RECENSIONI
Cecilia M. Giampaoli
Azzorre
Neo Edizioni, Pag. 162 Euro 14,00
Sembra di esserci. Non certo per una meticolosità descrittiva, che probabilmente sortirebbe l’effetto contrario, ma per la voce di verità con cui l’autrice racconta il suo viaggio. Lo fa con la leggerezza di chi si lascia andare, di chi si apre agli incontri e alle incognite. Insomma quella leggerezza, quasi una trasparenza all’aria dei luoghi, che è caratteristica del vero viaggiatore. Non dovrebbe sorprendere, dunque, in un diario di viaggio. In realtà è davvero sorprendente – mi riferisco alla disponibilità e alla leggerezza - perché non si tratta di un viaggio qualunque. È un appuntamento antico e tragico, quello a cui risponde Cecilia. Un appuntamento preso da venticinque anni, che a un certo punto chiede di essere rispettato.
Forse non c’è un momento giusto per fare le cose difficili, ma senza dubbio c’è un momento in cui se vuoi farle davvero non puoi più aspettare.
Cecilia ha perso in padre in un incidente aereo. È una storia vera: un disastro avvenuto nel febbraio del 1989 in un’isola delle Azzorre. Lei aveva sei anni. È cresciuta con la madre e la sorella. A trentun anni è come se avvertisse una chiamata, di quelle che inducono l’eroe dei miti a intraprendere il viaggio. Vuole andare a vedere, là dove è successo quello che in un solo momento ha cambiato la sua vita. La sua risposta è semplice, priva di ogni retorica, così come il suo racconto. Non si prefigge un’indagine metodica come molti si aspetterebbero. Vuole solo raccogliere il maggior numero possibile di testimonianze. Chi c’era, chi ha visto, chi non ha visto ma ne ha sentito parlare, chi sa qualcosa e chi, senza sapere niente, ha provato sgomento e pietà.
Il luogo è l’isola di Santa Maria, nell’arcipelago delle Azzorre, in territorio portoghese. I passi di Cecilia sono simili a quelli di una turista che si guarda attorno e apprezza il mare, l’aria, la natura ancora selvaggia, la semplice cordialità della gente che le offre ospitalità e aiuto. Si lascia coinvolgere nei riti antichi e ingenui che fanno parte delle tradizioni dell’isola, parla con tutti e assaggia qualunque cosa le venga offerta. È come se sentisse di dover essere una specie di antenna ricevente a cui le informazioni importanti arriveranno da sé, in tempo per farsi captare. Seduta a un tavolino della GARRAIADA, mentre aspetta che le sia servita la zuppa locale, scrive ogni giorno su un diario tutte le sue esperienze di viaggio: incontri, esplorazioni, riflessioni.
Quello che sta facendo equivale a sbucciare una cipolla. Man mano che vengono via gli strati più secchi e leggeri, la ricerca si inoltra nella polpa fino alle parti più delicate e succose, quelle che fanno piangere. Infatti spuntano testimonianze, ritagli di giornali, foto, perfino oggetti e rottami dell’aereo.
Cammino ancora, finché d’un tratto li vedo fra i sassi, e pietrifico anch’io.
Sparsi, piegati, rotti, invecchiati.
Insostenibili pezzi di aereo.
Cecilia non si sottrae a niente, è decisa ad arrivare fin dove può. Infine viene a sapere che è possibile rintracciare qualcuno che era nella torre di controllo, proprio nel giorno in cui si erano sovrapposti errori fatali. E anche stavolta Cecilia non si tira indietro. Ne nascono alcune delle pagine più intense, inaspettate, e ancora una volta esenti da qualsiasi retorico luogo comune.
In una riflessione annotata sul diario, Cecilia condensa perfettamente il senso del suo viaggio e della sua esperienza:
La verità non è importante quanto il modo in cui scelgo di vivere le cose.
Devo aggiungere che la copertina del libro è una delle più belle che io abbia mai visto. No, nessun capolavoro pittorico, è solo la foto di una bambina. Cecilia da piccola. C’è semplicemente tutta l’intensità delle cose vere.
di Giovanna Repetto
Forse non c’è un momento giusto per fare le cose difficili, ma senza dubbio c’è un momento in cui se vuoi farle davvero non puoi più aspettare.
Cecilia ha perso in padre in un incidente aereo. È una storia vera: un disastro avvenuto nel febbraio del 1989 in un’isola delle Azzorre. Lei aveva sei anni. È cresciuta con la madre e la sorella. A trentun anni è come se avvertisse una chiamata, di quelle che inducono l’eroe dei miti a intraprendere il viaggio. Vuole andare a vedere, là dove è successo quello che in un solo momento ha cambiato la sua vita. La sua risposta è semplice, priva di ogni retorica, così come il suo racconto. Non si prefigge un’indagine metodica come molti si aspetterebbero. Vuole solo raccogliere il maggior numero possibile di testimonianze. Chi c’era, chi ha visto, chi non ha visto ma ne ha sentito parlare, chi sa qualcosa e chi, senza sapere niente, ha provato sgomento e pietà.
Il luogo è l’isola di Santa Maria, nell’arcipelago delle Azzorre, in territorio portoghese. I passi di Cecilia sono simili a quelli di una turista che si guarda attorno e apprezza il mare, l’aria, la natura ancora selvaggia, la semplice cordialità della gente che le offre ospitalità e aiuto. Si lascia coinvolgere nei riti antichi e ingenui che fanno parte delle tradizioni dell’isola, parla con tutti e assaggia qualunque cosa le venga offerta. È come se sentisse di dover essere una specie di antenna ricevente a cui le informazioni importanti arriveranno da sé, in tempo per farsi captare. Seduta a un tavolino della GARRAIADA, mentre aspetta che le sia servita la zuppa locale, scrive ogni giorno su un diario tutte le sue esperienze di viaggio: incontri, esplorazioni, riflessioni.
Quello che sta facendo equivale a sbucciare una cipolla. Man mano che vengono via gli strati più secchi e leggeri, la ricerca si inoltra nella polpa fino alle parti più delicate e succose, quelle che fanno piangere. Infatti spuntano testimonianze, ritagli di giornali, foto, perfino oggetti e rottami dell’aereo.
Cammino ancora, finché d’un tratto li vedo fra i sassi, e pietrifico anch’io.
Sparsi, piegati, rotti, invecchiati.
Insostenibili pezzi di aereo.
Cecilia non si sottrae a niente, è decisa ad arrivare fin dove può. Infine viene a sapere che è possibile rintracciare qualcuno che era nella torre di controllo, proprio nel giorno in cui si erano sovrapposti errori fatali. E anche stavolta Cecilia non si tira indietro. Ne nascono alcune delle pagine più intense, inaspettate, e ancora una volta esenti da qualsiasi retorico luogo comune.
In una riflessione annotata sul diario, Cecilia condensa perfettamente il senso del suo viaggio e della sua esperienza:
La verità non è importante quanto il modo in cui scelgo di vivere le cose.
Devo aggiungere che la copertina del libro è una delle più belle che io abbia mai visto. No, nessun capolavoro pittorico, è solo la foto di una bambina. Cecilia da piccola. C’è semplicemente tutta l’intensità delle cose vere.
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