RECENSIONI
Elena Stancanelli
A immaginare una vita ce ne vuole un'altra
Minimum fax, Pag. 176 Euro 11,00
Quando inizia una storia d'amore? Quando dall'indistinto e informe qualcosa sbalza. Luccica, riverbera, ti costringe a fermarti e guardare. [...] O appena ti accorgi che è doloroso?
Se lo chiede Elena Stancanelli quando deve far luce nella vita, in quella vita che si dipana fra le strade di Roma, che l'hanno vista un tempo estranea visitatrice curiosa. E l'amore è solo una delle cose che hanno una fine e un inizio di certo, ma nessuno saprebbe dire quali.
Sono riflessioni così che accompagnano questo narrare che fa del vagabondaggio il modus operandi di un intero libro. Un libro scritto per risalire dopo le "dimissioni" dalla vita. Un racconto per riappropriarsi, di una città, delle sue storie; attraverso le parole peregrine che compongono le frasi e i discorsi, la Stancanelli ci trascina a vedere, a osservare quella vita che scorre appena un po' più in là: in un piccolo museo di cui nessuno sentiva la necessità, in un orto botanico rimasto antico e fuori fuoco.
È il dramma e la dolcezza di Roma: corre con il mondo e poi distratta rimane indietro. È cosmopolita e al passo coi tempi ma poi sembra conservata in una gelatina fumosa di smog che preserva fino all'ultima delle incongruenze. Quelle storiche, quelle architettoniche. La mano di Elena è salda mentre ci guida fra le strade e ci fa sbirciare le sue scoperte silenziose. Non occhieggia il Colosseo, tacciono le campane di San Pietro, non ha fame la Bocca della Verità. A parlare sono il Corviale, le periferie più dubbie, i musei senza catalogo, le storie che in pochi hanno sentito.
Come se a raccontare fosse il nonno che rivive una guerra, la realtà mai vista che ti da uno straniamento e la voglia di sapere. A sussurrare all'orecchio dell'osservatore statico che legge è l'alito fuggevole di vita che anima per un attimo la città eterna per poi abbandonarla di nuovo.
Accompagnati per mano si percorre un tracciato per nulla scontato. Attraverso le parole di altri prima di lei (Victor Cavallo e Pierpaolo Pasolini su tutti) si sbircia dal buco della serratura una realtà che spesso appare come un fotogramma pronto a sparire prima che se ne abbia la percezione.
E i protagonisti sono di volta in volta i picchiatori fascisti, i colleghi dell'ardore letterario, i luoghi amati da Cristina Campo, i fili intessuti dai migranti col proprio paese lasciato indietro, le notti dei travestiti.
Quello che ci fa compagnia nella lettura è di volta in volta l'indagine sociologica, la ricerca storiografica, la smania filologica, il piacere della scoperta. Anche per chi è di Roma, i luoghi narrati risultano nuovi, trascolorati dalla luce intensa che trasmette la penna della Stancanelli. Si viaggia in treno alla volta di Milano e si appoggia un attimo il libro per mettere a fuoco meglio quel ricordo ballerino legato a un giorno di tanti anni fa, con un amore perduto e lontano. Il giorno della sega a scuola con il motorino e la fuga verso Fregene che passava dal Serpentone. La paura e la sensazione di essersi smarriti. Le tessere di un mosaico che ricostruiscono una storia sempre diversa.
E la nostalgia. Quella nostalgia romantica per le cose passate che non torneranno, o che torneranno inevitabilmente cambiate.
E davvero poi si ha la sensazione, diretta dall'autrice, che per immaginare una vita differente da quella che abbiamo e che cambia continuamente sull'onda del desiderio errante, ne serva un'altra, poi vissuta davvero. E che tanto vivere è così. E non ci si passa attraverso.
di Enrica Murru
Se lo chiede Elena Stancanelli quando deve far luce nella vita, in quella vita che si dipana fra le strade di Roma, che l'hanno vista un tempo estranea visitatrice curiosa. E l'amore è solo una delle cose che hanno una fine e un inizio di certo, ma nessuno saprebbe dire quali.
Sono riflessioni così che accompagnano questo narrare che fa del vagabondaggio il modus operandi di un intero libro. Un libro scritto per risalire dopo le "dimissioni" dalla vita. Un racconto per riappropriarsi, di una città, delle sue storie; attraverso le parole peregrine che compongono le frasi e i discorsi, la Stancanelli ci trascina a vedere, a osservare quella vita che scorre appena un po' più in là: in un piccolo museo di cui nessuno sentiva la necessità, in un orto botanico rimasto antico e fuori fuoco.
È il dramma e la dolcezza di Roma: corre con il mondo e poi distratta rimane indietro. È cosmopolita e al passo coi tempi ma poi sembra conservata in una gelatina fumosa di smog che preserva fino all'ultima delle incongruenze. Quelle storiche, quelle architettoniche. La mano di Elena è salda mentre ci guida fra le strade e ci fa sbirciare le sue scoperte silenziose. Non occhieggia il Colosseo, tacciono le campane di San Pietro, non ha fame la Bocca della Verità. A parlare sono il Corviale, le periferie più dubbie, i musei senza catalogo, le storie che in pochi hanno sentito.
Come se a raccontare fosse il nonno che rivive una guerra, la realtà mai vista che ti da uno straniamento e la voglia di sapere. A sussurrare all'orecchio dell'osservatore statico che legge è l'alito fuggevole di vita che anima per un attimo la città eterna per poi abbandonarla di nuovo.
Accompagnati per mano si percorre un tracciato per nulla scontato. Attraverso le parole di altri prima di lei (Victor Cavallo e Pierpaolo Pasolini su tutti) si sbircia dal buco della serratura una realtà che spesso appare come un fotogramma pronto a sparire prima che se ne abbia la percezione.
E i protagonisti sono di volta in volta i picchiatori fascisti, i colleghi dell'ardore letterario, i luoghi amati da Cristina Campo, i fili intessuti dai migranti col proprio paese lasciato indietro, le notti dei travestiti.
Quello che ci fa compagnia nella lettura è di volta in volta l'indagine sociologica, la ricerca storiografica, la smania filologica, il piacere della scoperta. Anche per chi è di Roma, i luoghi narrati risultano nuovi, trascolorati dalla luce intensa che trasmette la penna della Stancanelli. Si viaggia in treno alla volta di Milano e si appoggia un attimo il libro per mettere a fuoco meglio quel ricordo ballerino legato a un giorno di tanti anni fa, con un amore perduto e lontano. Il giorno della sega a scuola con il motorino e la fuga verso Fregene che passava dal Serpentone. La paura e la sensazione di essersi smarriti. Le tessere di un mosaico che ricostruiscono una storia sempre diversa.
E la nostalgia. Quella nostalgia romantica per le cose passate che non torneranno, o che torneranno inevitabilmente cambiate.
E davvero poi si ha la sensazione, diretta dall'autrice, che per immaginare una vita differente da quella che abbiamo e che cambia continuamente sull'onda del desiderio errante, ne serva un'altra, poi vissuta davvero. E che tanto vivere è così. E non ci si passa attraverso.
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