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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Carol Bensimon

Biliardo sott'acqua

Tunué, Traduzione di Daniele Petruccioli, Pag. 138 Euro 14,00
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Non a caso cita Faulkner, questa giovane autrice brasiliana, anche se butta lì quel nome senza parere. Si capisce subito che ha assimilato la lezione. Ogni capitoletto è raccontato da uno dei protagonisti: gente di provincia, tutti un po’ sbandati, la cui quotidianità è stata ulteriormente sconvolta da un incidente in cui ha perso la vita un’amica comune.  E immediatamente, bisogna dirlo, si coglie come una bella sorpresa il linguaggio fresco e naturalistico del loro dialogo interiore.
   L’incidente è come un corpo estraneo, un pungolo doloroso conficcato in un punto imprecisato della mente, qualcosa che non si può né rimuovere né elaborare. A cerchi concentrici, una spirale scava nella memoria di ciascuno avvicinandosi sempre più al momento della disgrazia. Intanto si ricostruisce la pigra vita della piccola comunità affacciata sul lago. E già il lago è un bell’elemento che si presta a generare metafore e a incanalare umori di vario tipo.
   Dalla finestra vedo il lago ormai completamente nero. Quando io e Antonia giocavamo alla guerra nucleare questa era la parte essenziale della nostra storia macabra. Il centro dell’esplosione immaginaria. Il buio del lago avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa fosse niente.
   Proprio sul lago si affaccia il bar del Polacco che ospita il biliardo del titolo. Crocevia delle vite degli altri ed effimero approdo della propria, il locale è gestito dal Polacco come un purgatorio di anime in bilico. Non a caso la stanza del biliardo sporge senza fondamenta dall’edificio, improbabile protuberanza alla mercé dell’acqua.
   Il passato del Polacco è lungo, complesso, pericoloso. La sensazione è che da un momento all’altro stia per arrivare qualcuno a chiedergli il conto. Il passato degli altri appare semplice e banale, al confronto, ma non esente da rischi. Per loro si tratta soprattutto di un rischio esistenziale, a cui ora si è aggiunto un oscuro senso di colpa.
   È come se uno strato di nebbia ovattasse la memoria e i sensi mentre, ognuno a suo modo, tutti cercano di ricostruire l’incidente di Antonia. Per loro è uno di quegli eventi che appartengono alla sfera dell’impossibile, e perciò tentare una spiegazione significa mettere in discussione tutto quello che sanno di lei e di se stessi: rinunciare ai loro punti fermi, proprio come quel biliardo che pencola sul buco nero del lago. Soprattutto cercano di capire quale sia il loro preciso ruolo nella commedia dell’assurdo della morte di Antonia. Come Bernardo.
   Dormivo quando l’auto è andata giù per la discesa, penso, come se fosse necessario sperimentare la frase in silenzio prima di dirla ad alta voce. Ero a casa mia quando Antonia ha avuto l’incidente e io stavo dormendo. Non essere in macchina con lei è come dire che ho evitato di morire o che ho evitato di salvare?
   O come il fratello di Antonia, Camilo, che si diverte a fare il meccanico e chissà, a furia di armeggiare disteso sotto le auto, potrebbe aver sbagliato qualcosa.
   Più volte, nel progredire del romanzo attraverso i racconti dei personaggi e i loro flussi di coscienza, si ha l’impressione di essere a una svolta, come se si fosse capitati sul binario di una storia poliziesca. Come se il bandolo della matassa fosse molto vicino e si potesse far luce, una volta per tutte, sulla morte di Antonia. Ma questo non è nelle intenzioni dell’autrice. Se c’è una verità da trovare, è già presente dall’inizio, oppure non c’è mai stata.

di Giovanna Repetto


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