CLASSICI
Alfredo Ronci
Anche nella finzione, un uomo che non cede: “Cribol” di Giovanni Comisso.
Non ce ne vogliate, ma questo è il quarto romanzo pubblicato da Comisso che noi inseriamo nella rubrica “I classici”. Qualcuno dirà: ma è uno dei vostri scrittori preferiti? La risposta è assolutamente sì (tra l’altro, nel corso del tempo, vedremo altre storie dello scrittore trevigiano), ma al di là di certi riferimenti storico-politici e anche intellettuali che formano la sostanza dell’artista, c’è nella scrittura di Comisso un quid erotico-sessuale (lo so, l’espressione può sembrare ambigua e nemmeno tanto qualificante) che ce lo fa amare, nonostante certi contrasti dell’epoca e certe soluzioni poco chiare volute anche dallo stesso scrittore. Lo abbiamo visto (tanto per citare i romanzi che abbiamo trattato nella nostra sezione) in Gioco d’infanzia dove la prosa poi risultò assai diversa e priva di accenti più smaccatamente omosessuali rispetto a quella originariamente scritta.
Cribol, la storia che andiamo a trattare, è un romanzo, che le stesse note dell’edizione dicono, porta un titolo piuttosto strano: Cribol è il soprannome del protagonista e nello stesso tempo è la contrazione di due parole, Cristo e diavolo, per indicare appunto le origini, ma soprattutto il carattere dell’uomo.
Bisogna fare un appunto: la pubblicazione porta l’anno 1964. E qui molti potrebbero pensare: ma Comisso si lasciò prendere dalle smanie costruttiviste del Gruppo 63, o siamo di fronte ad un libro del tutto diverso dagli slanci dei contestatori? La risposta, ovviamente, sta nella seconda ipotesi, anche se l’argomento del romanzo è stranissimo e a volte, concedetecelo visto che stiamo parlando di un autore che noi amiamo e ammiriamo, anche un pochino fuori forma.
Un critico, che noi rispettiamo e molto spesso condividiamo (anche se, come molte volte succede, non è più in vita), Giorgio Barberi Squarotti disse: … il romanzo La donna del lago segna un passo indietro: il dramma è solo nei fatti… e lo stesso accade per Cribol, dove di un preteso dramma etico intorno a un problema di deviazione sessuale non c’è che la finzione.
A parte il discorso della “deviazione sessuale”, che in quegli anni (gli anni dell’edizione dl libro di Squarotti, La narrativa italiana del dopoguerra, che indichiamo nel 1968) poteva, dico poteva, in realtà essere “appropriata” (ma vedremo che non è così, maturando nella stessa prosa di Comisso una libertà per certi versi espressiva), il libro ha effettivamente una costruzione che spesso lascia a desiderare e che tra l’altro, non ci rende simpatico nemmeno il protagonista, Cribòl.
Ma chi è esattamente questo Cribòl? Ce lo dice Don Fulvio, un prete irreprensibile, che già aveva maturato contro di lui delle vendette abbastanza personali e che ad un tratto pensa: Don Fulvio abituato a guardare i suoi parrocchiani negli occhi per leggervi nel fondo, sentiva che quelli di Cribòl non avevano fondo, ma un fuoco vi ardeva dentro, un fuoco di brace che si ravvivava incandescente al vento delle parole frementi tra le grosse e larghe labbra che parevano protrarre l’onda del suo sarcasmo e della sua eresia sulle guance rigate di pieghe fino agli orecchi. Proprio come le acque dove gettato un sasso le piccole onde si dilatano a cerchio fino alle rive. Ma anche la fronte era segnata di rughe profonde che, quando aggrottava le sopracciglia, aumentavano fino ai capelli nerissimi. Anche questo per Don Fulvio era un segno della sua bestialità che non era stata mascherata dall’astuzia demoniaca. Poi vi era quel piede della gamba anchilosata, chiuso nella grande scarpa, che lo faceva camminare saltellando, come un caprone.
Ma il “delitto” viene dopo, quando qualcosa di veramente essenziale capita a Cribòl. Che essendo sposato ad una donna che poteva portargli soltanto una certa agiatezza, ma non provando più nulla di sensuale in lei, si fa abbindolare da un vecchio pastore che gli dice che per recuperare certe forze deve, in pratica, “copulare” con un uomo.
E’ questo l’aspetto di finzione indicato da Squarotti? O non è, come sospettiamo noi, visto che non siamo più sottoposti a certe censure, a vedere un’altra via di fuga per l’arte e la vita stessa di Comisso?
Cribòl, come abbiamo detto in precedenza, non ci è affatto simpatico, anche se l’alterigia e anche la prepotenza con cui accoglie Don Fulvio, ce lo fa “affezionare”. E, nonostante in punto di morte, dopo che era andato in prigione per aver “commesso il fatto”, rifiuta il tocco eterno della chiesa (Cribòl alzò pesantemente la mano destra e l’avvicinò alla fronte, come per farsi il segno della croce, ma appena toccata, gli cadde inerte nella morte), continua a non raccogliere le nostre simpatie.
Il motivo? Forse è legato ai tempi di lettura. Che negli anni sessanta, nonostante tutto e nonostante le paure di Comisso, poteva anche essere ritenuto “rivoluzionario” il fatto di negarsi la salvezza eterna. Ora, nel secolo e millennio nuovo, tutto ci appare un po’ più mesto.
Nonostante Comisso e la sua bravura (e lasciamo stare chi lo indicava ancora come un dannunziano, quando vi erano le orde barbariche dei contestatori).
L’edizione da noi considerata è:
Giovanni Comisso
Cribòl
Longanesi
Cribol, la storia che andiamo a trattare, è un romanzo, che le stesse note dell’edizione dicono, porta un titolo piuttosto strano: Cribol è il soprannome del protagonista e nello stesso tempo è la contrazione di due parole, Cristo e diavolo, per indicare appunto le origini, ma soprattutto il carattere dell’uomo.
Bisogna fare un appunto: la pubblicazione porta l’anno 1964. E qui molti potrebbero pensare: ma Comisso si lasciò prendere dalle smanie costruttiviste del Gruppo 63, o siamo di fronte ad un libro del tutto diverso dagli slanci dei contestatori? La risposta, ovviamente, sta nella seconda ipotesi, anche se l’argomento del romanzo è stranissimo e a volte, concedetecelo visto che stiamo parlando di un autore che noi amiamo e ammiriamo, anche un pochino fuori forma.
Un critico, che noi rispettiamo e molto spesso condividiamo (anche se, come molte volte succede, non è più in vita), Giorgio Barberi Squarotti disse: … il romanzo La donna del lago segna un passo indietro: il dramma è solo nei fatti… e lo stesso accade per Cribol, dove di un preteso dramma etico intorno a un problema di deviazione sessuale non c’è che la finzione.
A parte il discorso della “deviazione sessuale”, che in quegli anni (gli anni dell’edizione dl libro di Squarotti, La narrativa italiana del dopoguerra, che indichiamo nel 1968) poteva, dico poteva, in realtà essere “appropriata” (ma vedremo che non è così, maturando nella stessa prosa di Comisso una libertà per certi versi espressiva), il libro ha effettivamente una costruzione che spesso lascia a desiderare e che tra l’altro, non ci rende simpatico nemmeno il protagonista, Cribòl.
Ma chi è esattamente questo Cribòl? Ce lo dice Don Fulvio, un prete irreprensibile, che già aveva maturato contro di lui delle vendette abbastanza personali e che ad un tratto pensa: Don Fulvio abituato a guardare i suoi parrocchiani negli occhi per leggervi nel fondo, sentiva che quelli di Cribòl non avevano fondo, ma un fuoco vi ardeva dentro, un fuoco di brace che si ravvivava incandescente al vento delle parole frementi tra le grosse e larghe labbra che parevano protrarre l’onda del suo sarcasmo e della sua eresia sulle guance rigate di pieghe fino agli orecchi. Proprio come le acque dove gettato un sasso le piccole onde si dilatano a cerchio fino alle rive. Ma anche la fronte era segnata di rughe profonde che, quando aggrottava le sopracciglia, aumentavano fino ai capelli nerissimi. Anche questo per Don Fulvio era un segno della sua bestialità che non era stata mascherata dall’astuzia demoniaca. Poi vi era quel piede della gamba anchilosata, chiuso nella grande scarpa, che lo faceva camminare saltellando, come un caprone.
Ma il “delitto” viene dopo, quando qualcosa di veramente essenziale capita a Cribòl. Che essendo sposato ad una donna che poteva portargli soltanto una certa agiatezza, ma non provando più nulla di sensuale in lei, si fa abbindolare da un vecchio pastore che gli dice che per recuperare certe forze deve, in pratica, “copulare” con un uomo.
E’ questo l’aspetto di finzione indicato da Squarotti? O non è, come sospettiamo noi, visto che non siamo più sottoposti a certe censure, a vedere un’altra via di fuga per l’arte e la vita stessa di Comisso?
Cribòl, come abbiamo detto in precedenza, non ci è affatto simpatico, anche se l’alterigia e anche la prepotenza con cui accoglie Don Fulvio, ce lo fa “affezionare”. E, nonostante in punto di morte, dopo che era andato in prigione per aver “commesso il fatto”, rifiuta il tocco eterno della chiesa (Cribòl alzò pesantemente la mano destra e l’avvicinò alla fronte, come per farsi il segno della croce, ma appena toccata, gli cadde inerte nella morte), continua a non raccogliere le nostre simpatie.
Il motivo? Forse è legato ai tempi di lettura. Che negli anni sessanta, nonostante tutto e nonostante le paure di Comisso, poteva anche essere ritenuto “rivoluzionario” il fatto di negarsi la salvezza eterna. Ora, nel secolo e millennio nuovo, tutto ci appare un po’ più mesto.
Nonostante Comisso e la sua bravura (e lasciamo stare chi lo indicava ancora come un dannunziano, quando vi erano le orde barbariche dei contestatori).
L’edizione da noi considerata è:
Giovanni Comisso
Cribòl
Longanesi
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