CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Sfizio o no, ha qualcosa da dire: 'O Devotion' di Liz Green.

E ' una vecchia storia, ce la siamo detta anche con Bertoncelli durante un'intervista: sfruculiar tra le migliaia di proposte nel mondo, è peccato di presunzione, è andar dietro allo sfizio (musicofilia esasperata?) o è semplicemente un modo come un altro per reggere i tempi?
Lascerei la risposta ai posteri: io intanto, m'imbarco a raccontar di questa ventiseienne inglese che sembra uscita da un vecchio racconto.
Se fate un giro per Internet ne leggerete di tutti i colori, che la sua voce sembra provenire da un vecchio settantotto giri, che il suo disco è stata la sorpresa più bella di questo inizio anno, che la sua ugola ricorda prestigiose colleghe (Nina Simone... oh my God! Judy Garland... oh my God! Madelein Peyroux... oh my God!) che nei testi non è affatto banale, anzi (cita pure Primo Levi!), insomma parrebbe una meraviglia.
Tutto quello che è stato scritto è quasi vero, a cominciar da questo album inusuale, molto folk, come ormai nelle intenzioni tutte inglesi di riscoprir le origini, ma che proprio perché così asciutto e a tratti gentile rischia di compromettere un po' l'immagine e il talento della Liz Green.
Seppur inglese, pare poco esserlo: le sue canzoni sembrano subire l'influenza del blues, per non parlare delle 'inflessioni' alla Kurt Weill (Berlino anni trenta?) che al sottoscritto hanno fatto venire in mente pure Max Raabe e la Palast Orchester (credo che sia stato l'unico a suggerire 'sto nome, in mezzo al profluvio di etichettature).
Insomma 'Hey Joe' che non è quella hendrixiana, 'Midnight blues', 'Bad medicine' che fu il suo singolo d'esordio (ormai più di quattro anni fa, perché la signora s'è fatta attendere un casino prima di pubblicare l'album, nonostante pure l'invito di John Cale a ricordare Nico durante uno spettacolo in memoria della Musa), ma soprattutto 'The quiet' e 'Ostrich song' sembrano piccole perle che ancora non hanno avuto il coraggio di dischiudersi per intero.
Le cose son due: qui, e se si ha pazienza, potrebbe succedere il miracolo e quindi vedere crescere un'artista talentuosa e capace, che potrebbe fare anche miracoli, oppure, au contraire, immaginarla 'ingolfata' in quel marasma musicale new folk che sta invadendo il mercato anglosassone.
Conviene aspettare.
P.S. Ho ancora un altro nome da accostare alla Liz: le sorelline Cocorosie. Ma si sa, anche questo paragone è uno sfizio.
Liz Green
O' Devotion
Pias - 2012
Lascerei la risposta ai posteri: io intanto, m'imbarco a raccontar di questa ventiseienne inglese che sembra uscita da un vecchio racconto.
Se fate un giro per Internet ne leggerete di tutti i colori, che la sua voce sembra provenire da un vecchio settantotto giri, che il suo disco è stata la sorpresa più bella di questo inizio anno, che la sua ugola ricorda prestigiose colleghe (Nina Simone... oh my God! Judy Garland... oh my God! Madelein Peyroux... oh my God!) che nei testi non è affatto banale, anzi (cita pure Primo Levi!), insomma parrebbe una meraviglia.
Tutto quello che è stato scritto è quasi vero, a cominciar da questo album inusuale, molto folk, come ormai nelle intenzioni tutte inglesi di riscoprir le origini, ma che proprio perché così asciutto e a tratti gentile rischia di compromettere un po' l'immagine e il talento della Liz Green.
Seppur inglese, pare poco esserlo: le sue canzoni sembrano subire l'influenza del blues, per non parlare delle 'inflessioni' alla Kurt Weill (Berlino anni trenta?) che al sottoscritto hanno fatto venire in mente pure Max Raabe e la Palast Orchester (credo che sia stato l'unico a suggerire 'sto nome, in mezzo al profluvio di etichettature).
Insomma 'Hey Joe' che non è quella hendrixiana, 'Midnight blues', 'Bad medicine' che fu il suo singolo d'esordio (ormai più di quattro anni fa, perché la signora s'è fatta attendere un casino prima di pubblicare l'album, nonostante pure l'invito di John Cale a ricordare Nico durante uno spettacolo in memoria della Musa), ma soprattutto 'The quiet' e 'Ostrich song' sembrano piccole perle che ancora non hanno avuto il coraggio di dischiudersi per intero.
Le cose son due: qui, e se si ha pazienza, potrebbe succedere il miracolo e quindi vedere crescere un'artista talentuosa e capace, che potrebbe fare anche miracoli, oppure, au contraire, immaginarla 'ingolfata' in quel marasma musicale new folk che sta invadendo il mercato anglosassone.
Conviene aspettare.
P.S. Ho ancora un altro nome da accostare alla Liz: le sorelline Cocorosie. Ma si sa, anche questo paragone è uno sfizio.
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