RECENSIONI
Paolo Maurensig
Vukovlad
Mondadori, Pag.109 Euro 12,00
Un romanzetto esiguo, ancor più breve di quanto si supporrebbe a vedere il libro, poiché la carta spessa e poco riempita d'inchiostro inganna, come l'involucro di quei regaletti ingigantiti dalla confezione. E non si tratta di un gioiello come L'ombra e la meridiana (1998), breve ma intenso, forse l'opera più perfetta di Maurensig (vedi Il paradiso degli orchi cartaceo n.20). No, questo appare come niente di più di un buon esercizio. Lo stile impeccabile è condizione necessaria ma non sufficiente.
Lo stesso dicasi della sapienza suggestiva, perché Maurensig è pur sempre un ammaliatore, un incantatore di serpenti. E sa bene come costruire atmosfere dal fascino claustrofobico. In questo caso la corda che vibra è quella del timor panico: "...oggi so che più che le case diroccate e i vecchi manieri, è la natura a narrarci le proprie fiabe, a volte a lieto fine, ma molto spesso invece spaventose. Credo che non ci sia nulla, come l'isolamento in mezzo a una natura selvaggia, in grado di alimentare la paura del Male."
La storia ruota intorno alle leggende sulla licantropia (se di autentica licantropia si tratti... non voglio qui anticipare). Si svolge all'alba della seconda guerra mondiale, con un'interessante contrapposizione fra evidenze storiche e ambienti immobili nel tempo. Il narratore è un giovane ufficiale dell'esercito polacco inviato sui Carpazi a difendere i confini dall'invasione tedesca, insieme al suo capitano. Figura rude e sanguigna, il capitano, inseparabile dal suo cane, orbo anche lui allo stesso occhio. Li accoglie, prima ancora del nemico, una natura prodiga di intemperie, ma soprattutto di fenomeni inquietanti.
L'Autore porta avanti la storia lentamente, come si conviene all'incedere faticoso e incerto del plotone di esploratori, infittendo il mistero ad ogni passo, ma mentre si pensa di stare ancora all'antefatto ci si accorge con costernazione che mancano ormai poche pagine, e il racconto sta volgendo alla fine con troppa rapidità per poter dare conto di tutto. Infatti, mentre assaporiamo qualche brivido incontrando il fascino sinistro di un feudatario che pare uscito da un cronaca medioevale, il romanzo arriva bruscamente all'epilogo, e i colpi di scena vengono riassunti in una pagina di conclusioni. Sembra uno di quei libri incompiuti pubblicati postumi, con gli appunti dell'autore che sostituiscono la parte finale.
Un Maurensig affascinante come sempre ma ahimè, proprio in virtù delle aspettative che crea, deludente.
di Giovanna Repetto
Lo stesso dicasi della sapienza suggestiva, perché Maurensig è pur sempre un ammaliatore, un incantatore di serpenti. E sa bene come costruire atmosfere dal fascino claustrofobico. In questo caso la corda che vibra è quella del timor panico: "...oggi so che più che le case diroccate e i vecchi manieri, è la natura a narrarci le proprie fiabe, a volte a lieto fine, ma molto spesso invece spaventose. Credo che non ci sia nulla, come l'isolamento in mezzo a una natura selvaggia, in grado di alimentare la paura del Male."
La storia ruota intorno alle leggende sulla licantropia (se di autentica licantropia si tratti... non voglio qui anticipare). Si svolge all'alba della seconda guerra mondiale, con un'interessante contrapposizione fra evidenze storiche e ambienti immobili nel tempo. Il narratore è un giovane ufficiale dell'esercito polacco inviato sui Carpazi a difendere i confini dall'invasione tedesca, insieme al suo capitano. Figura rude e sanguigna, il capitano, inseparabile dal suo cane, orbo anche lui allo stesso occhio. Li accoglie, prima ancora del nemico, una natura prodiga di intemperie, ma soprattutto di fenomeni inquietanti.
L'Autore porta avanti la storia lentamente, come si conviene all'incedere faticoso e incerto del plotone di esploratori, infittendo il mistero ad ogni passo, ma mentre si pensa di stare ancora all'antefatto ci si accorge con costernazione che mancano ormai poche pagine, e il racconto sta volgendo alla fine con troppa rapidità per poter dare conto di tutto. Infatti, mentre assaporiamo qualche brivido incontrando il fascino sinistro di un feudatario che pare uscito da un cronaca medioevale, il romanzo arriva bruscamente all'epilogo, e i colpi di scena vengono riassunti in una pagina di conclusioni. Sembra uno di quei libri incompiuti pubblicati postumi, con gli appunti dell'autore che sostituiscono la parte finale.
Un Maurensig affascinante come sempre ma ahimè, proprio in virtù delle aspettative che crea, deludente.
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