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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Violetta Bellocchio

La festa nera

Chiarelettere, Pag. 176 Euro 15,00
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   Mi piace a volte entrare in libreria e acquistare un libro di cui non so nulla, tranne quel poco che trovo in copertina. E a volte mi imbatto in una bella sorpresa. È il caso di questo libro piccolo, poco appariscente, di cui (per mia ignoranza) non conoscevo l’autrice. Un romanzo distopico, dal linguaggio brillante e spietato.
   La storia si colloca in Italia, nella Val Trebbia, in un futuro non troppo lontano dal nostro, anzi proprio dietro l’angolo. Tutto è immerso in un caos post catastrofico, ma della catastrofe si sa soltanto che ha a che fare con una serie di epidemie devastanti. Del fatto in sé importa poco, perché l’oggetto del romanzo è piuttosto l’avventura di una scalcinata troupe di operatori, impegnata a realizzare video documentari coraggiosi, anzi temerari, in cui si cerca di scoprire in ogni situazione tutto ciò che si nasconde dietro le quinte. I componenti della combriccola sono anch’essi scampati a un disastro, ma nel loro caso si tratta di una disfatta personale, conseguente a una campagna di odio e diffamazione che li ha annichiliti. O quasi. O solo per un po’. Perché a un certo punto si rialzano, raccolgono tutto ciò che rimane, si rimettono in moto. E di nuovo mirano in alto. Questa volta lo scopo dell’impresa è esplorare il territorio alla ricerca delle piccole comunità che si sono formate spontaneamente dopo la catastrofe. Si tratta di gruppi tenuti insieme da fanatismi e superstizioni di diverso tipo, ma tutti ugualmente inquietanti. La troupe dovrà superare la diffidenza, schivare i pericoli, ottenere interviste e possibilmente svelare le motivazioni nascoste delle loro scelte. E infine, ciliegina sulla torta, riuscire nell’impresa quasi impossibile di stanare un leggendario guaritore che si nasconde fra i boschi.
   Questa è la materia del romanzo, che si sviluppa intorno a due punti di forza. Uno è la descrizione delle più assurde modalità di comportamento attuate nelle comunità investigate (e qui davvero la fantasia si sbizzarrisce). L’altro è il racconto dei metodi e delle imprese del personaggio più carismatico della troupe, la punta di diamante, quella Misha capace di miracoli spietati. Quella che induce anche i più reticenti a scoprire il fianco, a lasciarsi sfuggire una smorfia o una sillaba che apra uno spiraglio sul retroscena di una scelta, fino a svelare il segreto di una vita o la trama di una mistificazione.
   Ridotta a una vita ritirata, quasi vegetativa, dalla precedente esperienza traumatica, Misha viene recuperata (in realtà praticamente rapita) dai compagni che la rimettono in marcia. E lei, dal momento che ce l’ha nel sangue, riprende a fare quello che sa fare meglio: affondare il bisturi nelle vite degli altri a beneficio degli spettatori.
   Io sento… - sta dicendo Misha – io sento che c’è qualcosa che non mi hai detto. (…) Jessarae ride, piano, ma non parla. Misha cambia tattica. Lo sai cosa mi è successo?, chiede. Ha una voce da sorella maggiore. Silenzio. Immagino Jessarae che muove la testa, sì sì. Un ragazzo di Perino me l’ha fatto vedere sul telefono, dice. Misha continua. Allora lo sai che io non sono nella posizione di giudicare nessuno. Non è che non voglio, non posso. (…) La sua voce sono due dita dentro una bocca. E la storia esce dalla bocca di Jessarae, con molte pause, prima, poi tutta di fila, e noi qui abbiamo fatto centro, centro, cen-tro.
   Chi racconta in prima persona è una compagna di lavoro di Misha, testimone diretta di tutta la storia. E la storia procede inanellando una stupefacente serie di perversioni mistiche. Ci sono quelli che credono nella fine del mondo, solo che pensano sia già avvenuta, per cui rifiutano tutto quello che è venuto dopo come se non fosse reale.  Altri si infliggono volontariamente dolore, come se questo fosse l’unico senso del loro stare al mondo. Poi ci sono gli uomini che rifuggono dal contatto con le donne come se si trattasse di un pericolo mortale. E una strana scuola dove i bambini imparano a usare le armi da fuoco.
   Una scrittura diretta e fulminante, che impasta narrazione e dialoghi in un unico fiume in piena, tiene incollati alla pagina.

di Giovanna Repetto


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