CLASSICI
Alfredo Ronci
Alcuni principi della neoavanguardia: “Partita” di Antonio Porta.
Spesso mi sono chiesto, a proposito della nascita della neoavanguardia e di tutto il movimento del Gruppo 63, come mai, tra gli autori e predicatori di questo vero e proprio trasferimento, ci fossero molti poeti. Scrivono prosa narrativa, per esempio, quattro dei cinque poeti “novissimi” (in riferimento alla fondamentale antologia letteraria I novissimi. Poesie per gli anni sessanta): Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Antonio Porta, Edoardo Sanguineti. Il quinto, poi, non si fa mancare nulla, Elio Pagliarani, perché si definisce narratore in versi (chi può dimenticare il suo La ragazza Carla?).
Sicuramente nessuno se lo è posto, indaffarato come molti a tentare di cercare una via d’uscita a tutto il movimento: però c’è nella disanima della neoavanguardia vari elementi che inducono a pensare che il risultato di questo sperimentalismo fosse più adatto a chi giocasse con le parole e con gli accaduti.
Antonio Porta è stato da sempre riconosciuto più come poeta (appunto I novissimi) che semplice narratore, e non crediamo nemmeno che lo stesso si sia ripreso da una qualifica che per nulla inficiava la sua passione letteraria. Partita però è il suo primo romanzo, uscito inizialmente nel 1967 e ripubblicato, con una introduzione (sulla quale baseremo alcuni concetti), nel 1978 per Garzanti.
Per niente facile a spiegarlo (ammettendo che una soluzione del genere interessasse a Porta, ma in genere a tutti i collaboratori del movimento). Innanzi tutto partiamo dal titolo: Partita. Riferito a cosa? A un participio che determina un allontanamento da una condizione sociale ben definita oppure partita intesa come, e cito tra gli altri il Gabrielli: gara, competizione sportiva, incontro?
Per intenderci meglio voglio partire dalla fine. Sì esattamente dalle ultime frasi di questo romanzo: Hai perso, e chiede Giacomo, per regolarità, tanto è evidente, in modo che l’esecuzione degli atti abbia a seguire subito.
Proprio così: questa è la fine. Che non toglie nulla a tutto quello che precede. E’ semplicemente un linguaggio che tenta di definire una condizione avvenuta. Quale allora?
La trama (attenzione, siamo di fronte ad un movimento, ad una neoavanguardia che stabiliva che era impossibile raccontare, ricalcando schemi tradizionali, qualcosa di minimamente attendibile… dall’introduzione dello stesso Porta) può essere riconducibile a poche parole: un gruppo di amici che si ritrova in varie situazioni, tra cui una battuta di caccia ed una corsa su un fiume, e una serie di fraintendimenti tra l’autore, crediamo lo stesso Porta, e Anna, la moglie e anche i due figli. Tutto qua, nient’altro. E colloqui che si vorrebbero comprensibili ma che sono insabbiati da un angoscioso sentire del protagonista: … ma i capelli no, sono proprio quelli, biondi e raccolti sotto la nuca, allacciati con un nastrino viola, vattene di qui, grida, scattando per raggiungermi davanti al balcone che dà sul precipizio, ti butto giù, giù…
Dice Porta nell’introduzione: Di fatto veniva rivalutato un rapporto fondamentale per un romanzo: quello tra autore e lettore, che l’avanguardia mirava, spesso a cancellare… e lo scopo finale del romanzo viene svelato dalle sue immagini più intense, dai movimenti e comportamenti dei suoi personaggi-guida; e lo scopo finale del romanzo è attuale: metamorfosi e liberazione.
C’è indubbiamente un elemento di liberazione nella storia, ed è quello rappresentato da un’altra donna, o meglio ancora, come scrive il Porta, una donna-cavalla: Màstica. Màstica è quella che, tra i tanti personaggi del racconto che francamente sono antipatici (inutili?), è la chiave portante del romanzo, un intreccio di comportamenti delicati, affettuosi ma anche impudichi. Ed è anche quella che rappresenta un personaggio a tutto tondo e che stabilisce anche una sorta di distacco dalle avanguardie più sperimentali, forse meno vitali ma più letterarie.
Ma quello che il lettore avverte nella prosa del Porta è la priorità del linguaggio, della prosa riportata. Che è premessa di massima attenzione alle forme, ai procedimenti tecnici, alle strutture. Forme ovviamente meno usate e meno logore. Infine lo spiazzamento del racconto nel tempo e nello spazio.
In Partita ci si rende subito conto che l’impressione del lettore deve essere assolutamente cambiata: non c’è più posto per una conseguenzialità di eventi, ma sono gli stessi eventi a farsi di fronte, a restituirci una temporalità e una spazialità immersa in un linguaggio (e in un dialogo) distaccato e forse ininfluente.
Ci saranno altri temi (e altri romanzi) per tentare di discernere un’avanguardia che in Italia, soprattutto o forse unicamente, negli anni sessanta ha avuto una sua precisa determinazione.
L’edizione da noi considerata è:
Antonio Porta
Partita
I Garzanti
Sicuramente nessuno se lo è posto, indaffarato come molti a tentare di cercare una via d’uscita a tutto il movimento: però c’è nella disanima della neoavanguardia vari elementi che inducono a pensare che il risultato di questo sperimentalismo fosse più adatto a chi giocasse con le parole e con gli accaduti.
Antonio Porta è stato da sempre riconosciuto più come poeta (appunto I novissimi) che semplice narratore, e non crediamo nemmeno che lo stesso si sia ripreso da una qualifica che per nulla inficiava la sua passione letteraria. Partita però è il suo primo romanzo, uscito inizialmente nel 1967 e ripubblicato, con una introduzione (sulla quale baseremo alcuni concetti), nel 1978 per Garzanti.
Per niente facile a spiegarlo (ammettendo che una soluzione del genere interessasse a Porta, ma in genere a tutti i collaboratori del movimento). Innanzi tutto partiamo dal titolo: Partita. Riferito a cosa? A un participio che determina un allontanamento da una condizione sociale ben definita oppure partita intesa come, e cito tra gli altri il Gabrielli: gara, competizione sportiva, incontro?
Per intenderci meglio voglio partire dalla fine. Sì esattamente dalle ultime frasi di questo romanzo: Hai perso, e chiede Giacomo, per regolarità, tanto è evidente, in modo che l’esecuzione degli atti abbia a seguire subito.
Proprio così: questa è la fine. Che non toglie nulla a tutto quello che precede. E’ semplicemente un linguaggio che tenta di definire una condizione avvenuta. Quale allora?
La trama (attenzione, siamo di fronte ad un movimento, ad una neoavanguardia che stabiliva che era impossibile raccontare, ricalcando schemi tradizionali, qualcosa di minimamente attendibile… dall’introduzione dello stesso Porta) può essere riconducibile a poche parole: un gruppo di amici che si ritrova in varie situazioni, tra cui una battuta di caccia ed una corsa su un fiume, e una serie di fraintendimenti tra l’autore, crediamo lo stesso Porta, e Anna, la moglie e anche i due figli. Tutto qua, nient’altro. E colloqui che si vorrebbero comprensibili ma che sono insabbiati da un angoscioso sentire del protagonista: … ma i capelli no, sono proprio quelli, biondi e raccolti sotto la nuca, allacciati con un nastrino viola, vattene di qui, grida, scattando per raggiungermi davanti al balcone che dà sul precipizio, ti butto giù, giù…
Dice Porta nell’introduzione: Di fatto veniva rivalutato un rapporto fondamentale per un romanzo: quello tra autore e lettore, che l’avanguardia mirava, spesso a cancellare… e lo scopo finale del romanzo viene svelato dalle sue immagini più intense, dai movimenti e comportamenti dei suoi personaggi-guida; e lo scopo finale del romanzo è attuale: metamorfosi e liberazione.
C’è indubbiamente un elemento di liberazione nella storia, ed è quello rappresentato da un’altra donna, o meglio ancora, come scrive il Porta, una donna-cavalla: Màstica. Màstica è quella che, tra i tanti personaggi del racconto che francamente sono antipatici (inutili?), è la chiave portante del romanzo, un intreccio di comportamenti delicati, affettuosi ma anche impudichi. Ed è anche quella che rappresenta un personaggio a tutto tondo e che stabilisce anche una sorta di distacco dalle avanguardie più sperimentali, forse meno vitali ma più letterarie.
Ma quello che il lettore avverte nella prosa del Porta è la priorità del linguaggio, della prosa riportata. Che è premessa di massima attenzione alle forme, ai procedimenti tecnici, alle strutture. Forme ovviamente meno usate e meno logore. Infine lo spiazzamento del racconto nel tempo e nello spazio.
In Partita ci si rende subito conto che l’impressione del lettore deve essere assolutamente cambiata: non c’è più posto per una conseguenzialità di eventi, ma sono gli stessi eventi a farsi di fronte, a restituirci una temporalità e una spazialità immersa in un linguaggio (e in un dialogo) distaccato e forse ininfluente.
Ci saranno altri temi (e altri romanzi) per tentare di discernere un’avanguardia che in Italia, soprattutto o forse unicamente, negli anni sessanta ha avuto una sua precisa determinazione.
L’edizione da noi considerata è:
Antonio Porta
Partita
I Garzanti
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