DE FALSU CREDITU
Dorry Cojons
Ecce opus
Bianchetto Editore, Pag. 144 Euro 14,00
Me so' rotto er cazzo.
L'incipit è, come usa dire, fulminante. Non solo per – perdonate l'arcaismo – l'icasticità del dettato ma soprattutto perché il senario compendia come meglio non potrebbe il senso complessivo di questa opera prima, inattesa quanto perentoria. Inattesa - e viscerale assai -, ché il nostro lo conoscevamo quale recensore distaccato e blasé di libri altrui (blasé pure loro ma di tanto in tanto inopinatamente pecorecci). Dalle malelingue irriso come una specie di Emilio Fede della critica, Dorry Cojons ci aveva abituato a giudizi moderni e spregiudicati da quando lui, figlio di un diplomatico americano trapiantato nella bella Italy, aveva occupato stabilmente le colonne del Magazzino Letterario, inserto settimanale di un noto quotidiano, e di lì aveva preso a parlar male di tutti i presunti grandi del '900 (Kafka, Joyce e compagnia bella) per indicarci le nuove frontiere della letteratura: Pipperne, Faccette, Cappelle, Colombelle, Barbiturici, gente che nessuno prima del nostro s'era accorto che grandi scrittori che fossero. Senonché, a un certo punto Cojons si è tolto la maschera e serci duri dalle scarpe mostrando che era lui, il vero misconosciuto eroe delle patrie lettere, in questo romanzo autobiografico breve ma virulento, di mirabolante oltranza linguistica, insieme istintivo e metaletterario. Cojons racconta che aver tirato per anni la carretta altrui lo aveva sfiancato; la soddisfazione di essere considerato un critico per il solo fatto di scrivere su un giornale importante lo sottoponeva a sollecitazioni estenuanti di scrittori che stampavano il loro libro on demand e speravano di svoltare anche loro. Per non dire dell'eterogenesi dei fini che l'aspettava dietro l'angolo: cani e porci avevano fatto carriera grazie a lui, e lui cosa si era ritrovato in cambio?
Io c'avevo un gran bisogno di dormire e questi me chiamavano a tutte le ore; aho, ce sta un capolavoro. Devo dormì, je facevo, so le tre de notte. Eh, ma questo è un capolavoro davero, e ce serve che scrivi il pezzo subito.
Che fra l'altro era un sintomo evidente che stavo per esaurire, il fatto di esprimermi in romanesco voglio dire, ma poi mi sono reso conto che era l'Es, il mio naturalmente, a parlare per me, così ho capito che quella era la mia strada – e, per paradigma, la strada della vera scrittura, la sincerità a tutti i costi: bastava tirarla fuori.
Adesso, appunto, s'era rotto il cazzo. Be', c'è poco da dire: salutiamo un vero scrittore.
L'incipit è, come usa dire, fulminante. Non solo per – perdonate l'arcaismo – l'icasticità del dettato ma soprattutto perché il senario compendia come meglio non potrebbe il senso complessivo di questa opera prima, inattesa quanto perentoria. Inattesa - e viscerale assai -, ché il nostro lo conoscevamo quale recensore distaccato e blasé di libri altrui (blasé pure loro ma di tanto in tanto inopinatamente pecorecci). Dalle malelingue irriso come una specie di Emilio Fede della critica, Dorry Cojons ci aveva abituato a giudizi moderni e spregiudicati da quando lui, figlio di un diplomatico americano trapiantato nella bella Italy, aveva occupato stabilmente le colonne del Magazzino Letterario, inserto settimanale di un noto quotidiano, e di lì aveva preso a parlar male di tutti i presunti grandi del '900 (Kafka, Joyce e compagnia bella) per indicarci le nuove frontiere della letteratura: Pipperne, Faccette, Cappelle, Colombelle, Barbiturici, gente che nessuno prima del nostro s'era accorto che grandi scrittori che fossero. Senonché, a un certo punto Cojons si è tolto la maschera e serci duri dalle scarpe mostrando che era lui, il vero misconosciuto eroe delle patrie lettere, in questo romanzo autobiografico breve ma virulento, di mirabolante oltranza linguistica, insieme istintivo e metaletterario. Cojons racconta che aver tirato per anni la carretta altrui lo aveva sfiancato; la soddisfazione di essere considerato un critico per il solo fatto di scrivere su un giornale importante lo sottoponeva a sollecitazioni estenuanti di scrittori che stampavano il loro libro on demand e speravano di svoltare anche loro. Per non dire dell'eterogenesi dei fini che l'aspettava dietro l'angolo: cani e porci avevano fatto carriera grazie a lui, e lui cosa si era ritrovato in cambio?
Io c'avevo un gran bisogno di dormire e questi me chiamavano a tutte le ore; aho, ce sta un capolavoro. Devo dormì, je facevo, so le tre de notte. Eh, ma questo è un capolavoro davero, e ce serve che scrivi il pezzo subito.
Che fra l'altro era un sintomo evidente che stavo per esaurire, il fatto di esprimermi in romanesco voglio dire, ma poi mi sono reso conto che era l'Es, il mio naturalmente, a parlare per me, così ho capito che quella era la mia strada – e, per paradigma, la strada della vera scrittura, la sincerità a tutti i costi: bastava tirarla fuori.
Adesso, appunto, s'era rotto il cazzo. Be', c'è poco da dire: salutiamo un vero scrittore.
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