CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Solo un disco per non morire: 'Generation indigo' di Poly Styrene
Della morte di Poly Styrene ne hanno parlato davvero in pochi. Ne hanno fatto cenno quei giornali che credono ancora nell'azione salvifica della musica e che hanno un rapporto diretto con gli artisti ed eventi meno mercificati della piazza. Eppure lei era stata l'eroina di un grido punk generazionale, insieme al gruppo degli X Ray Spex, che aveva attraversato il mondo ('Germ free adolescence') e anni dopo aveva tentato la carta della fascinazione con un album soffice ed onirico Translucence, che aveva spiazzato chi si aspettava il fuoco della distruzione o quanto meno il grido ribelle di un'anima in pena. La notizia della sua dipartita è arrivata poco dopo l'uscita, dopo una distanza quasi giurassica, di questo Generation indigo, ignorato dai più.
I motivi della dimenticanza possono essere molteplici, a cominciare proprio dal grado di popolarità di Poly Styrene negli ultimi anni. Ne aggiungerei un paio: il primo è che nel marasma contemporaneo delle offerte è sempre più difficile discernere le ragioni per scelte condivise, e spesso si preferiscono quelle con maggior facilità di 'presa', il secondo è che siamo di fronte, nonostante siamo legati affettivamente e storicamente all'artista inglese, ad un'operina poco riuscita.
Mettiamola così: se uno squinzio di adesso dovesse sentire un disco del genere, potrebbe trovare anche motivi di interesse e persino una certa frenesia all'ancheggiamento, ma quelli come noi, che sono passati indenni attraverso decenni di proposte e fallimenti, i tempi e i modi dell'offerta di Poly Styrene richiamano alla mente un mare di cose purtroppo già ascoltate.
A cominciare dalla title track che ricorda assai certi passaggi delle Destiny's Child ed il carro di Tespi di una negritudine un po' falsa.
La voce della cara Poly, per un'innata propensione, ha ancora stille dell'antico 'gridare': nonostante gli anni trascorsi ha di certo un afflato aggressivo e scorticante, ma può far poco con un repertorio che s'aggira sconsolato tra i fantasmi di una Lene Lovich (qualcuno di voi la ricorda? Eppure, insieme a Patty Smith, fu quella che ebbe il coraggio di suonare in Italia quando i maggiori artisti internazionali si rifiutavano perché avevano paura delle molotov degli autonomi... davvero paleontologia della musica!), di una Nina Hagen (ora del tutto persa dietro Cristo e la Madonna!) e dei gloriosi B'52. Per non parlare di certa elettronica-dance anni ottanta inutile ed invadente.
C'è un po' di tutto in Generation indigo, compreso il reggae di 'Code pink Dub' che poteva fare tendenza trent'anni fa, ma ora ci sembra una spenta imitazione del passato.
Diciamo che tutta l'operazione è stata un'occasione mancata, ma chissà che non sia stata, al di là del tempo e dello spazio, l'ultima carta giocata con la vita per non soccombere?
Se fosse davvero così non avremmo altro da aggiungere.
Poly Styrene
Generation indigo
Future Noise music - 2011
I motivi della dimenticanza possono essere molteplici, a cominciare proprio dal grado di popolarità di Poly Styrene negli ultimi anni. Ne aggiungerei un paio: il primo è che nel marasma contemporaneo delle offerte è sempre più difficile discernere le ragioni per scelte condivise, e spesso si preferiscono quelle con maggior facilità di 'presa', il secondo è che siamo di fronte, nonostante siamo legati affettivamente e storicamente all'artista inglese, ad un'operina poco riuscita.
Mettiamola così: se uno squinzio di adesso dovesse sentire un disco del genere, potrebbe trovare anche motivi di interesse e persino una certa frenesia all'ancheggiamento, ma quelli come noi, che sono passati indenni attraverso decenni di proposte e fallimenti, i tempi e i modi dell'offerta di Poly Styrene richiamano alla mente un mare di cose purtroppo già ascoltate.
A cominciare dalla title track che ricorda assai certi passaggi delle Destiny's Child ed il carro di Tespi di una negritudine un po' falsa.
La voce della cara Poly, per un'innata propensione, ha ancora stille dell'antico 'gridare': nonostante gli anni trascorsi ha di certo un afflato aggressivo e scorticante, ma può far poco con un repertorio che s'aggira sconsolato tra i fantasmi di una Lene Lovich (qualcuno di voi la ricorda? Eppure, insieme a Patty Smith, fu quella che ebbe il coraggio di suonare in Italia quando i maggiori artisti internazionali si rifiutavano perché avevano paura delle molotov degli autonomi... davvero paleontologia della musica!), di una Nina Hagen (ora del tutto persa dietro Cristo e la Madonna!) e dei gloriosi B'52. Per non parlare di certa elettronica-dance anni ottanta inutile ed invadente.
C'è un po' di tutto in Generation indigo, compreso il reggae di 'Code pink Dub' che poteva fare tendenza trent'anni fa, ma ora ci sembra una spenta imitazione del passato.
Diciamo che tutta l'operazione è stata un'occasione mancata, ma chissà che non sia stata, al di là del tempo e dello spazio, l'ultima carta giocata con la vita per non soccombere?
Se fosse davvero così non avremmo altro da aggiungere.
Poly Styrene
Generation indigo
Future Noise music - 2011
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