Racconti

Ada love Eva
Ada si sveglia di soprassalto.
Il clima di festa le fa tremare le palpebre.
È il ventiquattro dicembre di un anno qualunque e quel Bianco Natale cantato da un vago coro di babbi sguaiati, vestiti da supermercato, l'ha trascinata fuori da un sonno malsano.
Ada accende la luce, guarda fuori dalla finestra e vede i vestiti rossi allontanarsi nel buio del viale. Poi allunga la mano e prende il telefono.
Osserva la cornetta, come per chiederle di parlare.
Nessuno risponde ma dentro di lei qualcosa ancora sussurra.

Ciambelle rosa
Scendo a Green Park, infilo il biglietto rosa che il varco risputa con un sibilo e mi arrampico sulla scala mobile che trovo ancora più ripida e verticale di quanto la ricordassi. In alto si incrociano le travi metalliche, così slanciate e lucide che sembrano alleggerire i pilastri, oltrepassare il soffitto e proiettare le mura fuori, verso il cielo. Come un'opera d'arte, trasmettono sicurezza e una spudorata consapevolezza d' infallibilità.
Due ragazze con micro gonne impalpabili sopra collant neri, pesanti, mi corrono affianco salendo senza fatica, i gradini a due a due.

Un brillante giovanotto
Quel pomeriggio mi trovavo nella città di P. Ero stato invitato a tenere una prolusione accademica sulla luce nell'arte di Caravaggio. Avevo convinto il pubblico delle mie tesi: nessuna seria obiezione seguì la dotta dissertazione durata quasi due ore. La mia presentazione era seguita a quella del noto e stimato prof. Eusebio Fasulo e anticipava, quasi seguendo un filo intellettuale comune, quella del prof. Piermaria Boccosa. Mi sentivo fiero di fare, io, giovane discepolo delle arti e della critica, quasi da anello di congiunzione tra i due illustrissimi accademici.

Incidente
Quando tornai dal sottoscala Rachele aveva di nuovo cosparso il corridoio che porta alla cucina di Andrea di tutto quello che aveva trovato. Non le importava se le avrei fatto raccogliere le cartacce e i giochi dal pavimento, se avrebbe scontato i suoi capricci passando la sera a riordinare mutande, maglie o calzini, invece di guardarsi con noi un cartone animato sul divano. Lo faceva e se ne restava lì con quell'aria di sfida.
Prima di urlare il suo nome mi ero già accorta che qualcosa non andava.

Un palloncino pieno d'aria
Roberto si chiese quale incubo può svegliarti così, senza fiato, coi pugni e i denti stretti, i muscoli contratti gli pungevano la pelle della schiena. Si voltò di scatto. Livia dormiva inghiottita fino al mento dalle coperte. La penombra la rendeva tonda, di un pallido gonfiore. Roberto pensò che il suo corpo sotto le coperte, avvolto dai ricami della vestaglia di seta indossata per l'occasione speciale, fosse un enorme pallone e pensò di strusciarci contro la schiena indolenzita e pensò di svegliarla, ma non riusciva ad immaginare cosa le avrebbe detto.

Il convegno
Mi dissero che sarei dovuto partire la settima seguente per U. Mi era stato chiesto di partecipare ad un convegno sul Libro Antico. Un corso di otto ore al giorno su sistemi di catalogazione, schedatura e ricostruzioni dei primi testi a stampa che celebrava quell'anno la sua seconda edizione. Il fatto che io studiassi letteratura contemporanea, e che non avessi idea di cosa fosse un incunabolo, né a cosa servisse la filigrana, mi fece pensare che fosse una specie di punizione. All'altezza della gola mi si formò un nodo. Mi osservai allo specchio ma per non correre rischi presi un paio di pillole e mi feci un caffè.

Sotto vetro
Come abitudine consolidata dagli anni e dalle stagioni, anche quel pomeriggio settembrino ci ritrovammo seduti sul balcone a sorseggiare bevande dolci e a ricordare degli anni in cui le mamme ancora passavano le notti a raccontare storie per farci dormire, mentre, appena chiuso l'uscio, sotto le coperte leggevamo racconti segreti e orribili per tenerci svegli durante il temporale e le saette, per godere della potenza della tempesta, ascoltare i canti delle Amadriadi ed immaginare le loro vesti leggere debolmente illuminate dalla fioca luce lunare e i lamenti dei titani rinchiusi nel tartaro di fuoco.

Underdogs n.9
Salve da Pessoa ed Hemingway che trasportano parole di PeeDee dall'emittente più free style on air! Come oso citare i mostri sacri che tra l'altro neppure prediligo? Semplice, qualcuno tra i miei conoscenti, senza firmarsi, mi ha scritto un sms: sei mejo de Pessoa e come Hemingway... E io che speravo di essere annoverata tra le femmine di spicco e d'ingegno, tra le fabbricatrici che tirano dritto e si cibano di uomini per piacere, ma di loro non si fidano;

Good weather for air strikes (Vidrar vel til loftárása )
1
Floki
Da piccolo giocavo con due bambole orrende. Erano calve. Avevano un vestitino di pezza logoro ma dai colori vivaci. Occhi vuoti e neri. C'ero tanto affezionato. Le facevo parlare, correre, dormire abbracciate, le portavo perfino in carrozzina. Ci giocavo non solo da piccolo. Ho continuato anche dopo, e a volte anche adesso lo faccio. Quando le facevo baciare, chissà perché era sempre il momento in cui mio padre arrivava come una furia e me le strappava di mano. E le gettava nel mare ghiacciato.

Temporale
Non so bene come mi ritrovai dentro questa avventura paradossale e grottesca, ma so per certo che da quella notte capii perfettamente il nesso che corre tra un'idea assurda e la sua possibile realizzazione.
Mi ero persa. Maledizione, mi ero persa davvero! E più andavo avanti e più il bosco si faceva fitto e tenebroso. Tra non molto sarebbe stato tutto buio. Che storia, quella di andare a vedere l'eclissi di luna!
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