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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Giorgio Bertazzoli

L'amore pensato

Mondadori, Pag. 408 Euro 19,90
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L’amore pensato di Giorgio Bertazzoli può rientrare di fatto nella arcinota categoria del post moderno. Commistione di stili, citazioni indirette, scenari e situazioni da neorealismo ma spinte all’eccesso fino a contraddirsi. Una provincia puttana di certi racconti di Tondelli, un italiano con sintassi lombardeggiante che ricorda l’Arbasino della Bella di Lodi, il tutto declinato in forma autonoma, senza l’amore malato per i paesaggi con zombi che non appartengono al Bertazzoli e senza i rendiconti finanziari e sociali della Carla. Ma c’è tutto quello che occorre per fare del nostro un narratore e di questa cosa letteraria un romanzo. Anche i difetti. Si indugia nel sentimentale a volte, uno stuolo di personaggi da romanzo russo, si vuol forse far vedere che si sa fare, ma il tutto (ed è tanto) è portato da una prosa che non indugia su se stessa, che scrive e non descrive, che si affida a lampi improvvisi (lei diventò rossa come una salsiccia poco cotta) e a ritratti di sguincio (appena uscii dalla casa andai verso la baracca, dove mio nonno per non far gelare la mia macchina, l’aveva avvolta in vecchie coperte e cartoni; era più il da farsi che altro, ma il nonno ci teneva a queste cose)
Gira da un po’ questo romanzo. La stesura è costata all’autore diversi anni, una edizione era uscita a sue spese “per gli amici” nel 2016 e adesso arriva a Mondadori. Questa fatica compare nel testo, come la caparbietà di Giorgio di portarla a termine. Lui nel frattempo ha fatto altro, molto altro, poesie, un altro romanzo, ha insegnato, è entrato in politica, ha vissuto insomma, ma il romanzo non l’ha mai abbandonato. Qual era la causa della fatica un lettore avvezzo lo capisce proprio tra le righe di questo po’ po’ di romanzo di 400 pagine, c’è dentro lui, l’autore, il sé, materiale autobiografico neppure troppo nascosto e rivelato con il cinismo di chi non ha molta pietà per se stesso. Un fare i conti col passato personale, una lotta con l’angelo da cui si esce sempre azzoppati, se pur si esce. Da uno scrittore non è richiesta tutta questa fatica, questa lotta, ma lui, lui l’uomo Bertazzoli doveva farci i conti. Ne andava della sua salute mentale, della felicità futura. I dinosauri dopotutto si sono estinti perché nessuno li amava, dice il Nostro.
Bertazzoli ne esce scrittore, malridotto, sputando sangue, ma vincitore. La provincia non l’ha avuta vinta su di lui, non hanno vinto i capelli che ha cominciato a perdere a 18 anni, non le ragazze sempre amate, avvicinate e mai scopate, non le storie marce che impigliano prima o poi ogni uomo, non le leggende familiari con il loro potere di maledizione sulle nuove generazioni.
Tre armi usa il protagonista, che si chiama Giorgio come l’autore, per sopravvivere. L’ironia crudele, lombarda, il sorriso sgangherato del condannato a morte. Non sono le situazioni a essere divertenti, ma la scrittura è innervata di quella cattiveria ironica che la rende avvincente, spietata. è una scrittura che vira spesso nel noir, verrebbe a dire. La seconda arma è la Storia, con la esse maiuscola, passione del Nostro fin dall’università. Frequenti le incursioni storiche, sempre sensate, non inutili ai fini della narrazione, e qui Bertazzoli si illumina, basta cambiare secolo come nell’episodio di Casanova a Napoli o tornare indietro solo di qualche decennio a raccontare le peripezie di qualche podestà locale perché tutto si innalzi a mito, seppur il Giorgio, che non è idiota, descriva epiche figuracce di qualche gerarca, o sfortunate imprese sessuali espunte dalle memorie dal cavaliere di Seingalt intento a costruire la propria leggenda. Nell’episodio storico, Bertazzoli pare prendere la macchina del tempo e filmare la scena, condirla di aneddoti privati, inventanti ma plausibili oppure solo poco noti. La scrittura si fa sceneggiatura e se possibile accelera, lascia l’intento riflessivo e prende, finalmente, il male e il bene per quello che sono: fatti ingiudicabili di quella cosa chiamata vita.
La terza e ultima arma di Bertazzoli per fare i conti col suo passato, per arrivare alla fine del romanzo, per non precipitare nella sconfitta è la fiducia incrollabile nell’amore. L’amore ci farà a pezzi, questo Giorgio lo sa bene, ma non per questo dobbiamo smettere di crederci, non dobbiamo arrenderci. C’è sempre altra vita, c’è sempre qualcosa dopo. Una oscura attrazione che ci fa alzare alla mattina, che ci fa uscire in camicia con 10 gradi sottozero, che ci porta a perdere amici, a tradire anche noi stessi, ma a non arrenderci. Questo è alla fine il senso della cosa scritta di una certa lunghezza di Giorgio Bertazzoli, un romanzo.

di Leonardo Tonini


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