DE FALSU CREDITU
Hadha Ven Hi
Baffone
Edizioni Foello, Pag. 140 Euro 14,00
Fa ancora sensazione il ricordo dell'ultimo work in progress della poetessa coereana Hadha Ven Hi: un mega impianto di luci per proiettare sulla cinta muraria della città francese di Carcassonne le sue ultime composizioni. Titolo: Se una mattina mi sono svegliata. Ricerca interiore, quasi scorticante, della propria sensibilità di fronte all'orrore delle guerre e delle sopraffazioni.
Versi che, sparati sull'irregolare bugnato delle mura, assumevano una valenza quasi mistica e divinatoria: come allora, io confesso di esser viva quando siamo io, tu e. E nella frattura dell'incedere tutto il messaggio allucinatorio della paura, ma anche ahimé, ahinoi, ahilei, del compromesso più osceno.
Ora la poetessa di Seul torna con una nuova provocazione. Il libro in questione non è altro che lo scipito (scipito perché nulla in confronto all'ardimento della mise in scene) resoconto della sua ultima sfida: Baffone appunto. Di fronte ad un pubblico adorante, nella piccola, ma non per questo meno importante, cittadina toscana di Figline Val d'Arno, ha mis à nu il proprio compagno, dotato di un bel paio di baffi, rivelando, in ogni segmento della derma dell'uomo, frasi e componimenti del proprio universo poetico.
Qualcuno, in occasione dell'evento, ha fatto notare che la circostanza non era del tutto originale, citando la pittrice polacca Sergìa Novotnia che, fustigando con un cordoncino di cuoio la compagna Adelaide Selva, aveva, con i segni provocati dalle percosse, ridisegnato, stazione dopo stazione, la via Crucis di Gesù Cristo.
La Ven Hi è andata oltre: non tralasciando nessun centimetro a sua disposizione ha realizzato, con le proprie parole e con l'incedere maestoso della sua poetica, un percorso ad unum mai realizzato prima e scandagliando la propria intimità con l'intimità altrui.
Ecco dunque affiorare sulla pelle di Pak Doc Hic, peraltro corpo di inusitata bellezza e atleticità, versi toccanti se non addirittura, nella tragicità di un sentire apolide, maestosamente angoscianti.
Si leggeva nella zona appena sopra il pene, debitamente depilata: Lì o là, io vado e vivo così, senza freni, vado e vivo così...riferimento questo alla fuga della poetessa dal regime comunista della Corea del nord. Oppure nella zona intorno all'ombelico un'inusitata dichiarazione di solitudine e la ricerca di un sostegno adeguato di vita: se perdo te, cosa farò, io non so più restare sola. Ti cercherò.
Audace, ma sorprendentemente carezzevole, nella voluttà della richiesta l'imago in prossimità dell'ano: Si potrebbe trattare di bisogno e d'amore, meglio non dire. E quel non detto, ma sussurrato comunque, ha suggellato lo straordinario successo della rappresentazione, nemmeno tradita da una grandinata violenta e insistente, nella parte ultima, che ha letteralmente segnato il corpo dello sfortunato, ma immobile Pak Doc Hic.
E' chiaro che il libro non restituisce il pathos, se vogliamo anche l'ambiguità, del momento teatrale. Personalmente ricordo più d'uno del pubblico, attardarsi intorno all'uomo-poesia, nel tentativo di risvegliare, in una spirale di coinvolgimento letterario e spirituale, una fisicità sublimizzata, ma non per questo olistica.
Momenti di rapimento quelli. Il libro nel pedissequo incedere dei versi, tenta una sorta di rinascita. Mi si consenta: un parto settimino. Nonostante tutto meglio dell'oblio.
Versi che, sparati sull'irregolare bugnato delle mura, assumevano una valenza quasi mistica e divinatoria: come allora, io confesso di esser viva quando siamo io, tu e. E nella frattura dell'incedere tutto il messaggio allucinatorio della paura, ma anche ahimé, ahinoi, ahilei, del compromesso più osceno.
Ora la poetessa di Seul torna con una nuova provocazione. Il libro in questione non è altro che lo scipito (scipito perché nulla in confronto all'ardimento della mise in scene) resoconto della sua ultima sfida: Baffone appunto. Di fronte ad un pubblico adorante, nella piccola, ma non per questo meno importante, cittadina toscana di Figline Val d'Arno, ha mis à nu il proprio compagno, dotato di un bel paio di baffi, rivelando, in ogni segmento della derma dell'uomo, frasi e componimenti del proprio universo poetico.
Qualcuno, in occasione dell'evento, ha fatto notare che la circostanza non era del tutto originale, citando la pittrice polacca Sergìa Novotnia che, fustigando con un cordoncino di cuoio la compagna Adelaide Selva, aveva, con i segni provocati dalle percosse, ridisegnato, stazione dopo stazione, la via Crucis di Gesù Cristo.
La Ven Hi è andata oltre: non tralasciando nessun centimetro a sua disposizione ha realizzato, con le proprie parole e con l'incedere maestoso della sua poetica, un percorso ad unum mai realizzato prima e scandagliando la propria intimità con l'intimità altrui.
Ecco dunque affiorare sulla pelle di Pak Doc Hic, peraltro corpo di inusitata bellezza e atleticità, versi toccanti se non addirittura, nella tragicità di un sentire apolide, maestosamente angoscianti.
Si leggeva nella zona appena sopra il pene, debitamente depilata: Lì o là, io vado e vivo così, senza freni, vado e vivo così...riferimento questo alla fuga della poetessa dal regime comunista della Corea del nord. Oppure nella zona intorno all'ombelico un'inusitata dichiarazione di solitudine e la ricerca di un sostegno adeguato di vita: se perdo te, cosa farò, io non so più restare sola. Ti cercherò.
Audace, ma sorprendentemente carezzevole, nella voluttà della richiesta l'imago in prossimità dell'ano: Si potrebbe trattare di bisogno e d'amore, meglio non dire. E quel non detto, ma sussurrato comunque, ha suggellato lo straordinario successo della rappresentazione, nemmeno tradita da una grandinata violenta e insistente, nella parte ultima, che ha letteralmente segnato il corpo dello sfortunato, ma immobile Pak Doc Hic.
E' chiaro che il libro non restituisce il pathos, se vogliamo anche l'ambiguità, del momento teatrale. Personalmente ricordo più d'uno del pubblico, attardarsi intorno all'uomo-poesia, nel tentativo di risvegliare, in una spirale di coinvolgimento letterario e spirituale, una fisicità sublimizzata, ma non per questo olistica.
Momenti di rapimento quelli. Il libro nel pedissequo incedere dei versi, tenta una sorta di rinascita. Mi si consenta: un parto settimino. Nonostante tutto meglio dell'oblio.
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