ATTUALITA'
Stefano Torossi
Associazioni a delinquere
Continuano le belle giornate: che facciamo, stiamo chiusi in casa? No di certo. E allora eccoci a vagare per i Fori dove, in varie postazioni e in un formicolio di turisti, si ramifica la nuova mostra “Roma universalis”, una riflessione sulla famiglia imperiale dei Severi e sull’arte della loro epoca.
In questa occasione abbiamo rivissuto lo stesso dolore di qualche tempo fa alla Centrale Montemartini, quando ci erano capitati sotto gli occhi i meravigliosi corpi feriti di Apolli o Mercuri ritrovati dentro e sotto i muretti del giardino di Villa Rivaldi all’epoca della demolizione della Velia per la creazione di Via dell’Impero.
Uno strazio che continua a dilaniarci anche oggi che, in mostra nel Tempio di Romolo, ci fanno vedere squisiti frammenti di sculture, con didascalie che ci raccontano il loro recupero dalle fondamenta di una stalla, dagli stipiti di una casupola, dai pilastri corrosi di una cappella in cui erano stati usati come inerte materiale riempitivo insieme alla malta.
Capito la terribile sofferenza? L’arte che non era già finita bruciata nelle calcare: ritratti, erme, mani e piedi di marmo, cadeva nell’impasto, neanche fossero vecchi mattoni rotti, tanto per fare massa.
Per attribuire le responsabilità dello scempio (un giudizio astratto perché ormai gli imputati si sono resi irreperibili nel tempo), insieme ai frammenti bisogna fare emergere cosa muoveva i titolari delle associazioni a delinquere di cui stiamo parlando.
Da una parte c’erano i committenti: signorotti dell’epoca buia, ma anche abati o commercianti appena arricchiti a cui interessava solo occupare uno dei tanti spazi liberi in mezzo alle rovine della grandezza classica e farsi il palazzetto, il monastero, la bottega, arraffando e riutilizzando a casaccio tutto quello che trovavano nei dintorni.
Per loro lavoravano i rozzi muratori, in fondo colpevoli solo preterintenzionali (che ne sapevano di arte?), ai quali bastava avere in mano una pietra da mescolare con la malta, e neanche si accorgevano che quel sasso era una pregevole scultura.
Intendiamoci, più tardi arrivarono anche nobiloni e papi che invece di accontentarsi delle discariche storiche non esitarono a demolire i monumenti imperiali ancora in piedi per rapinare questa colonna, o quel ricco cornicione con cui adornare il palazzo di famiglia o la basilica.
Ma i veri criminali, i creatori di tutto quel mirabile, involontario materiale da costruzione, furono i primi fanatici (in questo caso cristiani, ma come abbiamo visto in seguito, la religione non era importante: era il fanatismo che contava) per cui i volti sensuali di ninfe e dee, gli eleganti corpi nudi di atleti o di fanciulli, incarnazioni dell’edonistico paganesimo dovevano essere distrutti a tutti i costi incendiando i templi, radendo al suolo i palazzi, spaccando a colpi di mazza le eleganti e quindi peccaminose fattezze degli idoli belli.
Perché la bellezza, la nudità, la libertà erano, e sono state da allora, il peccato.
Un atteggiamento che ha continuato a ripresentarsi con il passare dei secoli. Con un rimando attuale agli integralisti che negli ultimi anni si sono dedicati con lo stesso gusto e applicazione a distruggere tutto quello di bello che c’era ancora nei dintorni e che non coincideva con la loro mortificante interpretazione della religione.
Se qualcuno dei nostri lettori è come noi sensibile a questo dolore, gli consigliamo di andarsi a leggere un libro che, anche se contestato, ci è parso istruttivo sull’argomento: “Nel nome della croce – La distruzione cristiana del mondo classico” di Catherine Nixey.
Soffrirà, ma saprà.
P.S. Questo meraviglioso pezzo di preziosissimo porfido, alla cui carnale bellezza non abbiamo saputo resistere, era una delle quattro colonne di guardia all’ingresso della Basilica di Massenzio al Foro. Chissà come ha fatto a salvarsi (forse salvarsi è una parola grossa: diciamo allora a sopravvivere come frammento).
In questa occasione abbiamo rivissuto lo stesso dolore di qualche tempo fa alla Centrale Montemartini, quando ci erano capitati sotto gli occhi i meravigliosi corpi feriti di Apolli o Mercuri ritrovati dentro e sotto i muretti del giardino di Villa Rivaldi all’epoca della demolizione della Velia per la creazione di Via dell’Impero.
Uno strazio che continua a dilaniarci anche oggi che, in mostra nel Tempio di Romolo, ci fanno vedere squisiti frammenti di sculture, con didascalie che ci raccontano il loro recupero dalle fondamenta di una stalla, dagli stipiti di una casupola, dai pilastri corrosi di una cappella in cui erano stati usati come inerte materiale riempitivo insieme alla malta.
Capito la terribile sofferenza? L’arte che non era già finita bruciata nelle calcare: ritratti, erme, mani e piedi di marmo, cadeva nell’impasto, neanche fossero vecchi mattoni rotti, tanto per fare massa.
Per attribuire le responsabilità dello scempio (un giudizio astratto perché ormai gli imputati si sono resi irreperibili nel tempo), insieme ai frammenti bisogna fare emergere cosa muoveva i titolari delle associazioni a delinquere di cui stiamo parlando.
Da una parte c’erano i committenti: signorotti dell’epoca buia, ma anche abati o commercianti appena arricchiti a cui interessava solo occupare uno dei tanti spazi liberi in mezzo alle rovine della grandezza classica e farsi il palazzetto, il monastero, la bottega, arraffando e riutilizzando a casaccio tutto quello che trovavano nei dintorni.
Per loro lavoravano i rozzi muratori, in fondo colpevoli solo preterintenzionali (che ne sapevano di arte?), ai quali bastava avere in mano una pietra da mescolare con la malta, e neanche si accorgevano che quel sasso era una pregevole scultura.
Intendiamoci, più tardi arrivarono anche nobiloni e papi che invece di accontentarsi delle discariche storiche non esitarono a demolire i monumenti imperiali ancora in piedi per rapinare questa colonna, o quel ricco cornicione con cui adornare il palazzo di famiglia o la basilica.
Ma i veri criminali, i creatori di tutto quel mirabile, involontario materiale da costruzione, furono i primi fanatici (in questo caso cristiani, ma come abbiamo visto in seguito, la religione non era importante: era il fanatismo che contava) per cui i volti sensuali di ninfe e dee, gli eleganti corpi nudi di atleti o di fanciulli, incarnazioni dell’edonistico paganesimo dovevano essere distrutti a tutti i costi incendiando i templi, radendo al suolo i palazzi, spaccando a colpi di mazza le eleganti e quindi peccaminose fattezze degli idoli belli.
Perché la bellezza, la nudità, la libertà erano, e sono state da allora, il peccato.
Un atteggiamento che ha continuato a ripresentarsi con il passare dei secoli. Con un rimando attuale agli integralisti che negli ultimi anni si sono dedicati con lo stesso gusto e applicazione a distruggere tutto quello di bello che c’era ancora nei dintorni e che non coincideva con la loro mortificante interpretazione della religione.
Se qualcuno dei nostri lettori è come noi sensibile a questo dolore, gli consigliamo di andarsi a leggere un libro che, anche se contestato, ci è parso istruttivo sull’argomento: “Nel nome della croce – La distruzione cristiana del mondo classico” di Catherine Nixey.
Soffrirà, ma saprà.
P.S. Questo meraviglioso pezzo di preziosissimo porfido, alla cui carnale bellezza non abbiamo saputo resistere, era una delle quattro colonne di guardia all’ingresso della Basilica di Massenzio al Foro. Chissà come ha fatto a salvarsi (forse salvarsi è una parola grossa: diciamo allora a sopravvivere come frammento).
CERCA
NEWS
-
19.12.2025
Sellerio
Piero Dorfles: "Le parole del male". -
19.12.2025
Adelphi
Matsumoto Seicho: "Vangelo Nero". -
19.12.2025
Il ramo e la foglia
Matteo Auciello "Tecniche miste di trasformazione".
RECENSIONI
-
Anna Bailey
I nostri ultimi giorni selvaggi
-
Paolo Agnoli
Gli ebrei e la cultura
-
Han Kang
Non dico addio
ATTUALITA'
-
La redazione
Pausa natalizia
-
Stefano Torossi
JEAN-PHILIPPE RAMEAU 1683 – 1764
-
Stefano Torossi
GIULIO BRICCIALDI 1818 – 1881
CLASSICI
CINEMA E MUSICA
-
Marco Minicangeli
La mia famiglia a Taipei
-
Marco Minicangeli
To a Land Unknow
-
Marco Minicangeli
Predator: Badlands
RACCONTI
-
Massimo Grisafi
Dondola dondola
-
Luca Alessandrini
Apres la pluie vient le beau temps
-
Leonello Ruberto
Mondo adulto
