. Un innesto italiano simboleggia la bontà del design e della cultura produttiva nostrana; significa un investimento a lungo termine: passione giovanile, senso di appartenenza alla famiglia, fede calcistica, fervore politico, solidarietà. Le persone più importanti del pianeta hanno tuttora nel petto un innesto prodotto dai nostri migliori artigiani. Questo la dice lunga sulla qualità del prodotto offerto.
   Perdere il monopolio del cuore è stato un colpo tremendo. In soli due anni, siamo passati da una produzione di trenta milioni di pezzi al raggiungerne a fatica una decina. Oltre al taglio drastico delle esportazioni abbiamo assistito al crollo verticale della domanda interna. I buoni sconto offerti dal governo per acquistare innesti italiani non hanno sortito l’effetto sperato. In molti si sono orientati sull’alternativa economica.
   Poi è successo quello che gli scettici avevano largamente preventivato; difetti di produzione. E così, il secondo maggior produttore asiatico ha dovuto ritirare dal mercato un’intera linea di innesti, dopo un numero sospetto di fusioni verificatesi in Europa. Pare che il caldo estivo abbia mandato in tilt i controller, provocando il surriscaldamento della plastica delle pompette e, di fatto, il repentino scioglimento del cuore.
   Chi aveva acquistato e installato l’innesto, è piombato dentro un vero incubo; aspettare e sperare nell’invio gratuito del cuore sostitutivo, oppure comprare un nuovo innesto da un produttore differente? La colonnina del meteo non prometteva sonni tranquilli per chi era propenso a tirare avanti. Quell’estate è passata agli atti per il famoso esodo verso le alpi; spiagge mezze vuote in pieno agosto, riduzione dei concepimenti, abbonamenti della palestra non rinnovati, e via dicendo.
6.
   Infine è arrivato il turno del cervello; che dire a riguardo: il cervello è il cervello, un garbuglio complicatissimo di fili, spugne e superfici gommose e appiccicaticce.
Alle motivazioni culturali, economiche e politiche si sono aggiunte considerazioni di natura etica. Dove sta il nostro essere se non nel cervello? I nostri valori, i ricordi, le esperienze, la capacità di produrre soluzioni, l’empatia, l’idea stessa di coscienza. Se l’anima risiede da qualche parte, è molto probabile che stia lì.
   Quando gli asiatici si sono messi a produrre innesti celebrali a basso costo, hanno fatto incazzare tutti quanti, pure la Chiesa, che per decenni aveva investito ingenti risorse al fine di garantire il primato del cattolicesimo.    Gli innesti realizzati oltreoceano venivano venduti a un costo trenta volte inferiore a quello di un prodotto locale. Il maggior quotidiano nazionale se n’è uscito un bel giorno col titolo ad effetto: La fuga del cervello. I più affermati neurologi hanno parlato di altissimo rischio di morte celebrale.
   In molti hanno detto: no, col fischio che mi metto quella robaccia nel cranio. Piuttosto che ritrovarmi da un momento all’altro come un vegetale, meglio tenermi il mio, e tentare la sorte. Ma per altri, lasciare i propri cari a questo mondo, pur disponendo di un’alternativa economicamente percorribile, rappresentava un vero dilemma. La morale umana si è largamente modificata nel corso degli ultimi anni. Non mi sento di giudicare un bel niente.
7.
   E poi ti sei svegliata.
   Potrai essere piena di innesti asiatici, con tutto quel che ne consegue, ma la tua bellezza rimane immutata. Ho domandato: ti ricordi di me? e tu hai scosso la testa, spaventata. Ho detto: non c’è problema, ti caricheranno la memoria al termine della convalescenza. Nel frattempo, ho portato alcuni dei tuoi ricordi; guarda questo video e capirai.
   Sessant’anni, condensati in due minuti; il primo appartamento, il giorno del matrimonio, i bambini che gattonavano per casa, i cani scodinzolanti, nostra figlia all’altare, i nipotini alle prese con la merenda. I corpi cambiavano, frame dopo frame, innesto dopo innesto.    Mentre scorrevano le immagini, ho chiesto scusa per non aver guadagnato abbastanza denaro per permetterci innesti italiani. Una finta lacrima ti ha tagliato la guancia; non so se ti sei ricordata di noi o si è trattato del solito malfunzionamento.
   Poi mi hai chiesto se potevo passarti del tè, sentivi la gola tremendamente secca per via dell’installazione. Quando ho allungato il bicchiere, e ci siamo sfiorati le dita, mi è salito un brivido; è stato bello perché quelle dita erano davvero nostre, le dita con cui siamo venuti al mondo. E allora mi è scesa una finta lacrima, e ti ho guardato con immensa gratitudine mentre bevevi un po’ smarrita quel sorso di tè al gelsomino.
(1) Interfaccia di programmazione di un’applicazione (dall’inglese: Application Programming Interface).



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