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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Francesco Costa, Maria Rosaria Selo

Doppio nero

Cento Autori, Pag. 192 Euro 10,00
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Due autori si dividono questa raccolta alla pari, tre racconti per uno. C’è una curiosità: i racconti di Francesco hanno al centro figure femminili, in quelli di Maria Rosaria il protagonista è un uomo. Per il resto ognuno dei due va dritto alla meta. Essenziali, ma con eleganza. I racconti di Selo sono molto omogenei per contenuto e stile. Quelli di Costa si differenziano fra loro fino al punto di sfiorare generi diversi. Una storia infatti, di cui non rivelo il titolo, è da ascrivere piuttosto al surreale che al noir. Io personalmente lo considero un po’ un tradimento, anche se la storia è ben scritta. Anche la coloritura emotiva è più varia nei racconti di Costa, dove qualche brano prende i toni della commedia fin de siècle.
I cassetti straripano di candido cotone, di profumata organza. Intimità è un fulgido feudo per sole donne di cui la signora Laura è la sovrana assoluta, piena di dignità e lievemente arcigna, e loro tre le sue dame di corte, pagate per accogliere con la debita cortesia tutte le femmine di Napoli. Quelle danarose, ovviamente. In prevalenza sono promesse spose che scelgono ogni capo del corredo con il sostegno delle madri…
   Il pericolo è in agguato, ma ciò non impedisce di soffermarsi sulla gustosa caratterizzazione dei personaggi, tracciata con fine ironia.
   Il momento più riuscito è però la rappresentazione di un’umanità dolente, resa grottesca dal dolore e dall’esclusione. È il caso del giovanissimo transessuale lacerato fra due opposti drammi: da un lato un padre violento che non gli perdona il rifiuto del ruolo virile, dall’altro l’impossibilità di esprimere in maniera credibile l’identità che desidera (L’angelo sdentato). Questa figura, che la protagonista incontra mentre tenta (anche lei goffamente) di fare qualche marchetta per pagarsi gli studi, finisce per imporsi come maschera tragica accentrando su di sé tutto il pathos.
   Rosi Selo, autrice dei tre successivi racconti, incanta con il suo stile prima ancora che con l’intensità drammatica delle storie. Uno stile di rara potenza evocativa, essenziale e coinvolgente.
   I ragazzi del rione sono l’apice di questa bruttura. La scuola è arbitrio del sonno e dell’indolenza. Giocano a calcio tutto il giorno come se il pallone fosse stato incollato ai loro piedi. Se piove, o fa troppo freddo, si ritirano di malavoglia in casa e tirano pallonate nei muri (…) Hanno sguardi di guerra e nessuna arrendevolezza.  Assorbono il veleno dei genitori e lo sputano fuori, dritto agli occhi di chi si lagna.
   I tre racconti ruotano intorno a un’unica figura, Ciro Capuano, colto in tre momenti diversi della sua parabola da giovane teppista a trafficante spietato. Spietata anche lei, l’Autrice, quando immerge il lettore nell’ambiente degradato che ruota intorno al protagonista, ma ancora di più quando lo introduce direttamente dentro la mente del criminale. Operazione delicata e sapiente, perché comporta una penetrazione psicologica che sfida le logiche dell’empatia.
   Il male è in lui, nella carne, sotto la pelle.
   Quella fossa è stata la sua prova di forza, la più importante. Sente amico l’inferno e alza un muro fra lui e il pentimento.
   Accanto al protagonista ruotano personaggi altrettanto memorabili, come il vecchio Armando, ex operaio che abita con la moglie nello stesso palazzo di Ciro. Con lui la vita è stata avara anche negli affetti.
   Armando le appoggia la mano nodosa sulla spalla gracile. Lei quasi sussulta per quel gesto dimenticato, perso nella gioventù, tre le lenzuola, nei figli mai arrivati, in un amore che si è arreso a giorni sempre uguali e si è seccato, come un vaso di bei fiori privo d’ogni cura. Un amore scarno che li ha separati.
   Sembra che sia proprio il vuoto di una vita magra e spenta a dargli il coraggio di opporre al giovane teppista un rancore ostinato, mai scalfito dalla paura: la forza irriducibile dei perdenti.
   Storie diverse dunque, quelle di Costa e di Selo, eppure riconducibili a un denominatore comune: la ricerca e l’ascolto del sentire umano, nei suoi diversi aspetti, anche nei luoghi più scomodi della mente.

di Giovanna Repetto


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