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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Georges Simenon

I fantasmi del cappellaio

Adelphi, Pag. 244 Euro 10,00
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Su questa storia Simenon ci tornò su ben tre volte e, per un autore che ha fatto del 'buona la prima' un'innata virtù, forse può voler significare qualcosa. Ma rischieremmo di fare della dietrologia. Con lo scrittore francese siamo abituati ad un approccio più semplice, non per questo banale, perché come dice una mia amica, il pensiero è comunque complesso.

Però le notizie son queste: dal testo del racconto Il piccolo sarto e il cappellaio, scritto durante un soggiorno in Florida nel 1947, Simenon ricava una versione, Benedetti gli umili, che presenta, oltre a lievi interventi stilistici, un diverso finale e che, tradotta in inglese, vincerà il premio per il miglior racconto poliziesco al concorso annuale indetto dall'Ellery Queen's Mystery Magazine. Ma l'argomento lo affascinava a tal punto da indurlo a un'ulteriore rielaborazione, e così, nel dicembre 1948, in Arizona, scrive I fantasmi del cappellaio, suggello definitivo della 'trilogia'.

Cosa può aver spinto un autore come Simenon a questa inusuale 'rimasticatura'? Di sicuro la trama. Perché il romanzo in questione è una sorta di rilettura del mito di Jack lo Squartatore.

L'ambientazione è diversa: non siamo a Londra, ma in una piccola cittadina francese, La Rochelle, che divide però con la capitale britannica le suggestioni umbratili di notti nebbiose, fredde e piovose.

E in queste giornate fosche ed indistinte che s'aggira lo 'spettro' di un pluriomicida che si diverte ad uccidere donne che sembrano avere in comune soltanto una cosa, l'età. Non sono né prostitute né donne di malaffare, ma semplici cittadine che sembrano essersi trovate al posto sbagliato nel momento sbagliato.

Protagonisti della vicenda, un cappellaio di nome Labbè ed un sarto, di origine armena, Kachoudas, che roso dal sospetto di aver intuito il vero responsabile della carneficina, si lascia praticamente morire portando con sé la probabile chiave di volta del mistero.

In realtà Simenon non gioca sporco con il lettore, anzi, lo mette nella condizione di sapere quasi subito chi è il mostro che terrorizza la piccola cittadina: non gli interessa la soluzione 'matematica' del caso (non siamo dalle parti di Agatha Christie e nemmeno da quelle di Ellery Queen), rimane invece affascinato dal lento e sistematico degrado di una mente criminale che, perfettamente lucida, di fronte ad un piccolissimo inconveniente comincia a manifestare ansie ed inquietudini che lo porteranno sull'orlo dell'abisso.

Dunque nel caso de I fantasmi del cappellaio la conduzione letteraria è del tutto psicologica, come spesso fa Simenon, ma nella fattispecie il deterioramento psichico del personaggio principale è una sorta di catalizzatore estremo per il lettore.

Nel libro sono presenti le tre versioni della storia. E' possibile dunque un confronto e magari anche comprendere come lavorasse il padre spirituale di Maigret.







di Alfredo Ronci


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Dunque tutto bene.
Poi m'imbatto nell'ennesima proposta simenoniana dell'Adelphi (che si è ripromessa di pubblicare l'opera omnia dello scrittore francese. Della serie from here to eternity...).

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