RECENSIONI
Cormac McCarthy
La strada
Einaudi, Pag. 218 Euro 16,80
Potenza della suggestione. Sere fa vedevo un programma di rai educational sulla sfortunata (eufemismo!) campagna di Russia dell'esercito italiano. Un mare di corpi, di cadaveri, di sofferenza; una sterminata landa di abbandono, miseria e neve. Un incubo bianco.
Il caso ha voluto che cominciassi a leggere il libro di McCarthy, un po' perché autore che stimo, un po' per lo strombazzamento dei media (contraddizione la mia: detesto i suggerimenti editoriali dei giornali, ormai ridotti a megafoni degli uffici stampa, e poi ci sbatto il muso sistematicamente), un po' perché avevo subodorato materia che potesse invaghirmi. Stessa storia: un mare di corpi, di cadaveri, di sofferenza; una sterminata landa di abbandono, miseria e neve. Ma stavolta un incubo grigio.
Suggestione che ha prodotto sogni: di desolata evanescenza, di abbandono repentino, ma quasi concreti.
Eppure a rifletterci, la storia dello scrittore americano nulla ha a che vedere con la tragedia della seconda guerra mondiale (non stiamo parlando di avvenimenti: son due strade diverse) . E non ce l'ha nemmeno per intensità emozionale o per coinvolgimento fenomenico.
Un consiglio se posso darlo: la manchette che sulla prima strilla che siamo di fronte ad un capolavoro, beh, usatela solo come segnalibro. Io ho idea che gli estimatori di McCarthy (che con questo romanzo ha vinto quest'anno il premio Pulitzer) storceranno un po' il naso. Lontani da storie di frontiera, ci ha consegnato una vicenda ai limiti della distopia, ad un passo dalla fantascienza classica della catastrofe, per certi versi molto vicina a pellicole holliwoodiane di riappacificazione universale.
Perché nella storia di un padre ed un figlio in un mondo devastato da incendi ormai prossimo alla dissoluzione, dove i più "cattivi" per nutrirsi mangiano i corpi dei pochi sopravvissuti (ma sopravvissuti a cosa? Mica ci si dice come mai il mondo sia ridotto ad uno sfacelo fumante) io personalmente non ci vedo altro che un tentativo di riappropriazioni di tematiche di universalità spiccia. E non mi si venga a dire poi che il mio è il solito, insopportabile, tono da tribunus plebis : giuro, non voglio essere antipatico nemmeno con McCarthy, ma quel finale edificante, dove il padre, prima di morire, vede il figlio circondato da un'aureolo luminosa... beh francamente fa arricciare il naso (per non parlare dell'uomo che prende in consegna il bambino ormai rimasto orfano: coi capelli lunghi ed il volto affilato sembra l'iconografia di tanti cristi cinematografici). E poi mi si dica una cosa, l'ultima davvero: ma è davvero scontato che l'immagine di un bambino debba essere innocente e edificante? Lo so, il mondo adulto compie ogni giorno, e sistematicamente, violenze inaudite sui più piccoli, rasentando la follia, ma questo non ci deve esimere dal considerare l'infanzia una condizione comunque "umana", fatta di sopraffazione e di prepotenza, che rasenta la crudeltà. Chi ha rapporti coi bambini può verificare l'esattezza di questa mia affermazione quasi quotidianamente.
Nel libro di McCarthy infastidisce questo melenso ritratto di pargolo incolpevole e poi, alla fine, salvifico. No, come dicevo in precedenza, può andar bene per una visione hollywoodiana riparatrice dei sentimenti (probabile che se film sarà, sarà di successo, come lo è il romanzo). Non a noi (plurale maiestatis). Più semplicemente: non a me. No, non mi freghi McCarthy!
di Alfredo Ronci
Il caso ha voluto che cominciassi a leggere il libro di McCarthy, un po' perché autore che stimo, un po' per lo strombazzamento dei media (contraddizione la mia: detesto i suggerimenti editoriali dei giornali, ormai ridotti a megafoni degli uffici stampa, e poi ci sbatto il muso sistematicamente), un po' perché avevo subodorato materia che potesse invaghirmi. Stessa storia: un mare di corpi, di cadaveri, di sofferenza; una sterminata landa di abbandono, miseria e neve. Ma stavolta un incubo grigio.
Suggestione che ha prodotto sogni: di desolata evanescenza, di abbandono repentino, ma quasi concreti.
Eppure a rifletterci, la storia dello scrittore americano nulla ha a che vedere con la tragedia della seconda guerra mondiale (non stiamo parlando di avvenimenti: son due strade diverse) . E non ce l'ha nemmeno per intensità emozionale o per coinvolgimento fenomenico.
Un consiglio se posso darlo: la manchette che sulla prima strilla che siamo di fronte ad un capolavoro, beh, usatela solo come segnalibro. Io ho idea che gli estimatori di McCarthy (che con questo romanzo ha vinto quest'anno il premio Pulitzer) storceranno un po' il naso. Lontani da storie di frontiera, ci ha consegnato una vicenda ai limiti della distopia, ad un passo dalla fantascienza classica della catastrofe, per certi versi molto vicina a pellicole holliwoodiane di riappacificazione universale.
Perché nella storia di un padre ed un figlio in un mondo devastato da incendi ormai prossimo alla dissoluzione, dove i più "cattivi" per nutrirsi mangiano i corpi dei pochi sopravvissuti (ma sopravvissuti a cosa? Mica ci si dice come mai il mondo sia ridotto ad uno sfacelo fumante) io personalmente non ci vedo altro che un tentativo di riappropriazioni di tematiche di universalità spiccia. E non mi si venga a dire poi che il mio è il solito, insopportabile, tono da tribunus plebis : giuro, non voglio essere antipatico nemmeno con McCarthy, ma quel finale edificante, dove il padre, prima di morire, vede il figlio circondato da un'aureolo luminosa... beh francamente fa arricciare il naso (per non parlare dell'uomo che prende in consegna il bambino ormai rimasto orfano: coi capelli lunghi ed il volto affilato sembra l'iconografia di tanti cristi cinematografici). E poi mi si dica una cosa, l'ultima davvero: ma è davvero scontato che l'immagine di un bambino debba essere innocente e edificante? Lo so, il mondo adulto compie ogni giorno, e sistematicamente, violenze inaudite sui più piccoli, rasentando la follia, ma questo non ci deve esimere dal considerare l'infanzia una condizione comunque "umana", fatta di sopraffazione e di prepotenza, che rasenta la crudeltà. Chi ha rapporti coi bambini può verificare l'esattezza di questa mia affermazione quasi quotidianamente.
Nel libro di McCarthy infastidisce questo melenso ritratto di pargolo incolpevole e poi, alla fine, salvifico. No, come dicevo in precedenza, può andar bene per una visione hollywoodiana riparatrice dei sentimenti (probabile che se film sarà, sarà di successo, come lo è il romanzo). Non a noi (plurale maiestatis). Più semplicemente: non a me. No, non mi freghi McCarthy!
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