RECENSIONI
Heinz Rein
Berlino ultimo atto
Sellerio, Goethe Institut, Pag. 883 Euro 18,00
La prima pubblicazione di Berlino ultimo atto (Finale Berlin) avvenne a puntate sul quotidiano “Berliner Zeitung” fra l’ottobre del 1946 ed il febbraio del 1947. Heinz Rein a quel tempo era un giornalista ben conosciuto, che aveva dovuto subire la politica nazista soprattutto per le sue posizioni ideologiche (già nel 1932 aveva scritto Berlin 1932, che tematizzava la fase più acuta della disoccupazione e che, per le solite impostazioni della dittatura, avrebbe visto le stampe solo nel 1946).
Berlino ultimo atto, realizzato alla fine del 1945, al termine cioè della guerra, doveva essere, come lo stesso Rein amava definirlo, un libro “caldo”, cioè una narrazione avvincente e risoluta delle ultime settimane del Reich e dell’opposizione tedesca che cerca di fuggire e di sottrarsi agli occhi delle spie e dei delatori.
Rimasto “sconosciuto” agli italiani per settanta anni, trova ora non solo una giustificazione storica attendibile, ma mostra anche una preparazione narrativa che a volte lascia davvero il segno, senza però farsi carico di una triste lamentazione che avrebbe avuto comunque, dati i tempi, una precisa consapevolezza.
Dice Rein ad un certo punto del romanzo (in realtà uno dei personaggi del libro): Abbagliate dai successi economici dell’apparente fioritura, le masse piccolo borghesi diventano succubi del nazismo e si identificano con i suoi obiettivi, di cui si appropriano, enfatizzandoli con orgoglio da parvenu; si privano della loro capacità decisionale e rinunciano a qualsiasi attività intellettuale sul piano della morale, dal momento che il Fuhrer ha sempre ragione.
Cioè, in poche parole Rein ha dato una spiegazione logica e per niente mentale della dittatura del Terzo Reich. Ma non è la sola in tutto il romanzo. Non solo. Lo scrittore è lucidissimo anche nello sviluppare una trama narrativa che non lascia adito a dubbi (pur rifiutando le manie sanguinolente della guerra in atto… e lasciamo stare quelli hanno scritto che Rein manca dell’appiglio letterario in alcuni momenti).
In Berlino ultimo atto tutto è essenziale (le quasi novecento pagine del testo fanno impressione solo vedendole, non leggendole con attenzione e rispetto), persino le manie amorose di un giovane tedesco che ha abbandonato il fronte russo e si è dato alla clandestinità sembrano cose giuste e sane, come se l’unico modo di resistere alla guerra sia un ritrovarsi aperto alle migliori offerte della vita.
C’è persino un momento per cedere all’ironia e al pettegolezzo, come quando si parla del giornale Angriff diretto da Goebbels: Qualche altro giorno e poi ci diranno: impedito attacco bolscevico al primo piano della cancelleria del Reich, il secondo piano resta saldamente in mano nostra, per la toilette degli uomini al piano terra si combatte ancora accanitamente.
Il finale poi del romanzo non aggiunge altro, non perché inespresso (figuriamoci), ma perché, come ho detto in precedenza, tutto nel capolavoro di Rein è essenziale.
Perdetevi nella sua lettura.
di Alfredo Ronci
Berlino ultimo atto, realizzato alla fine del 1945, al termine cioè della guerra, doveva essere, come lo stesso Rein amava definirlo, un libro “caldo”, cioè una narrazione avvincente e risoluta delle ultime settimane del Reich e dell’opposizione tedesca che cerca di fuggire e di sottrarsi agli occhi delle spie e dei delatori.
Rimasto “sconosciuto” agli italiani per settanta anni, trova ora non solo una giustificazione storica attendibile, ma mostra anche una preparazione narrativa che a volte lascia davvero il segno, senza però farsi carico di una triste lamentazione che avrebbe avuto comunque, dati i tempi, una precisa consapevolezza.
Dice Rein ad un certo punto del romanzo (in realtà uno dei personaggi del libro): Abbagliate dai successi economici dell’apparente fioritura, le masse piccolo borghesi diventano succubi del nazismo e si identificano con i suoi obiettivi, di cui si appropriano, enfatizzandoli con orgoglio da parvenu; si privano della loro capacità decisionale e rinunciano a qualsiasi attività intellettuale sul piano della morale, dal momento che il Fuhrer ha sempre ragione.
Cioè, in poche parole Rein ha dato una spiegazione logica e per niente mentale della dittatura del Terzo Reich. Ma non è la sola in tutto il romanzo. Non solo. Lo scrittore è lucidissimo anche nello sviluppare una trama narrativa che non lascia adito a dubbi (pur rifiutando le manie sanguinolente della guerra in atto… e lasciamo stare quelli hanno scritto che Rein manca dell’appiglio letterario in alcuni momenti).
In Berlino ultimo atto tutto è essenziale (le quasi novecento pagine del testo fanno impressione solo vedendole, non leggendole con attenzione e rispetto), persino le manie amorose di un giovane tedesco che ha abbandonato il fronte russo e si è dato alla clandestinità sembrano cose giuste e sane, come se l’unico modo di resistere alla guerra sia un ritrovarsi aperto alle migliori offerte della vita.
C’è persino un momento per cedere all’ironia e al pettegolezzo, come quando si parla del giornale Angriff diretto da Goebbels: Qualche altro giorno e poi ci diranno: impedito attacco bolscevico al primo piano della cancelleria del Reich, il secondo piano resta saldamente in mano nostra, per la toilette degli uomini al piano terra si combatte ancora accanitamente.
Il finale poi del romanzo non aggiunge altro, non perché inespresso (figuriamoci), ma perché, come ho detto in precedenza, tutto nel capolavoro di Rein è essenziale.
Perdetevi nella sua lettura.
di Alfredo Ronci
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