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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Gabriele Dadati

Per rivedere te

Barney Edizioni, Pag. 243 Euro 12,00
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Il tempo recuperato e ridonato di Dadati è una narrazione piana che davvero si svolge nella Piana padana dove non è detto però che manchino ostacoli e barriere. E’ la Brianza dei conflitti reali e sopiti, è l’esistenza di Gabriele tra precariato dovuto in primis alla Putain Letteratura che l’assorbe, perché egli è scrittore qualsiasi cosa voglia dire, tra composizione onesta dunque e turistiche happy hours di provincia. Se il Nostro non fosse stato capace di tale impresa, il suo tempo sarebbe andato perso, non riconsegnato in forma discorsiva con un doppio - il tu esistenziale del racconto - che si rivela tipico di una condizione e un lui, l’accanito scrittore che scientemente deve raggiungere il pubblico, la relazione premiante, il riconoscimento di un fare che altrimenti sarebbe solo sofferenza. L’avventura invece, si trasforma in contributo alle forme del pensiero, della meditazione, nonché tuttavia della pura evasione, ovvero, della Recherche in cui l’io scompare a favore di un sé che anche il lettore deve riscoprire per capire le fatiche quotidiane del protagonista che sei persino tu, benchè egli parli solo di sè, conscio di edonismi d’accatto momentanei e dell’appartenza al mondo problematico dei trentenni, alla situazione post adolescenziale priva di risvolti brillanti nella condivisione di un alto tasso alcolico, troppe volte, unico  contenuto. Miseria e nausea a palate ma l’autore non si lagna, sa raccontare, potenzia il quotidiano di valenze descrittive non puramente riempitive.  Il puntinismo di Dadati è lirico, efficace, linguisticamente esperto. Affermare che l’autore non è impressionante ma impressionista, significa che la tecnica, la competenza grammaticale e lessicale, ha incontrato il sentimento, il cuore, la vita. Per chi qui recensisce, l’impressionismo è arte, sapienza, cultura e soprattutto modernità, purtroppo cancellata da tarde stratificazioni cafonesche, vistose e tamarre che di moderno e progressista non hanno sentore. Sono stagnazioni semmai che pretendono di possedere l’accelerazione – un esistente piatto e tumultuoso sempre doppato, alcolico, colloso, seriale, imitatitivo, pluriticchettante, insulso - che infine risulta finto vitalista e per giunta di facciata, sostanzialmente distruttiva. Si tratta di fatto di un nulla senza modernità e senza bellezza. La fiacchezza e la stanchezza, la tale tipicità di una gioventù sfrenata, bizzarra e servile che si piange addosso perché non potrà pagare i mutui, è la grottesca rappresentazione non del futuro ma dell’incapacità a prefigurarlo. Non si va neppure per tentativi, perché non s’individua il coraggio di forzare l’establishment con la sottrazione di energie, senza lagnanze e senza violenza. La specificità d’azione e di teoria non passa neppure per l’anticamera del cervello delle minuscole entità autorefenziali, ma già schiacciate, destinate al ruolo di comparse nel romanzo così come nella realtà. Gabriele Dadati non ha toni critici o accusatori, evita ogni enfasi, non pone il rimedio o il limite politico della condizione post adolescenziale; egli dice e parla di sé, non cerca la coloritura, il selvaggio west del folclore. Gabriele Dadati racconta di un orrore minimo per le cene di classe, di una quotidianità nutrita da ambizioni i cui agenti sono dei pivelli la cui cultura generale consiste in una vaga idea dell’estero dove peraltro si son recati a bere, o per tentare la carriera del niente, seppure con pretese di dottorati e ricerche scientifiche. A parte i rari casi di veri cervelli in fuga o in via di ritorno, fa lo stesso, la maggioranza di tali capre ha appuntamento con l’aperitivo, col momento centrale di un turismo da pub per cui il brindisi sostituisce il voyage, la relazione piena, la scoperta di quel sé che inevitabilmente, rispettosamente, conduce all’altro, alle forme di vera vicinanza che ci porta tutti a ricordare, a consegnare la nostra vita e il nostro passato nelle mani di chi ascolta e che a sua volta, possibilmente, potenzialmente, ci fa entrare nel suo universo. Non è questione da affrontare  la condanna dei personaggi meschini che popolano la realtà di cui, per forza di cose, ognuno fa parte provandone persino repulsione e schifo. L’autore fa a meno della lezione del realismo; la verisimiglianza, qui, è diaristica in maniera morbida, senza quelle sintesi autobiografiche,  quei picchi avventurosi delle confessioni. Certo, l’incubo del cane investito sotto gli pneumatici con tutto quello che ne consegue nel reticolato delle adempienze, dei chiarimenti, delle ragioni e dei torti, delle speculazioni strategiche per non dialogare ma fatte solo per ottenere risarcimento, è esempio di conduzione delle faccende, ma sempre con una mano sul cuore e tirando fuori lo stomaco, vuoi che si chiami inconscio, vuoi che si chiami difesa dalla prepotenza altrui. Naturalmente, questa di Dadati è prosa, declinazione attenta dei fatti, mai pedante, direi puntuale e leggiadra, con risvolti di commedia che non si sganascia dal ridere, non urla e perciò non rientra nella più attuale tradizione natalizia, o panettoniana che dir si voglia.
                Per rivedere te è una storia d’amore: il protagonista deve superare crisi luttuose, crisi disperanti della precarietà economica; Tanatos viene seppellito da un mucchio di penetrazioni occasionali che feriscono il protagonista quanto le ragazze, in particolare quella che si salva dal suicidio. Le fanciulle sembrano incrociarsi nell’attimo del dispendio sessuale di Gabriele, l’oggetto erotico che deve recuperare, solo attraverso il linguaggio, la verità di sé,  da consegnare urgentemente al mondo. Per tale motivo il tramite letterario a sua volta, viaggia su un mezzo che si chiama amore. C’è bisogno d’amore, di scelta, di voracità sì, che però arricchiscano i giorni magari adottando comportamenti felici, attendibili, non eroici, né sublimanti, comportamenti di valida reciprocità, addirittura di attesa, di ascolto, per dismettere la recitazione e la caduta nel consumismo. L’autore stabilisce un principio: è ora di dire basta, di non  dissipare la fragranza del corpo e dei contatti, che deve reincarnarsi nella fragranza letteraria per la quale, come per la vita, non sono sufficienti  la botta di genio e la pornografia delle copule meccaniche. La sperimentazione vera e propria comincia da esperienze concrete, che colmano il quotidiano, che non partono dalla gavetta ma dalla recherche e che vada  a quel paese quindi, tutta la provincia col suo De Andrè e con tutti i suoi Truffault, se poi il mutamento non prende il via dall’intimo e dall’impegno di ognuno, ossia, di ogni “io” che sappia far uso di coerenza. La gavetta vorrebbe un Gabriele intervistatore di uno scrittore della Brianza, tal Castoldi, da reinventare, riportare in auge, per i timbri e le vendite del Corriere. Il vecchio e il giovane si fanno compagnia, diventano amici, si comprendono. Tabita è la nipote tanto bella di Castoldi; il resto viene da sé e Dadati non s’è fatto imbottigliare dalle formule. Bravo!

di Pina D'Aria


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Gustoso


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Laurana editore, Pag. 116 Euro 12,00

Mica facile decifrare questo libro. Facile sarebbe se l'editoria, avvezza al culto dello stesso, offrisse un'immagine di sé e quindi del mercato lontana da qualsivoglia condizionamento. Siccome, invece, siamo su un mare procelloso, questa è opera da prendere con le pinze e finanche 'diversa'.
Se ne hanno avvisaglie a pag. 22 sulla necessità delle descrizioni: Le descrizioni in un romanzo sono antieconomiche, non fanno progredire la storia e rallentano la naturale caduta del lettore nel precipizio della trama.

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