RECENSIONI
Tommaso Landolfi
Racconti impossibili
Adelphi, Pag.193 Euro 14,00
Sarebbe da chiedersi come mai Adelphi abbia voluto pubblicare, di Landolfi, proprio Racconti impossibili, ma poi ci sovviene che l’intera opera del maestro di Pico sarà messa alla pubblica opinione… per cui abbozziamo e andiamo avanti.
Ma l’andare avanti non può non considerare l’intero mondo che uscì fuori dal libretto, tanto che alcuni si adoprarono a definire lo scrittore un Landolfi ritrovato (Giuliano Gramigna) altri definirono i racconti sempre più abili ma anche sempre più fiacchi (Walter Pedullà).
In testa a tutti però, e secondo alcuni non è ancora del tutto chiaro il perché, c’era il sommo Attilio Piccioni che quasi di getto definì la scrittura della Passeggiata del tutto “dialettale”
Apriti cielo (il cielo di Landolfi, ovviamente), soprattutto perché definiva parziale un esperimento su cui lo scrittore aveva tanto giocato. Sì, perché la Passeggiata, primo racconto della piccola antologia, tutto era tranne, secondo la puntuta ed anche astuta replica dell’interessato, dialettale, ma raccoglieva il meglio di quanto potesse offrire un dizionario qualsiasi.
Non era una lingua assolutamente indecifrabile e misteriosissima, ma un procedere lento e ossequioso che s’arricchiva di lemmi e idiomi spesso dispersi della lingua italiana.
Che dire di tutto questo? Che i critici scavavano nel fango e che Landolfi, di cui si paventava una indifferenza alla letteratura e ai suoi fasti, ne approfittò per annaffiare l’intera popolazione del suo ego smisurato (e per nulla indolente) senza però, secondo noi, affrontare il tema della riuscita o meno di Racconti impossibili.
Perché appunto Racconti impossibili pur dimostrando un’attitudine landolfiana al gioco mimetico e letterario (ero considerato allora il nuovo D’Annunzio), relega le sue composizioni ad un quasi smorto senso dell’imprevedibile (per carità, qui non si vuol parlar male di un grande scrittore, ma quel che esce fuori, per esempio dal racconto Un destino da pollo, è fuori dalla grazia di Dio, espressione, tra l’altro, che non so se sarebbe gradita all’esimio).
E’ vero, l’antologia parla di morte, d’imprevedibilità, di senso finito della vita, del significato preciso della parola, ma su tutti aleggia un senso narcisistico della realtà che a volte, come direbbe giustamente il Pedullà, è sempre più abile ma anche sempre più fiacco.
Ben altre cose ci ha dato il Landolfi, ma non lo dite troppo in giro.
di Alfredo Ronci
Ma l’andare avanti non può non considerare l’intero mondo che uscì fuori dal libretto, tanto che alcuni si adoprarono a definire lo scrittore un Landolfi ritrovato (Giuliano Gramigna) altri definirono i racconti sempre più abili ma anche sempre più fiacchi (Walter Pedullà).
In testa a tutti però, e secondo alcuni non è ancora del tutto chiaro il perché, c’era il sommo Attilio Piccioni che quasi di getto definì la scrittura della Passeggiata del tutto “dialettale”
Apriti cielo (il cielo di Landolfi, ovviamente), soprattutto perché definiva parziale un esperimento su cui lo scrittore aveva tanto giocato. Sì, perché la Passeggiata, primo racconto della piccola antologia, tutto era tranne, secondo la puntuta ed anche astuta replica dell’interessato, dialettale, ma raccoglieva il meglio di quanto potesse offrire un dizionario qualsiasi.
Non era una lingua assolutamente indecifrabile e misteriosissima, ma un procedere lento e ossequioso che s’arricchiva di lemmi e idiomi spesso dispersi della lingua italiana.
Che dire di tutto questo? Che i critici scavavano nel fango e che Landolfi, di cui si paventava una indifferenza alla letteratura e ai suoi fasti, ne approfittò per annaffiare l’intera popolazione del suo ego smisurato (e per nulla indolente) senza però, secondo noi, affrontare il tema della riuscita o meno di Racconti impossibili.
Perché appunto Racconti impossibili pur dimostrando un’attitudine landolfiana al gioco mimetico e letterario (ero considerato allora il nuovo D’Annunzio), relega le sue composizioni ad un quasi smorto senso dell’imprevedibile (per carità, qui non si vuol parlar male di un grande scrittore, ma quel che esce fuori, per esempio dal racconto Un destino da pollo, è fuori dalla grazia di Dio, espressione, tra l’altro, che non so se sarebbe gradita all’esimio).
E’ vero, l’antologia parla di morte, d’imprevedibilità, di senso finito della vita, del significato preciso della parola, ma su tutti aleggia un senso narcisistico della realtà che a volte, come direbbe giustamente il Pedullà, è sempre più abile ma anche sempre più fiacco.
Ben altre cose ci ha dato il Landolfi, ma non lo dite troppo in giro.
di Alfredo Ronci
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