DE FALSU CREDITU
Colando Ferri
Chi era Asha Putli?
Castelviccio editore, Pag. 200 Euro 16,00![immagine](uploads/tx_orchidata/falsi_90_fotoprincipale.jpg)
A spron battuto le case editrici si tuffano nella celebrazione degli anni ottanta. Finita (finita?) quella dei fantastici sessanta, complicata quella dei settanta (da una parte c'era chi 'legittimamente' li aveva vissuti e se ne voleva allontanare per evidenziare un distinguo politico che secondo gli osservatori più intelligenti e meno strumentalizzati era solo un parteggiamento (patteggiamento?) ideologico, dall'altra quello sparuto gruppo di nostalgici non troppo coraggiosi – a parte Mario Capanna – nel definirli formidabili e quindi con tante pezze al culo... noblesse oblige).
Ovvio dunque trovarsi nella condizione di assistere all'ennesima cerimonia di rievocazione, a metà strada tra il ludico e il serio, nella consapevolezza (loro... la mia comincia a venir meno) che nonostante gli orrori e le demagogie, ogni decennio è bello a mamma (val)soia.
In realtà, se proprio vogliamo essere pignoli, il titolo del romanzo di Ferri mostra uno scatto temporale. Spieghiamoci: chi era Asha Putli? Era una cantante di origine indiana che alla fine degli anni settanta, in piena isteria del sabato sera, azzeccò un paio di singoli (chi ricorda The devil is loose, che la donzella in sur calar del sole presentò anche in un'edizione del festival di Sanremo?) e si affermò anche come una delle più dotate dal punto di vista dell'estensione vocale.
Ferri, con appropriato paraculismo, fissa appunto le origini del 'fenomeno' alla fine degli anni settanta, per estendere poi le sue impressioni e la sua trama agli 'inarrivabili' anni ottanta, con il carro di Tespi dell'immaginario culturale e merceologico del decennio trattato.
Verrebbe da chiedersi, giusto per curiosità: ma lo scrittore quanti anni ha?
Un calcolo razionale, ma approssimativo, ci indurrebbe a considerarlo quarantenne un po' bamboccione, magari ancora in casa, a farsi le seghe con le videocassette di Lilli Carati e il tardo rinsavimento, poco stracult, della coscia lunga Fenech in odor di san(t)ità.
Macché: Colando Ferri ha ventidue anni.
Si pone questio essenziale, e di seguito altre: c'è o ci fa?
Nel senso: ma ha dovuto informarsi per scrivere una storia (tra l'altro piena di rimandi esatti e circostanziati..., ma poi a chi verrebbe di citare nel titolo Asha Putli?), o qualcuno ha dettato l'intera struttura al posto suo?
E se fosse così che senso avrebbe?
E' forse il tentativo ultimo di qualche quarantenne/cinquantenne fallito che non è mai riuscito a piazzare un libro decentemente autobiografico e che alla fine (s'è fatto furbo!) s'è inventata la 'fiction trendy' per sbarcare il lunario? Perché tanto sa che se le case editrici non vedono un titolo con qualche riferimento canzonettistico nemmeno si prendono la briga di leggere un dattiloscritto?
Vuoi vedere che dietro questa operazione si cela un 'famoso' direttore di una rivista on line che incazzato come una bestia con l'ambiente perché non riesce a piazzare i suoi 'capolavori' s'è inventata l'astuzia della Asha Putli per vendere l'anima al diavolo?
Comunque sia (e chiunque sia Colando Ferri) la lettura del libro è piacevole e convincente.
Si segnala errore a pagina settantasette (per altro per un riferimento non ottantesco, ma sessantesco): il titolo del quaranticinque giri di Mariolino Barberis non era Il conte della luna, ma Il duca della luna. Chiedetelo agli 'invertiti' di allora con gusti pasoliniani.
Ovvio dunque trovarsi nella condizione di assistere all'ennesima cerimonia di rievocazione, a metà strada tra il ludico e il serio, nella consapevolezza (loro... la mia comincia a venir meno) che nonostante gli orrori e le demagogie, ogni decennio è bello a mamma (val)soia.
In realtà, se proprio vogliamo essere pignoli, il titolo del romanzo di Ferri mostra uno scatto temporale. Spieghiamoci: chi era Asha Putli? Era una cantante di origine indiana che alla fine degli anni settanta, in piena isteria del sabato sera, azzeccò un paio di singoli (chi ricorda The devil is loose, che la donzella in sur calar del sole presentò anche in un'edizione del festival di Sanremo?) e si affermò anche come una delle più dotate dal punto di vista dell'estensione vocale.
Ferri, con appropriato paraculismo, fissa appunto le origini del 'fenomeno' alla fine degli anni settanta, per estendere poi le sue impressioni e la sua trama agli 'inarrivabili' anni ottanta, con il carro di Tespi dell'immaginario culturale e merceologico del decennio trattato.
Verrebbe da chiedersi, giusto per curiosità: ma lo scrittore quanti anni ha?
Un calcolo razionale, ma approssimativo, ci indurrebbe a considerarlo quarantenne un po' bamboccione, magari ancora in casa, a farsi le seghe con le videocassette di Lilli Carati e il tardo rinsavimento, poco stracult, della coscia lunga Fenech in odor di san(t)ità.
Macché: Colando Ferri ha ventidue anni.
Si pone questio essenziale, e di seguito altre: c'è o ci fa?
Nel senso: ma ha dovuto informarsi per scrivere una storia (tra l'altro piena di rimandi esatti e circostanziati..., ma poi a chi verrebbe di citare nel titolo Asha Putli?), o qualcuno ha dettato l'intera struttura al posto suo?
E se fosse così che senso avrebbe?
E' forse il tentativo ultimo di qualche quarantenne/cinquantenne fallito che non è mai riuscito a piazzare un libro decentemente autobiografico e che alla fine (s'è fatto furbo!) s'è inventata la 'fiction trendy' per sbarcare il lunario? Perché tanto sa che se le case editrici non vedono un titolo con qualche riferimento canzonettistico nemmeno si prendono la briga di leggere un dattiloscritto?
Vuoi vedere che dietro questa operazione si cela un 'famoso' direttore di una rivista on line che incazzato come una bestia con l'ambiente perché non riesce a piazzare i suoi 'capolavori' s'è inventata l'astuzia della Asha Putli per vendere l'anima al diavolo?
Comunque sia (e chiunque sia Colando Ferri) la lettura del libro è piacevole e convincente.
Si segnala errore a pagina settantasette (per altro per un riferimento non ottantesco, ma sessantesco): il titolo del quaranticinque giri di Mariolino Barberis non era Il conte della luna, ma Il duca della luna. Chiedetelo agli 'invertiti' di allora con gusti pasoliniani.
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