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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Barbara Garlaschelli

Il principe e la signora (omaggio a Totò)

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L'uomo voltò la faccia verso destra. Sapeva che lei era lì, non riusciva a vederla, ma lo sapeva. Avrebbe saputo ricostruire il volto con precisione d'artista: gli occhi verdi penetranti leggermente allungati, il naso deciso, i capelli neri, le forme dolci e morbide. Un viso lontano dai visi di bambola allora di moda, ma un viso che gli si era stampigliato a fuoco nel cuore e nel cervello e che mai, mai avrebbe potuto scordare.

Lei, la sua donna, era lì, ma, quell'altra? Voltò la faccia verso sinistra, piano piano. Quell'altra, quell'ombra nell'ombra, chi era? Che voleva?

Strano, da dieci anni non vedeva quasi nulla, il mondo era un cielo nero costellato di voci; gli amici, il pubblico, la sua compagna. Eppure, in quel momento, l'unica cosa che si faceva più nitida era quell'ombra nell'ombra: prendeva forma, si spogliava della nebbia di cui era rivestita e lo guardava fisso. E pure lui guardava.

Istintivamente allungò una mano e strinse quella della sua donna. Era lì, come sempre, come la sera in cui la luce sul palcoscenico del Politeama di Palermo si era spenta, ma solo per lui.

- Non ci vedo, è buio pesto – le aveva detto mentre il pubblico lo avvolgeva in ondate di applausi e urli. Aveva continuato lo spettacolo, perché è questo che gli attori fanno: continuano lo spettacolo, ma la platea, i palchi, i loggioni, lui, non li vedeva più. Udiva le ovazioni della gente e il battito del suo cuore che, impazzito, gli picchiava nel petto magro.

E la sua donna era lì.

Ma, e quella?

Gli sorrise come a dire – Sì che mi conosci –

Certo che la conosceva. L'aveva tanto temuta e aspettata e celebrata che vedersela lì davanti faceva uno strano effetto.

Lo sapeva che sarebbe stato inevitabile, lo aveva detto tante volte, ma non avrebbe voluto andarsene prima di diventare un grande attore. Però, pensandoci bene, alla fine, anche fosse diventato un grande attore, cosa sarebbe cambiato? Gli attori erano venditori di chiacchiere, nient'altro.

- Che vuoi? – chiese alla Signora che si faceva sempre più limpida davanti ai suoi occhi malati.

- Te – rispose Lei, semplicemente.

- Non gradirebbe un caffé, invece? – Incredibile, come essere tornati ai tempi delle riviste, pensò, col dubbio, però, che la battuta Le avrebbe strappato un applauso. Quella aveva l'aria di una che non rideva mai. Invece, inaspettatamente, la Signora rise. Una risata cristallina, come di tanti campanelli.

- Sì, 'na tazzulella e caffé la gradirei proprio.

L'uomo trasalì. Che stesse cominciando a dare i numeri? Possibile che... Quella volesse davvero un caffé? Strinse più forte la manovella sua compagna, ancora lì. Sempre lì. Quindi non se n'era ancora andato.

- Certo che siete messo bene – disse la Signora dando una lenta occhiata tutt'intorno. Sembrava sinceramente sorpresa, notò l'uomo, non sapendo se sentirsi offeso o lusingato.

- Che mestiere fate voi? – chiese ancora la Signora squadrandolo con un certo interesse.

- Come, che mestiere faccio?

- Oh, mica posso sapere tutto! Avete idea di quanto lavoro ho da sbrigare?

L'uomo si convinse di essere già all'altro mondo, non sapeva esattamente quale, ma di certo quella conversazione non poteva essere reale.

Non rispose subito, ma voltò la testa verso il punto in cui doveva esserci la sua compagna. Avrebbe voluto dire: Parla tu a 'sta zuccona e raccontale che mestiere faccio. Ma non riuscì ad emettere suono. Anche questo era strano: solo con la Signora non faceva fatica a parlare.

- Lasciate che indovini – disse la Signora inclinando un poco in avanti il busto – Voi siete un avvocato!

- Ma che avvocato, io sono...

- No – lo interruppe la Signora – lasciate che indovini.

- Ma tu dimmi! Siamo a Lascia o raddoppia? Non è una cosa seria... - e appena lo disse gli scappò un sorriso. Certo che non lo era! Come aveva fatto a non capirlo subito? Solo il palcoscenico contava, solo le risate della gente contavano, tutto il resto – la vita, la morte, gli affanni – erano niente, un'illusione, un sogno dentro un sogno...

- Vi porterò con me solo se vinco, ci state?

L'uomo sollevò un sopracciglio, poi rispose: - Ci sto.

La Signora si alzò e cominciò a camminare per la stanza, osservando prima un oggetto poi un altro, un quadro, una fotografia.

L'uomo la vide fermarsi e chiudere gli occhi come a concentrarsi, poi la osservò fare un sorriso di trionfo e avvicinarsi di nuovo al letto.

- Ci sono. Voi siete un nobile, un marchese, un conte qualcosa così...

Il viso dell'uomo si deformò in una smorfia di dolore.

- Prego, Sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito della stirpe Costantiniana dei Focas Angelo Flavio Ducas Commeno di Bisanzio, principe di Cilicia, di Macedonia, di Dardania, di Tessaglia, dei Ponto, di Moldavia, di Illiria, di Peloponneso, duca di Cipro e di Epiro e duca di Drivasto e Durazzo e...

- Vabbé, vabbé. Ho vinto. Andiamo.

Lui serrò un'altra volta la mano della sua compagna e le sussurrò: - Bene, però sono stato assai bene con te. Perdonami.

Quando il Principe chiuse gli occhi per l'ultima volta, il buffone serissimo riaprì senza riuscira a trattenere una risata. Non l'aveva fatto finire, la Signora e non aveva capito di aver perso: così si era portata via Sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito della stirpe Costantiniana dei Focas Angelo Flavio Ducas Commeno di Bisanzio, principe di Cilicia, di Macedonia, di Dardania, di Tessaglia, dei Ponto, di Moldavia, di Illiria, di Peloponneso, duca di Cipro e di Epiro e duca di Drivasto e Durazzo eccetera, in arte Totò.

Di mestiere Attore.







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