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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Gianfranco Franchi

Monteverde

Castelvecchi, Pag. 310 Euro 16,00
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Guido Orsini è un trentenne medio borghese di una Roma contemporanea isterizzata dal nuovo disordine globale neoliberista. Orsini per giunta è un letterato quindi in questo nuovo mondo totalmente inutile. La sua vita è una pressoché continua ricerca di lavori che gli permettano di sopravvivere facendo ciò che sa fare (bestemmia!), è una ridda di donne che vengono e vanno, che rompono tazze da caffè, costringono a fumate bestiali e sesso mendicato. La sua vita è comica per forza di cose. Quando effettua il servizio civile allo sportello dell'università Roma Tre, quando trova lavoro notturno in un'agenzia di stampa come inseritore notturno, quando si arrabatta per scrivere recensioni sui giornali di vario tipo, quando lavora all'organizzazione di concerti, tutto è terribilmente comico. Perché tragico. Ma di una tragicità a cui si è ormai assuefatti e rassegnati. Quasi tutti. Orsini no. Orsini si ribella. Lo fa con le armi più inutili che si possano opporre. Quelle della poesia. Orsini sogna, scrive, ascolta musica, si chiude in casa, litiga, si indigna. Lo fa come farebbe un perfetto paladino dell'anti-politica. Dell'asocialità cosmogonica (nonché tragicomica). Ma non di quella che fa le Liste Civiche di Beppe Grillo. Bensì di quella solipsista e iper-individualista di chi sa che solo nella follia della poesia sta la chiave per disarticolare il sistema. Spiazzarlo.

Guido Orsini è triste ed eroico, ma anche anti-eroico e antipatico, scorretto. Come le sue serate sul terrazzo della sua casa di Monteverde, a scrivere e immaginare fanzine carbonare e rivoluzionarie con gruppi di studenti che non rivedrà mai più, le sue passeggiate per le strade di uno dei quartieri più belli e vecchi della Capitale, le sue riflessioni paranoiche, le sue sconfitte davanti a un dvd che sentenzia la fine di un rapporto e l'inizio della routine dell'angosciosa coppia eterosessuale. E poi la musica. E il calcio. Guido Orsini trova rifugio in queste due ulteriori inutili mega-produzioni contemporanee. Lui, adoratore di Radiohead, Sigur Ros, Pearl Jam, Jeff Buckley, costretto a confrontarsi col quotidiano delle radio private che mandano ovunque musica lobotomizzante, in ogni angolo delle nostre città, negozi, centri commerciali, supermercati, i jingle dei telefonini, le suonerie, le musichette di attesa al telefono. Lui, che ancora si commuove per un concerto all'Auditorium di un gruppo di pazzi islandesi (i Sigur Ros appunto) che suonano stridori rarefatti e suggestionano con folletti, gnomi ed elfi. Questo pazzo mondo, che costringe a rifugiarsi nel tifo calcistico per non morire di frustrante impotenza. Che anzi aiuta a morire piano piano dietro un pallone che rotola. La As Roma. Un mito che vorrebbe riesumare antichi fasti, che incita i nuovi proletari Ultras a crederci, così che la rivoluzione del popolo sia ben incasellata nella telefonata a una radio privata, ed esali il suo ultimo sfiato nella reprimenda incazzata contro un Mister indegno, una presidenza che non compra, gladiatori che non riescono ad essere tali sul prato verde.

Monteverde è un non romanzo pop. Colto e spiazzante. Bellissimo e suggestivo. Guido Orsini è un personaggio in apnea, giovane rabbioso e messianico, l'antitesi esemplare dei giovani che appaiono sui manifesti elettorali del PD. Triestino di nascita e revanchista (di una multiculturalità istriana utopica e romanzesca). Fiero romano d'adozione (come l'autore, ma del resto...). E' un bambino che ricorda il papà che lo portava allo stadio. E' un arbitro di calcio insultato ma mai malmenato. E' la commozione sciocca e ineguagliabile per uno scudetto perso e uno vinto. E' un uomo a cui una coppia di istrici giganti occupa la casa. Un fanciullo bene che associa la morte del nonno al catafalco borghese su cui viene issato il cadavere. Guido Orsini ha come patria la letteratura, dice. E' un anti-italiano. Quindi, un romano perfetto.





di Adriano Angelini


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