CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Quante cose nel disco di Nguyen Le: Jazz-rock, free jazz, rimbalzi africani e schegge orientali!

Per chi non lo conoscesse, lui è un chitarrista vecchio stampo, franco-vietnamita, con la fissa per Hendrix (e mica è l'unico!). La sua è una musica che potrebbe essere perfetto tappeto sonoro per un'operazione nostalgica anni sessanta/settanta.
Detta così la considerazione ha le stimmate della malevolenza, e invece deve essere considerata all'opposto. Nguyen Le, privilegiando musiche di un certo tipo e di una certa stagione, è un ottimo cesellatore di atmosfere e in Songs of freedom ne dà viva testimonianza, facendo brillare (come si fa con i vecchi argenti della nonna) canzoni che forse avevano perso un po' di malto, non tanto per il loro valore intrinseco, quanto per le numerose riproposizioni stantie e polverose.
Il chitarrista si permette tutto in questa operazione, spaziando, come si diceva nel titolo, dal jazz-rock a soluzioni più free, a tessiture etno che vanno dall'Africa all'Oriente.
Le cover scelte sono dei monumenti di un passato glorioso: due brani di Stevie Wonder ('I wish', con uno splendido incedere tribale e 'Pastime paradise' che non me ne voglia nessuno mi ricorda certe soluzioni alla Eno-Byrne). Due brani dei Led Zeppelin 'Black Dog' e 'Whole lotta love' (e nessuno si meravigli se Nguyen Le si lascia un po' andare con la sua chitarra). Sempre due brani dei Beatles ('Eleanor Righby' apre le danze ed il risultato è splendido, e 'Come together' le chiude). Poi vi è una 'Sunshine of your love' dei Cream che sembra adeguata all'originale, c'è il classico janis-jopliano 'Mercedes Benz' il riflessivo Marley di 'Redemption song', a tratti irriconoscibile, ma con un suggestivo intro vagamente orientale e con una chitarra soffice che ricorda i ricami che Pat Metheny cuciva addosso alla grande Joni Mitchell) e l'inaspettata 'In a gadda da vida' dei vecchi Iron Butterfly, che negli anni sessanta settanta era colonna sonora ideale per sballare di un po' di tutto.
Non ci vuole molto a capire dove batte il cuore di Nguyen Le. Per carità, l'idea di 'impilare' gloriose canzoni di libertà può anche essere un dato di fatto, ma crediamo che le scelte sarebbero state ugualmente 'datate' pur se avesse avuto l'intenzione di parlar di cucina.
Il risultato però a noi pare convincente: alcune trovate sono sensazionali (domanda: come è possibile riproporre i Beatles e non annoiarsi?), altre un po' troppo dettate dall'amore incondizionato per il bel tempo che fu. In ogni caso il sottoscritto ritiene Songs of freedom una delle proposte più interessanti e convincenti della stagione.
Nguyen Le
Songs of freedom
ACT music
Detta così la considerazione ha le stimmate della malevolenza, e invece deve essere considerata all'opposto. Nguyen Le, privilegiando musiche di un certo tipo e di una certa stagione, è un ottimo cesellatore di atmosfere e in Songs of freedom ne dà viva testimonianza, facendo brillare (come si fa con i vecchi argenti della nonna) canzoni che forse avevano perso un po' di malto, non tanto per il loro valore intrinseco, quanto per le numerose riproposizioni stantie e polverose.
Il chitarrista si permette tutto in questa operazione, spaziando, come si diceva nel titolo, dal jazz-rock a soluzioni più free, a tessiture etno che vanno dall'Africa all'Oriente.
Le cover scelte sono dei monumenti di un passato glorioso: due brani di Stevie Wonder ('I wish', con uno splendido incedere tribale e 'Pastime paradise' che non me ne voglia nessuno mi ricorda certe soluzioni alla Eno-Byrne). Due brani dei Led Zeppelin 'Black Dog' e 'Whole lotta love' (e nessuno si meravigli se Nguyen Le si lascia un po' andare con la sua chitarra). Sempre due brani dei Beatles ('Eleanor Righby' apre le danze ed il risultato è splendido, e 'Come together' le chiude). Poi vi è una 'Sunshine of your love' dei Cream che sembra adeguata all'originale, c'è il classico janis-jopliano 'Mercedes Benz' il riflessivo Marley di 'Redemption song', a tratti irriconoscibile, ma con un suggestivo intro vagamente orientale e con una chitarra soffice che ricorda i ricami che Pat Metheny cuciva addosso alla grande Joni Mitchell) e l'inaspettata 'In a gadda da vida' dei vecchi Iron Butterfly, che negli anni sessanta settanta era colonna sonora ideale per sballare di un po' di tutto.
Non ci vuole molto a capire dove batte il cuore di Nguyen Le. Per carità, l'idea di 'impilare' gloriose canzoni di libertà può anche essere un dato di fatto, ma crediamo che le scelte sarebbero state ugualmente 'datate' pur se avesse avuto l'intenzione di parlar di cucina.
Il risultato però a noi pare convincente: alcune trovate sono sensazionali (domanda: come è possibile riproporre i Beatles e non annoiarsi?), altre un po' troppo dettate dall'amore incondizionato per il bel tempo che fu. In ogni caso il sottoscritto ritiene Songs of freedom una delle proposte più interessanti e convincenti della stagione.
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