RECENSIONI
Richard Ford
Per sempre
Feltrinelli, Traduzione di Cristiana Mennella, Pag. 355 Euro 22.00
Riecco Richard Ford e riecco Frank Boscombe, uno dei personaggi più in vista della letteratura nordamericana.
Un po’ di anni fa, sfogliando un saggio sulla letteratura statunitense del secondo Novecento, esattamente Verso il millennio, a cura di Massimo De Angelis e Caterina Ricciardi, lessi: Nulla di retorico, dunque, quando nelle interviste Ford ripete che la sua biografia può interessare solo grazie alla sua banalità. Proprio perché si tratta di una vita ‘comune’, molti dettagli diventano senza imbarazzo materia narrativa.
Ora, al di là che Ford incarna l’immagine del Sud quasi ‘fisicamente’ crediamo però che Per sempre, con tutto il rispetto, un po’ si discosta dalla banalità del quotidiano (ammettendo che il concetto di banalità nostrano sia diverso da quello americano). E’ la storia di un padre, ormai settantaquattrenne, che per far vivere gli ultimi periodi a suo figlio, che ha quarantasette anni ed è affetto dalla Sla, decide di portarlo, con una roulette abbastanza vecchia e comprata durante questa simbolica ‘fuga’, a Mount Rushmore, nel South Dakota, dove ci sono i volti di quattro grandi presidenti scolpiti nella roccia.
Viaggio lungo e faticoso (il romanzo è composto da più di trecentocinquanta pagine) dove ovviamente si incontrano vari personaggi (la verità evidente è pero che nessuno di questi è ‘ricordabile’) e soprattutto dove il protagonista (che sarebbe Frank Boscombe e non il figlio morente) incontra una massaggiatrice orientale di cui s’innamora ma da questa parzialmente non ricambiato (tra le pagine più noiose e tristi dell’intero romanzo).
Dice Ford: Oggigiorno, neanche a dirlo, tutto è narrazione. E della mia non me ne fregava una mazza. E’opinione diffusa che più cose si riescono a dimenticare o ignorare, più si campa a lungo e felici.
Vero, di quasi tutto il romanzo non è rimasto praticamente nulla e, se devo dire anch’io la verità, di Boscombe e del suo povero figlio non me ne può fregare alcunché.
Certo, ci sono considerazioni accattivanti tipo: Durante queste poche settimane con Betty, mi sono reso conto che la mia predisposizione all’entusiasmo spensierato si era spenta senza che me ne accorgessi (anche questo è colpa dell’età; mentre la mia tendenza degli ultimi anni a vedermi sotto una luce sgranata e sfavorevole si era accentuata di troppo… ma i tempi di Il giorno dell’Indipendenza e di Sportswriter sono finiti. Per sempre.
di Alfredo Ronci
Un po’ di anni fa, sfogliando un saggio sulla letteratura statunitense del secondo Novecento, esattamente Verso il millennio, a cura di Massimo De Angelis e Caterina Ricciardi, lessi: Nulla di retorico, dunque, quando nelle interviste Ford ripete che la sua biografia può interessare solo grazie alla sua banalità. Proprio perché si tratta di una vita ‘comune’, molti dettagli diventano senza imbarazzo materia narrativa.
Ora, al di là che Ford incarna l’immagine del Sud quasi ‘fisicamente’ crediamo però che Per sempre, con tutto il rispetto, un po’ si discosta dalla banalità del quotidiano (ammettendo che il concetto di banalità nostrano sia diverso da quello americano). E’ la storia di un padre, ormai settantaquattrenne, che per far vivere gli ultimi periodi a suo figlio, che ha quarantasette anni ed è affetto dalla Sla, decide di portarlo, con una roulette abbastanza vecchia e comprata durante questa simbolica ‘fuga’, a Mount Rushmore, nel South Dakota, dove ci sono i volti di quattro grandi presidenti scolpiti nella roccia.
Viaggio lungo e faticoso (il romanzo è composto da più di trecentocinquanta pagine) dove ovviamente si incontrano vari personaggi (la verità evidente è pero che nessuno di questi è ‘ricordabile’) e soprattutto dove il protagonista (che sarebbe Frank Boscombe e non il figlio morente) incontra una massaggiatrice orientale di cui s’innamora ma da questa parzialmente non ricambiato (tra le pagine più noiose e tristi dell’intero romanzo).
Dice Ford: Oggigiorno, neanche a dirlo, tutto è narrazione. E della mia non me ne fregava una mazza. E’opinione diffusa che più cose si riescono a dimenticare o ignorare, più si campa a lungo e felici.
Vero, di quasi tutto il romanzo non è rimasto praticamente nulla e, se devo dire anch’io la verità, di Boscombe e del suo povero figlio non me ne può fregare alcunché.
Certo, ci sono considerazioni accattivanti tipo: Durante queste poche settimane con Betty, mi sono reso conto che la mia predisposizione all’entusiasmo spensierato si era spenta senza che me ne accorgessi (anche questo è colpa dell’età; mentre la mia tendenza degli ultimi anni a vedermi sotto una luce sgranata e sfavorevole si era accentuata di troppo… ma i tempi di Il giorno dell’Indipendenza e di Sportswriter sono finiti. Per sempre.
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