ATTUALITA'
Stefano Torossi
Anagrafe infausta
Eccolo, il capolavoro irresistibile di Francesco Mochi: il Battesimo di Cristo a San Giovanni dei Fiorentini.
Guardare lo slancio delle figure, constatarne l’equilibrio prodigioso, stupirsi dell’audacia della loro magrezza e ammirarne la modernità dei muscoli. E poi rendersi conto che se non ci fosse stato quell’altro tizio (suo contemporaneo) questo poteva diventare il primo capolavoro del barocco romano e Mochi essere il faro dell’arte in città.
Invece…Ordinato per la cappella di famiglia, non deve essere piaciuto granché ai Falconieri perché finì presto al palazzo di Via Giulia, poi addirittura su due basi separate a Ponte Milvio, e poi ancora al Museo di Roma.
Finalmente, dopo questo interminabile vagabondaggio è tornato e ha trovato pace nella terza cappella a sinistra, in quella che era da sempre la sua casa e la sua chiesa.
Ma ci sono voluti quattro secoli e malgrado l’indiscutibile, commovente bellezza dell’opera, chi è che oggi ricorda Francesco Mochi? Quasi nessuno, perché (e qui salta fuori l’anagrafe infausta) contemporaneamente a lui lavorava, creava, splendeva, trionfava a Roma quell’altro tizio, Gian Lorenzo Bernini, e beh, bisogna ammetterlo, nessuno mai è riuscito a essere più bravo di lui.
C’è chi ci si è ammazzato dalla rabbia e dalla depressione: Borromini. E chi, come il nostro artista, è sopravvissuto, ma a patto di rimanere nell’ombra.
La storia dell’arte è piena di questi fatti; che spreco di talento.
Guardare lo slancio delle figure, constatarne l’equilibrio prodigioso, stupirsi dell’audacia della loro magrezza e ammirarne la modernità dei muscoli. E poi rendersi conto che se non ci fosse stato quell’altro tizio (suo contemporaneo) questo poteva diventare il primo capolavoro del barocco romano e Mochi essere il faro dell’arte in città.
Invece…Ordinato per la cappella di famiglia, non deve essere piaciuto granché ai Falconieri perché finì presto al palazzo di Via Giulia, poi addirittura su due basi separate a Ponte Milvio, e poi ancora al Museo di Roma.
Finalmente, dopo questo interminabile vagabondaggio è tornato e ha trovato pace nella terza cappella a sinistra, in quella che era da sempre la sua casa e la sua chiesa.
Ma ci sono voluti quattro secoli e malgrado l’indiscutibile, commovente bellezza dell’opera, chi è che oggi ricorda Francesco Mochi? Quasi nessuno, perché (e qui salta fuori l’anagrafe infausta) contemporaneamente a lui lavorava, creava, splendeva, trionfava a Roma quell’altro tizio, Gian Lorenzo Bernini, e beh, bisogna ammetterlo, nessuno mai è riuscito a essere più bravo di lui.
C’è chi ci si è ammazzato dalla rabbia e dalla depressione: Borromini. E chi, come il nostro artista, è sopravvissuto, ma a patto di rimanere nell’ombra.
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