RECENSIONI
Metta Victoria Fuller Victor
Diario di un ragazzaccio
Cooper, Pag.295 Euro 12,90
Vi è un discorso da fare su questo, che riguarda soprattutto gli italiani. Chi ha superato una "certina" di anni non può non avere a cuore uno sceneggiato televisivo che mandò in sollucchero lo stivale intero: Il Giornalino di Gian Burrasca. C'era la regia di Lina Wertmuller, c'era la grande (per modo di dire, ma grande artisticamente) Rita Pavone. C'erano Bice Valori (chi può dimenticare la direttrice nana del collegio?), Sergio Tofano, Paolo Ferrari, Valeria Valeri, Marisa Merlin e un fottìo di promesse del piccolo schermo. E Nino Rota compose la musica e Luis Bacalov, futuro premio Oscar per Il Postino, la arrangiò. Insomma un capolavoro di finezza e qualità.
Possiamo dirlo: noi siamo cresciuti con quelle immagini, e ce le portiamo dentro, come Michele Mari, nelle sue ossessioni infantili, si porta dentro le figurine Panini o i vecchi Urania da collezione. Come se, nel nostro immaginario di ragazzini implumi, la magia di Pinocchio avesse raddoppiato, senza che nessuno ci accusi di sacrilegio nell'avvicinare il pupazzo di legno a quel pestifero bimbetto da nuovo secolo che ora, dopo quarant'anni, vediamo anche nella luce leggermente ambigua delle fattezze, nonostante tutto, femminili della Pavone.
Lo confesso: anni dopo comprai anche un paio di versioni del romanzo di Vamba . Ne ho una con sentita introduzione di Freak Antony che dice tra l'altro: Nel Giornalino e in alcuni libri dell'infanzia "coetanei" (penso a La guerra dei bottoni, 1912 e a I ragazzi della via Pàl, 1907), l'adulto sembra non aver nulla da insegnare al bambino.
Vero, e con questa'idea della fanciullezza e del prodigio di quegli anni sono rimasto.
Ora fra le mani mi capita questo Diario di un ragazzaccio e scopro malefatte così evidenti che il cor mi si spaura. Che l'idea dell'inquieto infante è molto "americana" e assai precedente ai primi vagiti editoriali nostrani; che nella cultura oltreoceano il riferimento ad un bimbo terribile è talmente presente che addirittura uno dei personaggi dei "Fantastici quattro" e precisamente la Torcia, si chiama Johnny Storm (letteralmente: Gian Burrasca). Che prima di essere scopiazzato dal nostro Vamba, il romanzo in questione, da un punto di vista strettamente editoriale, subì aggiunte e rimaneggiamenti tanto che il volume che stiamo recensendo non è del tutto della penna dell'autrice. E che Il giornalino di Gian Burrasca, sia televisivo che letterario, è copia conforme all'originale anche nelle singole sezioni, o capitoli, che lo compongono (a 'sto punto, quale originale non si sa).
Il tutto fa pensare e un po' mortifica. Mortifica il nostro comune sentire, i nostri appigli mnemonici. Le nostre emozioni di bimbetti coi pantaloni alla "zuava". Nello stesso momento i ricordi, troppo "innestati" col nostro passato, addirittura insostituibili, ci inducono ad una ricerca del tempo perduto al di là delle incongruenze di troppo della vicenda, di questa particolare vicenda-libro quasi inestricabile.
Del libro (e di quello sceneggiato, è sempre bene ricordarlo e mai scinderlo dalla lettura del testo) che abbiamo adorato e che già, certi allora, non avremmo mai sostituito.
Suvvia, eleviamo il nostro inno liberatorio e fregamocene, una volta di più, di quelli che potrebbero riderci dietro e delle ambigue vicende editoriali del Gian Burrasca: Viva la pappa pappa, col popopopopomodoro...
di Alfredo Ronci
Possiamo dirlo: noi siamo cresciuti con quelle immagini, e ce le portiamo dentro, come Michele Mari, nelle sue ossessioni infantili, si porta dentro le figurine Panini o i vecchi Urania da collezione. Come se, nel nostro immaginario di ragazzini implumi, la magia di Pinocchio avesse raddoppiato, senza che nessuno ci accusi di sacrilegio nell'avvicinare il pupazzo di legno a quel pestifero bimbetto da nuovo secolo che ora, dopo quarant'anni, vediamo anche nella luce leggermente ambigua delle fattezze, nonostante tutto, femminili della Pavone.
Lo confesso: anni dopo comprai anche un paio di versioni del romanzo di Vamba . Ne ho una con sentita introduzione di Freak Antony che dice tra l'altro: Nel Giornalino e in alcuni libri dell'infanzia "coetanei" (penso a La guerra dei bottoni, 1912 e a I ragazzi della via Pàl, 1907), l'adulto sembra non aver nulla da insegnare al bambino.
Vero, e con questa'idea della fanciullezza e del prodigio di quegli anni sono rimasto.
Ora fra le mani mi capita questo Diario di un ragazzaccio e scopro malefatte così evidenti che il cor mi si spaura. Che l'idea dell'inquieto infante è molto "americana" e assai precedente ai primi vagiti editoriali nostrani; che nella cultura oltreoceano il riferimento ad un bimbo terribile è talmente presente che addirittura uno dei personaggi dei "Fantastici quattro" e precisamente la Torcia, si chiama Johnny Storm (letteralmente: Gian Burrasca). Che prima di essere scopiazzato dal nostro Vamba, il romanzo in questione, da un punto di vista strettamente editoriale, subì aggiunte e rimaneggiamenti tanto che il volume che stiamo recensendo non è del tutto della penna dell'autrice. E che Il giornalino di Gian Burrasca, sia televisivo che letterario, è copia conforme all'originale anche nelle singole sezioni, o capitoli, che lo compongono (a 'sto punto, quale originale non si sa).
Il tutto fa pensare e un po' mortifica. Mortifica il nostro comune sentire, i nostri appigli mnemonici. Le nostre emozioni di bimbetti coi pantaloni alla "zuava". Nello stesso momento i ricordi, troppo "innestati" col nostro passato, addirittura insostituibili, ci inducono ad una ricerca del tempo perduto al di là delle incongruenze di troppo della vicenda, di questa particolare vicenda-libro quasi inestricabile.
Del libro (e di quello sceneggiato, è sempre bene ricordarlo e mai scinderlo dalla lettura del testo) che abbiamo adorato e che già, certi allora, non avremmo mai sostituito.
Suvvia, eleviamo il nostro inno liberatorio e fregamocene, una volta di più, di quelli che potrebbero riderci dietro e delle ambigue vicende editoriali del Gian Burrasca: Viva la pappa pappa, col popopopopomodoro...
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