CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini
No, i National non sono il solito gruppo che imita l'ondata Joy Division...

Quando ci si imbatte in un album come High Violet e lo si ascolta per la prima volta e questa prima volta lascia perplessi ma poi viene la voglia di riascoltarlo e dopo la seconda, la terza, la quarta volta ci si accorge che sì, c'è effettivamente qualcosa in quei suoni; bè... quando succede questo e quando alla fine non puoi più smettere di ascoltarlo; bé... forse siamo in presenza di un capolavoro. Ora, magari questa parola è un po' abusata di questi tempi ma personalmente cerco sempre di centellinarla e sulla pagine di questa rivista nei primi mesi del 2010 la palma se l'è aggiudicata solo Four Tet. Il quintetto di Brooklyn, attivo sin dal 1999, e che nelle recenti elezioni americane ha supportato la candidatura di Obama, ha fatto centro. E che centro. Lanciata al grande pubblico da quella straordinaria etichetta discografica che risponde al nome di Beggar's Banquet con cui hanno pubblicato i due precedenti album, i National hanno realizzato undici struggenti pezzi di rock cupo e melanconico, un indie-rock dal sapore leggermente e delicatamente maudit senza mai, e questa è un'impresa, fare il verso ai grandi del genere; ci sono, (Terrible love) ma non vengono mai scimmiottati, i Joy Division, a tratti addirittura il cantante Matt Berninger sventola, con la sua ugola bassa e struggente, la bandiera del Serge Gainsbourg che fu (la bellissima Runaway che suona come una ballata rock-blues per sola voce). Ma poi si passa a tanto altro. Il singolo Anyone's Ghost è una suadente ballata dark, così come suadente e dolcemente triste è Conversation16 (forse il pezzo più bello). La cupezza tuttavia non tracima mai in lagna, come spesso è accaduto per gruppi del genere. La cupezza rimane sospesa sulle tastiere e sul basso come una mosca che non voglia mai posarsi. Afraid of everyone, il brano presentato con un'eleganza graffiante al David Letterman Show, incanta e incalza. Sale vibrante e impetuoso il suo ritmo man mano che Berninger canta la sua paura per tutti. Voi direte, ma ci sono gli Arcade Fire in alcuni brani! E io vi rispondo, sì ma non è proprio così. I National riesco sempre a sfuggire, magari a se stessi, e a inoltrarsi per sentieri incantevoli e incantati (Bloodbuzz Ohio, no! No! Arcade Fire). Spaziale, retrò, adeguatamente lamentoso. High violet dimostra come si possa fare ancora grande musica coi resti del passato, visto che la novità non è che il risultato di un rimescolamento, seppur furbo e calibrato. Ma voi provate a collocare Lemonworld in una qualche etichetta stilistica. Editors? Interpol? Può darsi. Intanto ascoltatelo e ditemi. Belli e convincenti. Forti e scarmigliati come tutti quelli che hanno una grande personalità. Sì, capolavoro!
The National
High Violet
4AD
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