RECENSIONI
Marco Niro
Il predatore
BEE, pag.328 Euro 19
C’è la natura e c’è l’uomo, come se l’uomo non facesse parte della natura. O forse è proprio così, perché l’uomo ha deciso di tirarsi fuori dalla “logica” naturale per immaginare una logica tutta sua che ha sempre a che fare con l’accumulo, la ricchezza, il potere.
Insomma a ben vedere è questo il succo de Il predatore, prova d’esordio di Marco Niro, uno dei due membri del collettivo Tersite Rossi. Varrà la pena dirlo subito: il romanzo, nonostante qualche piccola lacuna qua e là, è un bel debutto, una storia corposa e articolata in modo convincente.
Leggendolo non può non tornare subito alla mente la vicenda dell’orso M90 che in Trentino uccise un runner che stava correndo nel bosco e per questo fu condannato a morte. Sentenza eseguita, nonostante le tante recriminazioni: ha un senso applicare la logica umana a un orso? La discussione rimane aperta.
Certo che ne Il Predatore l’orso assassino — “(…) che non sapeva di chiamarsi Thor, perché gli orsi neppure sanno cosa sia un nome…” — è recidivo e i morti sono più d’uno. Ma è lui l’assassino? O dietro c’è qualche altra cosa, qualche sporco affare, come sembra suggerire l’Orso Rosso, il padre dei due ragazzi trovati dilaniati.
Insomma chi è il vero predatore? Difficile dirlo, soprattutto vedendo la reazione della comunità di Cimalta, subito pronta a scagliarsi contro il “mostro”, Thor, fino ad arrivare ad organizzare degli assurdi roghi di orsetti di pelouche.
Niro è bravo a far salire la tensione. Con una scrittura lineare e potente intreccia a meraviglia le diverse storie che hanno come protagonisti alcune figure iconiche della provincia montanara: il prete, un famoso cardiochirurgo, un sindaco in carriera e un commissario che sogna di diventare questore. Leggermente più debole la seconda parte della narrazione, ma un bel romanzo in finale. Da leggere.
di Marco Minicangeli
Insomma a ben vedere è questo il succo de Il predatore, prova d’esordio di Marco Niro, uno dei due membri del collettivo Tersite Rossi. Varrà la pena dirlo subito: il romanzo, nonostante qualche piccola lacuna qua e là, è un bel debutto, una storia corposa e articolata in modo convincente.
Leggendolo non può non tornare subito alla mente la vicenda dell’orso M90 che in Trentino uccise un runner che stava correndo nel bosco e per questo fu condannato a morte. Sentenza eseguita, nonostante le tante recriminazioni: ha un senso applicare la logica umana a un orso? La discussione rimane aperta.
Certo che ne Il Predatore l’orso assassino — “(…) che non sapeva di chiamarsi Thor, perché gli orsi neppure sanno cosa sia un nome…” — è recidivo e i morti sono più d’uno. Ma è lui l’assassino? O dietro c’è qualche altra cosa, qualche sporco affare, come sembra suggerire l’Orso Rosso, il padre dei due ragazzi trovati dilaniati.
Insomma chi è il vero predatore? Difficile dirlo, soprattutto vedendo la reazione della comunità di Cimalta, subito pronta a scagliarsi contro il “mostro”, Thor, fino ad arrivare ad organizzare degli assurdi roghi di orsetti di pelouche.
Niro è bravo a far salire la tensione. Con una scrittura lineare e potente intreccia a meraviglia le diverse storie che hanno come protagonisti alcune figure iconiche della provincia montanara: il prete, un famoso cardiochirurgo, un sindaco in carriera e un commissario che sogna di diventare questore. Leggermente più debole la seconda parte della narrazione, ma un bel romanzo in finale. Da leggere.
di Marco Minicangeli
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