CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Ad ognuno il suo. You and I di Jeff Buckley.

Anche questo ci voleva. Che il disco fosse privo di armonia. Perché è precedente al suo grande successo (Grace) e perché si portava dietro la grande figura del padre. Testuali parole (da un critico di cui non faccio nome)… non corrisponde un’armonia d’insieme che dia al lavoro la consistenza necessaria.
Come si possa cercare una consistenza necessaria Dio solo lo sa. Sono pezzi che Buckley registrò in più momenti e che testimoniano semmai la lucentezza di una voce che poi non avrebbe avuto eguali in seguito.
In queste dieci tracce c’è lo scibile umano: da Dylan a Sly Stone, dagli Smith alla colonna sonora di Bagdad Cafè (a proposito, non me ne vogliano i rocchettari più dissoluti, ma il pezzo in questione raggiunge un’intimità che lascia sbalorditi). Ci sono anche due novità, una personalissima Grace ritrovata nel primo album, e Dream of you and I.
Non credo che ci siano altre considerazione da fare. Per carità, sono passati quasi vent’anni dall’incidente che ce lo portò via, ma nulla è stato sottratto alla grandezza dell’uomo.
Ascoltarlo di nuovo (e credo che queste siano le ultime cose prima di un abbandono definitivo) ci lascia pieni di speranza, anche in un momento in cui la musica (sì, proprio quella) ci sta abbandonando per andare dietro a chimerici nonsense.
Poi se qualcuno vuol fare il fico e dire che al disco manca un’armonia d’insieme, beh, che lo faccia pure. Ma poi si prende pure le sue responsabilità.
Come si possa cercare una consistenza necessaria Dio solo lo sa. Sono pezzi che Buckley registrò in più momenti e che testimoniano semmai la lucentezza di una voce che poi non avrebbe avuto eguali in seguito.
In queste dieci tracce c’è lo scibile umano: da Dylan a Sly Stone, dagli Smith alla colonna sonora di Bagdad Cafè (a proposito, non me ne vogliano i rocchettari più dissoluti, ma il pezzo in questione raggiunge un’intimità che lascia sbalorditi). Ci sono anche due novità, una personalissima Grace ritrovata nel primo album, e Dream of you and I.
Non credo che ci siano altre considerazione da fare. Per carità, sono passati quasi vent’anni dall’incidente che ce lo portò via, ma nulla è stato sottratto alla grandezza dell’uomo.
Ascoltarlo di nuovo (e credo che queste siano le ultime cose prima di un abbandono definitivo) ci lascia pieni di speranza, anche in un momento in cui la musica (sì, proprio quella) ci sta abbandonando per andare dietro a chimerici nonsense.
Poi se qualcuno vuol fare il fico e dire che al disco manca un’armonia d’insieme, beh, che lo faccia pure. Ma poi si prende pure le sue responsabilità.
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