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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Irena Brežná

Le lupe di Sernovodsk

Keller Editore, Traduzione di Alice Rampinelli, Pag. 224 Euro 16,00
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   Sottotitolo: Reportage sulla Cecenia
   L’Autrice, di origine cecoslovacca, vive e lavora in Svizzera come giornalista. Dei suoi viaggi sui teatri di guerra riporta qui le cronache finalmente restituite all’integrità del suo punto di vista, liberate cioè da quelle censure e manipolazioni imposte dalla committenza, perché le redazioni dei giornali mal sopportano che la verità esca troppo dai luoghi comuni. È quasi un’ossessione, più volte ribadita, quella del gap fra ciò che vorrebbe dire e mostrare e i compromessi che umiliano la sua libertà di osservazione.
   Lei vede la dignità e la caparbietà stoica del popolo ceceno, ma i giornali per cui scrive cercano la lacrima e i facili effetti. Se vuoi trovare spazio nei media ti devi adeguare.
   Non è importante se così facendo si lascia passare un messaggio sbagliato, se la Cecenia non è una terra di lacrime, se qui piangere per il proprio destino è qualcosa che davvero non si fa.
   Nel libro sono raccolti articoli scritti in tempi diversi, e riferiti alle due guerre scoppiate fra Mosca e Groznyj. In alcuni di essi l’Autrice dà un resoconto drammatico della sua personale esperienza sui teatri di guerra. Racconta le emozioni proprie insieme a quelle che i protagonisti lasciano trapelare a dispetto di un pervicace senso di dignità. Quali protagonisti? Tutto il libro è pervaso dalla sensazione che i protagonisti siano le donne, specialmente le madri. Alla fine della lettura si ha l’impressione di aver contemplato il gigantesco affresco di una Deposizione.  
   Per la drammaticità dei fatti, la partecipazione emotiva, il coinvolgimento diretto in azioni rischiose come l’attraversamento dei posti di blocco con una falsa identità, il libro si legge come un reportage ma anche come un romanzo. L’emozione è palpabile.
   A volte la descrizione ha il tono di una rappresentazione corale, in altri momenti si focalizza su singoli episodi. Si tratta di terribili atrocità, ma anche di generosità e di coraggio, come nel caso del giovane soldato russo che si rifiuta di sparare sugli inermi. In ogni momento emergono straordinarie figure di donne, dotate di un singolare senso della dignità e del coraggio, a dispetto di tutto. Ce n’è una in particolare con cui Irena ha intrecciato un rapporto di stima e di affetto, condividendo le traversie dei suoi difficili reportage. È Zajnap, moglie e madre, ma soprattutto apostola infaticabile della causa cecena.
   Zajnap sa che deve diffondere la malattia della guerra per curare il suo popolo, infettare altri con la sua irrequietezza, avvolgere gli abiti stranieri nel familiare odore della polvere da sparo. È una guerra celata al mondo, e Zajnap la deve esportare per porvi fine.
    Non mancano riflessioni politiche e sociologiche, fino alle interpretazioni psicologiche del rapporto fra i popoli contendenti. A sorpresa scaturisce l’immagine di una Russia che si vive come un’amante tradita.
   Il male è l’autonomia dell’altro. Il processo di decolonizzazione, avviato nel 1991 dai popoli soggiogati, è vissuto in simbiosi dai signori coloniali come una delusione d’amore.  
   L’Autrice, emigrata da tempo in Svizzera, dedica molta attenzione all’uso della lingua, perché è la lingua lo strumento con cui si può dare unità e senso alla realtà.  
Nello scrivere della guerra in Cecenia desidero ardentemente che alla distruzione sia attribuita un’esistenza giusta, linguistica, come è avvenuto per me, che mi sono rialzata dall’esilio svizzero nella nuova lingua, in cui ho trovato la dignità del menomato.  Il mio tedesco è la lingua di chi è stato muto, non è scontata, ogni parola cela il desiderio di sopravvivere.
   Un libro coraggioso, che parlando della guerra enuncia la natura eroica e crudele del giornalismo. Non è un caso se riporta, a mo’ di prefazione, un breve articolo di Anna Politkovskaja, scritto prima di essere barbaramente assassinata.

di Giovanna Repetto


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