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Il Paradiso degli Orchi
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Leo Ruberto

Soppressione

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Ho aderito al servizio. I miei genitori ne hanno fatto una malattia, ma sono convinto.
Trovo utile il fatto che non si sappia di preciso quando avverrà: l’opzione “indolore”, o quasi.
Verranno a prendermi una notte dopo avermi anestetizzato, come i ladri che spruzzano il sonnifero dal buco della serratura e poi ti svaligiano la casa.
So che non soffrirò: di più, so che non avrò mai sofferto. È questo che ha convinto me e convince altri, non ci hanno fatto nessun lavaggio del cervello.
Hanno ragione, come avevano ragione i miei genitori a dire che finché non la vivi sulla tua pelle una cosa non la puoi capire.
È questo che offre l’agenzia: una spiegazione. Ti dicono come andrà a finire. E che, anche se generazioni e generazioni una dopo l’altra non l’hanno mai evitato, tu puoi farlo.
Così dopo la laurea non dovrò soffrire l’umiliazione della delusione e l’abbassamento delle pretese, costruirmi a fatica una famiglia per poi sfasciarla col divorzio e vedere pian piano morire tutti i miei cari.
Giustamente accettano solo quelli che non hanno sofferto negli anni dell’infanzia, della giovinezza e dell’educazione. Quelli sono perfetti.
È il momento giusto per fermarsi. Anche se ci hanno detto che erano gli anni di preparazione alla vita vera, tacendo che si trattava di una vita di sofferenza.
Io non voglio soffrire, non è così che va la vita. Io ho scelto di evitarla la vita vera.
Dopo la fine degli studi non ci sarà un lavoro e tutto il resto. Verrò soppresso. Ne ho approfittato per fare qualche viaggio: ma già mi sentivo uno che ne approfittava, mentre i miei genitori me lo pagavano e speravano mi ricredessi.
Ma proprio quel sentirmi così mi ha convinto, mi ha anticipato quello che avrei provato.
Ora posso andare a dormire, magari sarà questa la notte giusta.



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