RACCONTI
Massimo Grisafi
La scelta di Vale
Avevano preso una stanza che affacciava sulla piazza dove c’era la fontana con i quattro cavalli. I cavalli buttavano acqua e nella vasca nuotavano i pesciolini rossi. Ogni mattina, sulla piazza, poche bancarelle offrivano i loro prodotti: verdure rigonfie, formaggi caprini, pesce profumato. Il mare ribolliva in lontananza col suo fiato tiepido. Vale trascorreva le prime ore del giorno sulla spiaggia mentre Alfredo rimaneva nella stanza a cercare di scrivere il libro che non ne voleva sapere di andare avanti. Guardava assorto il panorama e si incupiva per la sua incapacità.
Vale ritornava ogni volta arruffata dal sole, la sacca di traverso, i sandali ai piedi. Si fermava alla bancarella del pesce dove il ragazzo le mostrava il pescato e sorrideva alla sua bellezza. Vale sceglieva ogni volta un pesce diverso.
Lo sai cucinare questo? domandava lui e lei rispondeva: non sai le cose che so fare.
Ti ho visto tuffarti, disse lui. Sei davvero brava.
Dove mi hai visto?
Sugli scogli, rispose, mentre tornavo con la barca. Potremmo nuotare insieme, una volta.
Non è una buona idea, disse Vale spostando una ciocca di capelli. Nuotare insieme è peccato.
Non c’è peccato in natura, rispose il ragazzo che si chiamava Antonio. Non c’è peccato in natura...
Così andarono insieme agli scogli, lei si tuffò in maniera impeccabile, sparì sott’acqua, lui si immerse scomposto spruzzando acqua e sale, lei riemerse e si mise a ridere per la sua goffaggine, un corpo bruno che si agitava. Nuotò verso di lui, Antonio la toccò mentre rideva anche lui, Vale si lasciò toccare. Dopo un po’ si asciugarono al sole, lui la baciò e sapeva di sale, lei lo baciò e sapeva di mare. Non c’è peccato in natura, si dissero.
Ed entrambi sorrisero.
Alfredo non scriveva e si incupiva sempre di più. Aspettò che lei ritornasse ed era ancora umida di mare. Dove sei stata, le chiese. A nuotare, disse lei.
Da sola?
No.
Con un uomo?
Con un ragazzo.
E che avete fatto?
Ci siamo distesi al sole.
E poi?
Ci siamo baciati.
Potrebbe essere tuo figlio, disse lui.
Noi non abbiamo figli, rispose Vale.
E poi cos’altro?
Poi niente. Lo sai che amo solo te.
Hai uno strano modo di dimostrarmelo.
È il solo modo che conosca.
Toccò le pagine del libro, si accorse che lui non aveva scritto nemmeno una riga. Sul tavolino c’era una bottiglia vuota e il suo fiato sapeva di vino.
Ti distruggerai, disse Vale gettando la bottiglia nel cestino.
Mi distruggerò, prima o poi.
Tentò un abbraccio goffo e la mancò.
Il sole era al tramonto, il mare mille rubini. Sugli scogli ancora caldi Antonio insegnava a Vale a fare i nodi. Teneva fra le dita un pezzo di corda e lei ci giocava come fanno i gatti. Scioglieva i nodi che lui aveva fatto e poi provava a rifarli. Lui la correggeva. Il seno di Vale era un frutto morbido e goloso. Antonio ci giocò con le dita, se lo mise in bocca, lo succhiò e ci prese confidenza. Vale emise un gemito lungo, afferrò la sua testa e la strinse a sé. Il corpo di lui era febbricitante e il suo respiro affannato.
Non te ne andare, disse Antonio.
Sono qua, rispose lei.
Volevo dire mai.
Lei lasciò andare il pezzo di corda e si distese. Lo attirò a sé.
Sono qua adesso, ripeté mentre lui si affacciava sul suo corpo.
Alfredo era partito. Aveva messo le sue cose in valigia e se n’era andato. Vale trovò un’altra bottiglia vuota e la gettò nel cestino insieme alla prima. Il libro che stava scrivendo era rimasto sul tavolo insieme a un foglietto.
Se tu mi lasci io non sono capace di riconquistarti.
Vale buttò via anche il biglietto. Che razza d’uomo, pensò. Che razza d’uomo non sa riconquistare la sua donna. Le venne voglia di richiamare Antonio, di fare l’amore lì, su quel letto, di sfinirsi con lui. C’era la luna nel riquadro della finestra ed era la notte giusta per farlo. Poi si sedette al tavolino e si prese la testa fra le mani.
L’indomani. L’indomani avrebbe fatto tutto quello che voleva, ma quella notte no. Quella notte era da passare da sola, rannicchiata nel letto in posizione fetale, augurandosi di non avere sogni. Perché i sogni ti fanno dimenticare la realtà e lei questo proprio non lo voleva. Era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
Vale ritornava ogni volta arruffata dal sole, la sacca di traverso, i sandali ai piedi. Si fermava alla bancarella del pesce dove il ragazzo le mostrava il pescato e sorrideva alla sua bellezza. Vale sceglieva ogni volta un pesce diverso.
Lo sai cucinare questo? domandava lui e lei rispondeva: non sai le cose che so fare.
Ti ho visto tuffarti, disse lui. Sei davvero brava.
Dove mi hai visto?
Sugli scogli, rispose, mentre tornavo con la barca. Potremmo nuotare insieme, una volta.
Non è una buona idea, disse Vale spostando una ciocca di capelli. Nuotare insieme è peccato.
Non c’è peccato in natura, rispose il ragazzo che si chiamava Antonio. Non c’è peccato in natura...
Così andarono insieme agli scogli, lei si tuffò in maniera impeccabile, sparì sott’acqua, lui si immerse scomposto spruzzando acqua e sale, lei riemerse e si mise a ridere per la sua goffaggine, un corpo bruno che si agitava. Nuotò verso di lui, Antonio la toccò mentre rideva anche lui, Vale si lasciò toccare. Dopo un po’ si asciugarono al sole, lui la baciò e sapeva di sale, lei lo baciò e sapeva di mare. Non c’è peccato in natura, si dissero.
Ed entrambi sorrisero.
Alfredo non scriveva e si incupiva sempre di più. Aspettò che lei ritornasse ed era ancora umida di mare. Dove sei stata, le chiese. A nuotare, disse lei.
Da sola?
No.
Con un uomo?
Con un ragazzo.
E che avete fatto?
Ci siamo distesi al sole.
E poi?
Ci siamo baciati.
Potrebbe essere tuo figlio, disse lui.
Noi non abbiamo figli, rispose Vale.
E poi cos’altro?
Poi niente. Lo sai che amo solo te.
Hai uno strano modo di dimostrarmelo.
È il solo modo che conosca.
Toccò le pagine del libro, si accorse che lui non aveva scritto nemmeno una riga. Sul tavolino c’era una bottiglia vuota e il suo fiato sapeva di vino.
Ti distruggerai, disse Vale gettando la bottiglia nel cestino.
Mi distruggerò, prima o poi.
Tentò un abbraccio goffo e la mancò.
Il sole era al tramonto, il mare mille rubini. Sugli scogli ancora caldi Antonio insegnava a Vale a fare i nodi. Teneva fra le dita un pezzo di corda e lei ci giocava come fanno i gatti. Scioglieva i nodi che lui aveva fatto e poi provava a rifarli. Lui la correggeva. Il seno di Vale era un frutto morbido e goloso. Antonio ci giocò con le dita, se lo mise in bocca, lo succhiò e ci prese confidenza. Vale emise un gemito lungo, afferrò la sua testa e la strinse a sé. Il corpo di lui era febbricitante e il suo respiro affannato.
Non te ne andare, disse Antonio.
Sono qua, rispose lei.
Volevo dire mai.
Lei lasciò andare il pezzo di corda e si distese. Lo attirò a sé.
Sono qua adesso, ripeté mentre lui si affacciava sul suo corpo.
Alfredo era partito. Aveva messo le sue cose in valigia e se n’era andato. Vale trovò un’altra bottiglia vuota e la gettò nel cestino insieme alla prima. Il libro che stava scrivendo era rimasto sul tavolo insieme a un foglietto.
Se tu mi lasci io non sono capace di riconquistarti.
Vale buttò via anche il biglietto. Che razza d’uomo, pensò. Che razza d’uomo non sa riconquistare la sua donna. Le venne voglia di richiamare Antonio, di fare l’amore lì, su quel letto, di sfinirsi con lui. C’era la luna nel riquadro della finestra ed era la notte giusta per farlo. Poi si sedette al tavolino e si prese la testa fra le mani.
L’indomani. L’indomani avrebbe fatto tutto quello che voleva, ma quella notte no. Quella notte era da passare da sola, rannicchiata nel letto in posizione fetale, augurandosi di non avere sogni. Perché i sogni ti fanno dimenticare la realtà e lei questo proprio non lo voleva. Era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
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