CLASSICI
Alfredo Ronci
Facco de Lagarda all'ombra di Eduardo: 'Marciano allegri'

Mi ero più volte ripromesso di tornare su Ugo Facco de Lagarda (per chi è interessato cerchi in archivio le schede su Le figlie inquiete e La grande Olga): innanzi tutto perché resta ancor oggi misterioso il disinteresse verso un grande scrittore, poi perché proprio la bellezza e la finezza della narrativa lagardiana non possono sopportare l'oblio del tempo.
Non è facile avere un quadro d'insieme dell'opera del letterato veneziano e naturalmente l'indifferenza, di cui sopra, delle case editrici ne impedisce una ricostruzione completa (non rimane che armarsi di santa pazienza e 'rovistare' nelle biblioteche): noi orchi però stiamo cercando un parziale riassetto della bibliografia (e chissà che qualcuno prima o poi non ce ne renda merito).
Marciano allegri, che ottenne un buon successo di pubblico, tanto che per qualche anno Lagarda fu anche sulla bocca di lettori meno smaliziati, appartiene al periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale (1953) e risente un po' dell'atmosfera del tempo: si destreggia in un ambito neorealista ma, potremmo dire, sbanda qua e là su sentieri 'improvvidi' perché lo scrittore veneziano non è mai stato 'convivente' di alcun filone narrativo, benché mai di una tenaglia intellettuale che lo avrebbe di sicuro immiserito.
Il romanzo in questione ha una struttura inusuale, sia per l'ambientazione (è difficile che il luogo dove avvengono gli avvenimenti, il paese di San Gaetano, possa essere ricondotto ad una dimensione 'nordica', o almeno, Lagarda non fa nulla per farlo credere.), sia per l'incedere realista che lo fa avvicinare, e di molto, alle commedie di Eduardo o a certi resoconti giornalisti dell'epoca (mi viene in mente la Ortese e spiegherò perché): un gruppo di persone abita in un palazzo fatiscente, destreggiandosi tra la ricerca affannosa del cibo e il tentativo di rendere l'esistenza la meno miserevole possibile. In questa sorta di fortino penoso e miserando pullula un'umanità al limite della resistenza (cos'è che volle trasmetterci la Ortese nel capitolo 'La città involontaria' di Il mare non bagna Napoli, se non la condizione subumana di una buona fetta di popolazione, immediatamente dopo la fine della guerra?), tra questi Perla, una splendida ragazza, Costante, un uomo che tenterà fino alla fine di sedurla, Matilde, Norma, la mamma di Perla e Donna Vittoria, una nobile caduta in disgrazia e allontanata dalla famiglia perché ha partorito un figlio, Alvise, che è un po' tardo. Tra quest'ultima e la piccola 'dea' Perla, nascerà uno strano rapporto, prima di pietà dell'una nei confronti dell'altro, poi di un sentimento vicinissimo al rispetto reciproco e alla bellezza dello sguardo più che dell'amplesso. Ma l'amplesso ci sarà e da questo nascerà un figlio sano, dopo la morte per un incidente dello stesso Alvise, che allieterà l'intera popolazione di San Gaetano fino alla spontanea processione, ("No, vengono da te" replica Celeste. E indica i disperati di san Gaetano, che marciano allegri verso l'oratorio in un rombo di tuono) verso la chiesa e il battesimo.
Si diceva del romanzo che ha una struttura curiosa: nel senso che mai come in quest'occasione Lagarda ha saputo mischiare, nonostante l'apparente semplicità della trama, stilemi e forme della letteratura popolare. Si suggeriva l'incedere eduardiano della storia (o quanti rimbalzi tra Napoli milionaria e L'oro di Napoli) e l'aggancio naturale per nulla timido alla tradizione appendicista (da Mastriani all'Invernizio). Ma Lagarda non dimentica mai l'arte personale della prurigine: quella malizia tutta 'cittadina' (ne Il commissario Pepe vi erano le facili donnine nell'appartamento, ne Le figlie inquiete vi erano le ragazze che perdevano il costume in spiaggia o le stupide ritrosie a non ammetter di cercar sesso, ne La Grande Olga le avventure notturne di Stella nipote della protagonista) che costringe gli attori principali ad una sorta di battaglia contro le carenze dei tempi e le resistenze morali della società.
Chi avrà la fortuna di leggere Marciano allegri non potrà dimenticare lo spirito moderno ed agguerrito di Donna Vittoria che, per la salute del figlio, vuole a tutti i costi combattere contro le ingiustizie del mondo; non potrà dimenticare la progressiva presa di coscienza di Perla che di fronte alle oggettive difficoltà di Alvise prima prova una 'naturale' distanza dal ragazzo e successivamente un'illuminante e genuino trasporto; e non potrà dimenticare nemmeno Costante che, nonostante obnubilato dal desiderio di Perla, mai le porterà disdoro e la canterà in musica nel giorno del suo matrimonio con Alvise.
Marciano allegri conferma un autore di pregio e di tatto: siamo in una forma di transizione, gli anni successivi Lagarda irrobustirà prima di tutto la sua coscienza politica e poi, non di meno, un linguaggio brillante ed incisivo che a tratti, anche se con più leggerezza, sfiorerà l'affabulazione gaddiana.
Ma non finisce qui con Ugo Facco de Lagarda.
L'edizione da noi considerata è
Ugo Facco de Lagarda
Marciano allegri
Rizzoli – Prima edizione 1953
Non è facile avere un quadro d'insieme dell'opera del letterato veneziano e naturalmente l'indifferenza, di cui sopra, delle case editrici ne impedisce una ricostruzione completa (non rimane che armarsi di santa pazienza e 'rovistare' nelle biblioteche): noi orchi però stiamo cercando un parziale riassetto della bibliografia (e chissà che qualcuno prima o poi non ce ne renda merito).
Marciano allegri, che ottenne un buon successo di pubblico, tanto che per qualche anno Lagarda fu anche sulla bocca di lettori meno smaliziati, appartiene al periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale (1953) e risente un po' dell'atmosfera del tempo: si destreggia in un ambito neorealista ma, potremmo dire, sbanda qua e là su sentieri 'improvvidi' perché lo scrittore veneziano non è mai stato 'convivente' di alcun filone narrativo, benché mai di una tenaglia intellettuale che lo avrebbe di sicuro immiserito.
Il romanzo in questione ha una struttura inusuale, sia per l'ambientazione (è difficile che il luogo dove avvengono gli avvenimenti, il paese di San Gaetano, possa essere ricondotto ad una dimensione 'nordica', o almeno, Lagarda non fa nulla per farlo credere.), sia per l'incedere realista che lo fa avvicinare, e di molto, alle commedie di Eduardo o a certi resoconti giornalisti dell'epoca (mi viene in mente la Ortese e spiegherò perché): un gruppo di persone abita in un palazzo fatiscente, destreggiandosi tra la ricerca affannosa del cibo e il tentativo di rendere l'esistenza la meno miserevole possibile. In questa sorta di fortino penoso e miserando pullula un'umanità al limite della resistenza (cos'è che volle trasmetterci la Ortese nel capitolo 'La città involontaria' di Il mare non bagna Napoli, se non la condizione subumana di una buona fetta di popolazione, immediatamente dopo la fine della guerra?), tra questi Perla, una splendida ragazza, Costante, un uomo che tenterà fino alla fine di sedurla, Matilde, Norma, la mamma di Perla e Donna Vittoria, una nobile caduta in disgrazia e allontanata dalla famiglia perché ha partorito un figlio, Alvise, che è un po' tardo. Tra quest'ultima e la piccola 'dea' Perla, nascerà uno strano rapporto, prima di pietà dell'una nei confronti dell'altro, poi di un sentimento vicinissimo al rispetto reciproco e alla bellezza dello sguardo più che dell'amplesso. Ma l'amplesso ci sarà e da questo nascerà un figlio sano, dopo la morte per un incidente dello stesso Alvise, che allieterà l'intera popolazione di San Gaetano fino alla spontanea processione, ("No, vengono da te" replica Celeste. E indica i disperati di san Gaetano, che marciano allegri verso l'oratorio in un rombo di tuono) verso la chiesa e il battesimo.
Si diceva del romanzo che ha una struttura curiosa: nel senso che mai come in quest'occasione Lagarda ha saputo mischiare, nonostante l'apparente semplicità della trama, stilemi e forme della letteratura popolare. Si suggeriva l'incedere eduardiano della storia (o quanti rimbalzi tra Napoli milionaria e L'oro di Napoli) e l'aggancio naturale per nulla timido alla tradizione appendicista (da Mastriani all'Invernizio). Ma Lagarda non dimentica mai l'arte personale della prurigine: quella malizia tutta 'cittadina' (ne Il commissario Pepe vi erano le facili donnine nell'appartamento, ne Le figlie inquiete vi erano le ragazze che perdevano il costume in spiaggia o le stupide ritrosie a non ammetter di cercar sesso, ne La Grande Olga le avventure notturne di Stella nipote della protagonista) che costringe gli attori principali ad una sorta di battaglia contro le carenze dei tempi e le resistenze morali della società.
Chi avrà la fortuna di leggere Marciano allegri non potrà dimenticare lo spirito moderno ed agguerrito di Donna Vittoria che, per la salute del figlio, vuole a tutti i costi combattere contro le ingiustizie del mondo; non potrà dimenticare la progressiva presa di coscienza di Perla che di fronte alle oggettive difficoltà di Alvise prima prova una 'naturale' distanza dal ragazzo e successivamente un'illuminante e genuino trasporto; e non potrà dimenticare nemmeno Costante che, nonostante obnubilato dal desiderio di Perla, mai le porterà disdoro e la canterà in musica nel giorno del suo matrimonio con Alvise.
Marciano allegri conferma un autore di pregio e di tatto: siamo in una forma di transizione, gli anni successivi Lagarda irrobustirà prima di tutto la sua coscienza politica e poi, non di meno, un linguaggio brillante ed incisivo che a tratti, anche se con più leggerezza, sfiorerà l'affabulazione gaddiana.
Ma non finisce qui con Ugo Facco de Lagarda.
L'edizione da noi considerata è
Ugo Facco de Lagarda
Marciano allegri
Rizzoli – Prima edizione 1953
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