RECENSIONI
Sorj Chalandon
La quarta parete
Keller, Pag. 288 Euro 16,50
Di Chalandon, che ha lavorato come cronista in alcuni dei più roventi teatri di guerra, ho molto amato il precedente Chiederò perdono ai sogni, romanzo profondamente intrecciato con la storia d’Irlanda. Tutt’altra ambientazione, questa volta: è il Libano martoriato degli anni ottanta. Ma la scrittura non cambia. La stessa potenza drammatica, la scultura dei personaggi, il coinvolgimento che di prepotenza ti fa entrare nella storia. Il fascino della sua narrazione fa accettare tutto. Anche la durezza, anche la crudeltà. Le sue sono storie adulte, in cui la realtà non viene edulcorata, in cui possiamo perdere tragicamente anche i personaggi che più amiamo. A maggior ragione, dunque, in questo negozio senza sconti, apprezziamo i momenti in cui la bellezza trionfa a dispetto di ogni cosa.
Un gusto particolare proveranno gli amanti del teatro, perché è di teatro che si parla, e della sua funzione di linguaggio universale che riesce talvolta a operare straordinari, seppur brevi, miracoli.
Un miracolo: è questa la missione che Georges, uomo di teatro, ha incautamente accettato dal suo amico e compagno di battaglie, il greco Samuel, ebreo e dissidente sfuggito al regime dei colonnelli. Dopo aver condiviso con lui a Parigi la militanza politica, Samuel ha concepito un progetto audace e visionario: rappresentare l’Antigone di Anouilh nella città di Beirut sconvolta dalla guerra civile, impiegando come attori dei rappresentanti di tutte le fazioni in lotta. Sarà un potente messaggio di pace, un atto davvero rivoluzionario. Samuel ha già posto le basi dell’impresa prendendo i primi contatti ma, costretto in un letto d’ospedale da una grave malattia, affida all’amico l’incarico di portarla a conclusione. Una cosa da pazzi, ma per Georges assume la sacralità di un testamento, con l’aggravante che Samuel è ancora in vita e segue a distanza le fasi del lavoro.
Così Georges approda là dove un autista druso lo aspetta per consegnargli un ventaglio di lasciapassare (e guai a confondersi, e mostrare a una fazione il lasciapassare di quella avversa, c’è da rischiare la vita) e scarrozzarlo qua e là tra posti di blocco, fischi di pallottole e scoppi di granate. Il primo passo sarà cercare di convincere gli attori e i loro parenti a dare l’assenso. Dovrà dimostrare a dei fondamentalisti sciiti che l’Antigone non viola alcun precetto islamico, dovrà parlamentare con un cecchino maronita in piena attività affinché consenta al fratello di recitare insieme a una sunnita palestinese.
Ma il miracolo sembra vicino al compimento quando in un vecchio teatro semi diroccato gli attori si incontrano per la prima volta tutti insieme: il cristiano maronita, la caldea, l’armena, il druso, la sunnita e gli sciiti. E Georges, in onore dell’amico ebreo, indossa la kippah.
Imane ha sorriso. Poi ha inspirato, tesa, i pugni lungo il corpo. Ha abbassato la testa, cercando in sé uno sguardo che non fosse il suo. Charbel ha capito (…) Il momento era magnifico. Due attori che si misuravano. Non cristiano, né sunnita, non Libanese, né palestinese. Due personaggi di teatro, Antigone e Creonte.
Non c’è da illudersi, non sarà uno spettacolo a porre fine alla guerra, né a mutare i cuori avvelenati dall’odio. Chalandon non predica l’ottimismo, non istiga all’utopia. Ma affascinato da certi momenti rari, e commosso dal fatto che si possano talvolta cogliere, scioglie un inno alla bellezza.
di Giovanna Repetto
Un gusto particolare proveranno gli amanti del teatro, perché è di teatro che si parla, e della sua funzione di linguaggio universale che riesce talvolta a operare straordinari, seppur brevi, miracoli.
Un miracolo: è questa la missione che Georges, uomo di teatro, ha incautamente accettato dal suo amico e compagno di battaglie, il greco Samuel, ebreo e dissidente sfuggito al regime dei colonnelli. Dopo aver condiviso con lui a Parigi la militanza politica, Samuel ha concepito un progetto audace e visionario: rappresentare l’Antigone di Anouilh nella città di Beirut sconvolta dalla guerra civile, impiegando come attori dei rappresentanti di tutte le fazioni in lotta. Sarà un potente messaggio di pace, un atto davvero rivoluzionario. Samuel ha già posto le basi dell’impresa prendendo i primi contatti ma, costretto in un letto d’ospedale da una grave malattia, affida all’amico l’incarico di portarla a conclusione. Una cosa da pazzi, ma per Georges assume la sacralità di un testamento, con l’aggravante che Samuel è ancora in vita e segue a distanza le fasi del lavoro.
Così Georges approda là dove un autista druso lo aspetta per consegnargli un ventaglio di lasciapassare (e guai a confondersi, e mostrare a una fazione il lasciapassare di quella avversa, c’è da rischiare la vita) e scarrozzarlo qua e là tra posti di blocco, fischi di pallottole e scoppi di granate. Il primo passo sarà cercare di convincere gli attori e i loro parenti a dare l’assenso. Dovrà dimostrare a dei fondamentalisti sciiti che l’Antigone non viola alcun precetto islamico, dovrà parlamentare con un cecchino maronita in piena attività affinché consenta al fratello di recitare insieme a una sunnita palestinese.
Ma il miracolo sembra vicino al compimento quando in un vecchio teatro semi diroccato gli attori si incontrano per la prima volta tutti insieme: il cristiano maronita, la caldea, l’armena, il druso, la sunnita e gli sciiti. E Georges, in onore dell’amico ebreo, indossa la kippah.
Imane ha sorriso. Poi ha inspirato, tesa, i pugni lungo il corpo. Ha abbassato la testa, cercando in sé uno sguardo che non fosse il suo. Charbel ha capito (…) Il momento era magnifico. Due attori che si misuravano. Non cristiano, né sunnita, non Libanese, né palestinese. Due personaggi di teatro, Antigone e Creonte.
Non c’è da illudersi, non sarà uno spettacolo a porre fine alla guerra, né a mutare i cuori avvelenati dall’odio. Chalandon non predica l’ottimismo, non istiga all’utopia. Ma affascinato da certi momenti rari, e commosso dal fatto che si possano talvolta cogliere, scioglie un inno alla bellezza.
di Giovanna Repetto
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Sorj Chalandon
Chiederò perdono ai sogni
Keller, Pag. 288 Euro 16.50Un romanzo straordinario, a suo modo intensamente poetico, per quanto scabro come una carta vetrata. Del resto non c’era posto per sentimentalismi nella dura vita degli irlandesi, sia che abitassero nell’Ulster sotto il peso di umilianti discriminazioni, sia che fossero liberi cittadini della Repubblica,coinvolti comunque nelle passioni di una lotta senza tregua. Erano i tempi dell’IRA, prima che deponesse le armi.
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