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CLASSICI

Alfredo Ronci

L’irreparabile che oggi appare consueto: “L’Arialda” di Giovanni Testori.

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Scriveva Pedullà a proposito di Testori: I personaggi di Testori si mettono ad urlare appena entrano in scena. Sono isterici e sproloquiano. La gestualità è parossistica, non obbedisce agli ordini della mente: semmai a quelli indecifrabili della psiche. La nevrosi che sembrava privilegio e tormento della borghesia invade la testa del proletariato urbano e del sottoproletariato.
Giusto, ma ne ha subite di angherie pubbliche il Testori prima di essere ritenuto un “provocatore” vincente della nostra letteratura e non solo. Basti pensare a quello che successe all’Arialda nel momento in cui fu rappresentata a teatro (e precisamente all’Eliseo nel 1961).
L’Arialda, come è noto, fece scandalo. Incriminata per offesa al comune senso del pudore, l’opera fu poi assolta. Carlo Bo, cui fu chiesta un’opinione precisa sull’oscenità o meno del dramma e sulla sua qualità di opera d’arte, affermò tra l’altro: “A mio avviso, non vi può essere dubbio sulla qualità di opera d’arte dell’Arialda… Ecco, è il senso vivissimo della sofferenza il termine del riscatto universale e l’arte del Testori ha saputo con grande efficacia ricordarcelo”.
Ma sentite anche questo: E’ come se qualcuno mi avesse calcato il dito sulla fronte mentre nascevo: il segno dell'unzione e insieme il segno del male. [...] Vivevo la mia diversità come dannazione ed espiazione, come destino che non potevo accettare. [...] Ho accettato la mia omosessualità con dolore e disperazione.
E’ la confessione disperata di Testori della sua vita e delle sue espressioni artistiche. Ma davvero cosa c’era di tanto scandaloso e inappropriato in Arialda tanto da smuovere le acque di una cultura italiana persa soltanto dietro meccanismi neorealisti e dietro una oppressione di stampo cattolico?
Siamo in ambito sottoproletario e c’è la lotta vera e propria alla sopravvivenza di un gruppo di persone alle prese con i problemi di tutti ma in un ambiente degradato e malato. C’è Amilcare che sembra volersi sposare con Arialda, ma viene prima sedotto (ma è un inganno) dalla giovanissima Mina e poi stritolato dalle richieste incessanti della vedova Gaetana. Ci sono i figli di Amilcare che sembrano perfettamente adattarsi all’ambiente maschile del momento. C’è appunto Arialda che è intenzionata a cercare una sistemazione per se stessa e c’è infine Eros, il fratello di Arialda, omosessuale e anche prostituto che ha però una relazione con Lino.
La storia, nonostante becchi e contro becchi, è tutta qui ed è soprattutto un accaduto di vendette e soprusi e una vicenda di disperazione e, quella sì assai nuova nella nostra letteratura, di omissioni e omosessualità.
Indubbiamente fu questo a sollevare le ire dei più repressi e di quelli che facilmente si scandalizzavano.
Testori ha indubbiamente raccolto per la strada la voce delle sue infelici creature e ci ha scritto su romanzi e fatto anche, come nel caso de L’Arialda, teatro. Ma, come ha già detto qualcuno… faceva solo finta di registrare con un orecchio ad alta fedeltà il parlato dei suoi poveri personaggi della periferia milanese, ma con l’orecchio più sensibile, con quello ipersensibile, auscultava invece la voce del suo mondo interiore.
In un passo del testo si legge (quando Amilcare se la prende con l’Arialda): Sì? E allora ascolta. Lo sai perché ho preferito la Gaetana? Perché la Gaetana è una donna. Perché è una donna che sa cosa vuol dire star vicino ad un uomo. Perché è una donna che sa far la minestra ma sa anche star nei prati. E se vuoi saper tutto, perché è una donna che non ha un fratello che si chiama Eros.
Poche righe per indicare la statura di un personaggio. E c’era uno scrittore che sapeva cosa era esattamente il contrario e cosa non andava mai fatto. E Testori ci ha indicato esattamente il metro per valutare il grado di oppressione e la tristezza che ne conseguiva.
O come avrebbe detto Roland Barthes… Ad ognuno il suo ritmo di tristezza.



L’edizione da noi considerata è:

Giovanni Testori
L’Arialda
Feltrinelli UE



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