ATTUALITA'
Michele Lupo
Oltre il Piano B
Ci sarebbe un modo leggero di leggere il libro di Gianfranco Franchi (L'arte del Piano b): intenderlo come un divertissment, non perché mero esercizio ludico, ma parodico "manuale di sopravvivenza" sentito e insieme ironico, appassionato ma divertito. Forse è il più lecito. Ma intanto non vorrei fare una "normale" recensione: niente libro bello, brutto o così così, secondo categorie che una volta sentii dalla bocca dell'ottimo ma non infallibile Cesare Garboli definire stupide e – questo era un portato d'epoca, sebbene alla sua fine – "piccolo borghesi". Non per sfuggire all'imbarazzo di scrivere di un amico, nonché sodale di una piccola ma tenace impresa letteraria quale quella del 'Paradiso degli Orchi' (imbarazzo che il giudizio positivo sul libro di un amico non impedisce perché sarebbero facili i sospetti di comunella da piccola società letteraria, laddove chi scrive ha sempre biasimato l'affaire su piccola o larga scala di intrecci letterari di favori reciproci – una più comica e trista versione dei berlusconiani conflitti d'interesse: a sinistra più che a destra - solo perché di scrittori dichiaratamente "di destra" in Italia non se ne vedono e quelli che sì in effetti meglio sorvolare).
Piuttosto, il libro di Gianfranco mi offre lo spunto per porgli qualche domanda sperabilmente interessante non solo per lui, ma per i frequentatori della rivista, e interessanti perché, nelle mie modeste intenzioni, a partire dal Piano B si possono aprire domande su questioni più ampie, certo impegnative ma credo necessarie – ripeto, forzando forse le stesse intenzioni dell'autore, al quale ho chiesto preventivamente disponibilità a questo confronto.
Un passo indietro. Sulle singole declinazioni (e opinioni implicite) del manualetto si può concordare o dissentire. Per esempio, a me persuade la serie "documentazione, progettazione, sperimentazione, attuazione", mi piace e molto il richiamo, seppur detto con passo lieve ma tutt'altro che esangue, alla serietà, al rigore, alla concentrazione; l'invito a sgamare i "venditori di culo", quelli che senza mestiere, dedizione, professionalità vogliono venderti la facilità di una botta di culo, appunto; mi piace l'istinto di Gianfranco che sa guardare oltre la superficie del teatro della vita; e mi piace moltissimo il coraggio di mettersi in gioco.
Franchi ha qualcosa del romantico; di non scontata accezione. Il tipo da Piano B nelle intenzioni dell'autore è un individuo lucido, freddo. Uno stratega, a suo modo. Termini tutti che non sembrano consegnarlo a un'immagine romantica, almeno a dar retta alla vulgata. Che difatti mica è tanto sballata: è solo che Franchi lo è, romantico, come può esserlo un uomo di questi anni, che non sono evidentemente quelli di Novalis. Come può esserlo un uomo ossimorico e sufficientemente addestrato non solo alle buone letture, ma consapevole della complessità strutturale del mondo in cui vive: un mondo che non cambia con una manifestazione, figuriamoci con una poesia.
Non sono sicuro invece del sentimento con cui Gianfranco riprende il motivo dell'eccezionalità italiana, dell'essere versati al Piano B (gli "artifici, gli espedienti, gli escamotage" per sopravvivere ai popoli dominatori): credo che il compiacimento – qualora vi fosse ed è una delle domande che gli pongo - per questa tradizione (vocazione?) non ci faccia bene. E con esso la parola "disfattismo": evoca brutte storie. Ancora: non so se i Dardenne siano dei vetero-marxisti ma 'Rosetta' è a mio avviso un non piccolo film; e lo sono anche alcuni titoli di Kaurismaki.
Ciò detto, vedo una componente romantica nella generosità dell'approccio di Gianfranco alle cose, e agli altri. Romantica – imperturbabile e febbrile insieme - sembra la sua stessa sfida, il suo proprio Piano B (è fin troppo ovvio immaginare che ne abbia uno). L'intrapresa e durata di "Lankelot", il portale da lui fondato, lo conferma con un'evidenza palmare. L'amore per la letteratura, quella vera, il lavoro e il sostegno alla piccola editoria di qualità - non è una cosa scontata. L'ambiente letterario in Italia, spesso è fatto di gente del cazzo. C'è chi scrive bene - personalmente, se un libro mi convince, tendo a non farmi condizionare dalla biografia dell'autore; mi frega poco se è uno stronzo, e nemmeno se lo è il suo editore; o qualcuno pensa di dar fuoco alla moltitudine di capolavori della storia dell'arte firmati da emeriti figli di puttana? – Però, c'è chi scrive bene ma resta un odioso opportunista, un ipocrita arrivista, un servile intrallazzatore. E quanto questo faccia male al paese non dovrebbe esserci bisogno di ricordarlo. Di berlusconismo editoriale e "letterario" son piene le pagine de "la Repubblica", per esempio. Sono le imprese come 'Lankelot', o il 'PDO' che state leggendo – del tutto sottratte a qualsiasi logica commerciale – a tenere in piedi quel po' che resta di salute "letteraria" contro le pile di merda che occupano militarmente le librerie sponsorizzate da recensori compiacenti etc...
Insomma, mi parrebbe quello di Gianfranco un romanticismo robusto ma temperato (ne partecipa anche la "zemanite", che non è una malattia di malinconici "perdenti" per il semplice fatto che la sconfitta è solo l'esito apparecchiato per chi non ha occhi per la bellezza). Invece mi disorienta l'abbraccio pop con "il sovrano artefice delle coincidenze", con il Dio cui conviene credere secondo antica utilitaristica disposizione pascaliana. E sulla stessa via, antitragica, mi sembra il riferimento alla Dissimulazione Onesta dell'Accetto, compagno di viaggio del tipo da Piano B.
Ora, non so se si tratti di aporie testuali, di legittime oscillazioni biografiche, o di imperizia ermeneutica del lettore. Ma v'è una zona di complicazione centrifuga che forse sussume alcuni dei punti a mio avviso dilemmatici, ed è quella che qui vorrei aprire all'attenzione di Gianfranco e dei lettori. Parlo della "politica": metto le virgolette perché non intendo la parola come adesione eventuale o già implicita a un partito, ma a un'interrogazione delle categorie politiche il cui sommario abbandono a mio avviso non sarebbe un buon viatico per avvicinare il futuro (che è già ora). A latere di altri libri, di recente abbiamo io e Franchi abbozzato qualche frammento di possibile discussione intorno alla generazione dei trentenni, io lamentando, molto alla grossa, una certa qual vaghezza di propositi, un'opacità "politica" che al fondo sembra sapere quello che non vuole (il rifiuto in blocco di schemi ideologici del passato) ma non pare altrettanto sicura (o addirittura seriamente interessata) nel proporre nuovi indici (cauti, flessibili ma forti) per un progetto di più ampio respiro. Mancando il quale trovo difficile immaginare cambiamenti significativi (naturalmente, qui riassumo al netto di un'altra evidenza: sono fuori causa gli slogan rimasticati senza lucidità dai cosiddetti "indignados", quando pure autentici - parlo delle insorgenze più spettacolari, quelle in superficie, forse costrette esse stesse da schemi giornalistici a formulazioni sbrigative). Mi domando se non si annidi una sorta di rifiuto pregiudiziale delle categorie del politico, come se il loro lascito novecentesco fosse soltanto un cumulo di morti e di macerie.
La domanda sincera insomma è: può un 'Piano B' fare a meno di una progettualità politica che, appresa dal passato la lezione di quanto sia catastrofico irreggimentare il mondo in una interpretazione che lo contenga interamente (uno dei peccati capitali di Marx cui intanto sfugge l'irripetibilità non deterministica di ogni vita umana), sappia tuttavia articolare convinzioni e intenzioni – duttili, sempre auto-critiche, certo - che eccedendo la pura teoria oltrepassino insieme la dimensione meramente individuale del vivere? È possibile concepire vite in astratto, ossia avulse dai contesti materiali, economici, fattuali del mondo in cui siamo immersi?
Ricorderò una cosa molto semplice. In natura la democrazia non esiste. Non v'è niente, ma niente, nella storia d'Occidente, di quello che consideriamo civile, appena giusto, "democratico" (legislazioni sociali, diritto a un vita dignitosa, la stessa "libera" partecipazione alla vita politica: sapete tutti che potrei continuare per interi volumi) che non sia stato conquistato, con durezza estrema spesso, a costo della vita. Non è retorica, è l'abc della storia dei padri. Anche e soprattutto di quelli più ravvicinati, del secolo scorso. Perciò chiedo a Gianfranco se al di là delle fondamentali risorse individuali - della "disposizione spirituale", dello "stato mentale" di un Piano B, propedeutici a qualsiasi svolta della storia - non riterrà davvero che si è sempre e comunque artefici del proprio destino. Se crede che basti l'onestà – necessaria, certo, la stessa che muove questo mio intervento. Se, per tornare all'Italia, l'antropologia evocata dal suo libro non meriterebbe di farsi non solo civismo (esempio individuale, rispetto delle regole, pagare le tasse eh...) ma rinnovata vita pubblica ossia politica in un paese che ne è privo con somma disgrazia di tutti. Non meriterebbe il paese un Piano B da Trieste a Palermo? E se sì, questo non significa abbozzare risposte proposte idee concrete, traduzioni di aperte ma non deboli "visioni del mondo" che soltanto un'ideologia massiva, la presente e nascosta e spacciata per "natura" dal delinquenziale iper-capitalismo finanziario biasima come "ideologiche"?
Con stima e affetto
Piuttosto, il libro di Gianfranco mi offre lo spunto per porgli qualche domanda sperabilmente interessante non solo per lui, ma per i frequentatori della rivista, e interessanti perché, nelle mie modeste intenzioni, a partire dal Piano B si possono aprire domande su questioni più ampie, certo impegnative ma credo necessarie – ripeto, forzando forse le stesse intenzioni dell'autore, al quale ho chiesto preventivamente disponibilità a questo confronto.
Un passo indietro. Sulle singole declinazioni (e opinioni implicite) del manualetto si può concordare o dissentire. Per esempio, a me persuade la serie "documentazione, progettazione, sperimentazione, attuazione", mi piace e molto il richiamo, seppur detto con passo lieve ma tutt'altro che esangue, alla serietà, al rigore, alla concentrazione; l'invito a sgamare i "venditori di culo", quelli che senza mestiere, dedizione, professionalità vogliono venderti la facilità di una botta di culo, appunto; mi piace l'istinto di Gianfranco che sa guardare oltre la superficie del teatro della vita; e mi piace moltissimo il coraggio di mettersi in gioco.
Franchi ha qualcosa del romantico; di non scontata accezione. Il tipo da Piano B nelle intenzioni dell'autore è un individuo lucido, freddo. Uno stratega, a suo modo. Termini tutti che non sembrano consegnarlo a un'immagine romantica, almeno a dar retta alla vulgata. Che difatti mica è tanto sballata: è solo che Franchi lo è, romantico, come può esserlo un uomo di questi anni, che non sono evidentemente quelli di Novalis. Come può esserlo un uomo ossimorico e sufficientemente addestrato non solo alle buone letture, ma consapevole della complessità strutturale del mondo in cui vive: un mondo che non cambia con una manifestazione, figuriamoci con una poesia.
Non sono sicuro invece del sentimento con cui Gianfranco riprende il motivo dell'eccezionalità italiana, dell'essere versati al Piano B (gli "artifici, gli espedienti, gli escamotage" per sopravvivere ai popoli dominatori): credo che il compiacimento – qualora vi fosse ed è una delle domande che gli pongo - per questa tradizione (vocazione?) non ci faccia bene. E con esso la parola "disfattismo": evoca brutte storie. Ancora: non so se i Dardenne siano dei vetero-marxisti ma 'Rosetta' è a mio avviso un non piccolo film; e lo sono anche alcuni titoli di Kaurismaki.
Ciò detto, vedo una componente romantica nella generosità dell'approccio di Gianfranco alle cose, e agli altri. Romantica – imperturbabile e febbrile insieme - sembra la sua stessa sfida, il suo proprio Piano B (è fin troppo ovvio immaginare che ne abbia uno). L'intrapresa e durata di "Lankelot", il portale da lui fondato, lo conferma con un'evidenza palmare. L'amore per la letteratura, quella vera, il lavoro e il sostegno alla piccola editoria di qualità - non è una cosa scontata. L'ambiente letterario in Italia, spesso è fatto di gente del cazzo. C'è chi scrive bene - personalmente, se un libro mi convince, tendo a non farmi condizionare dalla biografia dell'autore; mi frega poco se è uno stronzo, e nemmeno se lo è il suo editore; o qualcuno pensa di dar fuoco alla moltitudine di capolavori della storia dell'arte firmati da emeriti figli di puttana? – Però, c'è chi scrive bene ma resta un odioso opportunista, un ipocrita arrivista, un servile intrallazzatore. E quanto questo faccia male al paese non dovrebbe esserci bisogno di ricordarlo. Di berlusconismo editoriale e "letterario" son piene le pagine de "la Repubblica", per esempio. Sono le imprese come 'Lankelot', o il 'PDO' che state leggendo – del tutto sottratte a qualsiasi logica commerciale – a tenere in piedi quel po' che resta di salute "letteraria" contro le pile di merda che occupano militarmente le librerie sponsorizzate da recensori compiacenti etc...
Insomma, mi parrebbe quello di Gianfranco un romanticismo robusto ma temperato (ne partecipa anche la "zemanite", che non è una malattia di malinconici "perdenti" per il semplice fatto che la sconfitta è solo l'esito apparecchiato per chi non ha occhi per la bellezza). Invece mi disorienta l'abbraccio pop con "il sovrano artefice delle coincidenze", con il Dio cui conviene credere secondo antica utilitaristica disposizione pascaliana. E sulla stessa via, antitragica, mi sembra il riferimento alla Dissimulazione Onesta dell'Accetto, compagno di viaggio del tipo da Piano B.
Ora, non so se si tratti di aporie testuali, di legittime oscillazioni biografiche, o di imperizia ermeneutica del lettore. Ma v'è una zona di complicazione centrifuga che forse sussume alcuni dei punti a mio avviso dilemmatici, ed è quella che qui vorrei aprire all'attenzione di Gianfranco e dei lettori. Parlo della "politica": metto le virgolette perché non intendo la parola come adesione eventuale o già implicita a un partito, ma a un'interrogazione delle categorie politiche il cui sommario abbandono a mio avviso non sarebbe un buon viatico per avvicinare il futuro (che è già ora). A latere di altri libri, di recente abbiamo io e Franchi abbozzato qualche frammento di possibile discussione intorno alla generazione dei trentenni, io lamentando, molto alla grossa, una certa qual vaghezza di propositi, un'opacità "politica" che al fondo sembra sapere quello che non vuole (il rifiuto in blocco di schemi ideologici del passato) ma non pare altrettanto sicura (o addirittura seriamente interessata) nel proporre nuovi indici (cauti, flessibili ma forti) per un progetto di più ampio respiro. Mancando il quale trovo difficile immaginare cambiamenti significativi (naturalmente, qui riassumo al netto di un'altra evidenza: sono fuori causa gli slogan rimasticati senza lucidità dai cosiddetti "indignados", quando pure autentici - parlo delle insorgenze più spettacolari, quelle in superficie, forse costrette esse stesse da schemi giornalistici a formulazioni sbrigative). Mi domando se non si annidi una sorta di rifiuto pregiudiziale delle categorie del politico, come se il loro lascito novecentesco fosse soltanto un cumulo di morti e di macerie.
La domanda sincera insomma è: può un 'Piano B' fare a meno di una progettualità politica che, appresa dal passato la lezione di quanto sia catastrofico irreggimentare il mondo in una interpretazione che lo contenga interamente (uno dei peccati capitali di Marx cui intanto sfugge l'irripetibilità non deterministica di ogni vita umana), sappia tuttavia articolare convinzioni e intenzioni – duttili, sempre auto-critiche, certo - che eccedendo la pura teoria oltrepassino insieme la dimensione meramente individuale del vivere? È possibile concepire vite in astratto, ossia avulse dai contesti materiali, economici, fattuali del mondo in cui siamo immersi?
Ricorderò una cosa molto semplice. In natura la democrazia non esiste. Non v'è niente, ma niente, nella storia d'Occidente, di quello che consideriamo civile, appena giusto, "democratico" (legislazioni sociali, diritto a un vita dignitosa, la stessa "libera" partecipazione alla vita politica: sapete tutti che potrei continuare per interi volumi) che non sia stato conquistato, con durezza estrema spesso, a costo della vita. Non è retorica, è l'abc della storia dei padri. Anche e soprattutto di quelli più ravvicinati, del secolo scorso. Perciò chiedo a Gianfranco se al di là delle fondamentali risorse individuali - della "disposizione spirituale", dello "stato mentale" di un Piano B, propedeutici a qualsiasi svolta della storia - non riterrà davvero che si è sempre e comunque artefici del proprio destino. Se crede che basti l'onestà – necessaria, certo, la stessa che muove questo mio intervento. Se, per tornare all'Italia, l'antropologia evocata dal suo libro non meriterebbe di farsi non solo civismo (esempio individuale, rispetto delle regole, pagare le tasse eh...) ma rinnovata vita pubblica ossia politica in un paese che ne è privo con somma disgrazia di tutti. Non meriterebbe il paese un Piano B da Trieste a Palermo? E se sì, questo non significa abbozzare risposte proposte idee concrete, traduzioni di aperte ma non deboli "visioni del mondo" che soltanto un'ideologia massiva, la presente e nascosta e spacciata per "natura" dal delinquenziale iper-capitalismo finanziario biasima come "ideologiche"?
Con stima e affetto
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