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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Ilaria Tuti

Fiore di roccia

Loganesi, Pag. 320 Euro 18,80
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Se non avesse altri meriti (e invece ne ha) il romanzo avrebbe quello di portare alla luce una fetta di storia ingiustamente dimenticata. Ma si sa, a essere dimenticato è sempre il contributo dei più umili, degli eroi nascosti che non hanno voce. C’è stato, poi, qualche tardivo riconoscimento che conferma la regola. Le portatrici carniche erano donne semplici e tenaci, abituate a inerpicarsi sulle montagne recando sulle spalle pesanti gerle. Durante la Prima guerra mondiale l’abituale carico di fieno fu sostituito da quello ben più pesante e pericoloso delle munizioni da consegnare ai soldati che combattevano in prima linea lungo il fronte della Carnia. Avevano risposto generosamente a un appello di truppe ridotte alla disperazione per la durezza dell’ambiente alpino in cui si erano trovate a combattere. Nel farlo le portatrici pensavano ai loro uomini, impegnati in quel momento su fronti più lontani.
   Ilaria Tuti ha studiato a fondo quella storia attraverso i documenti e le memorie e ha forgiato alcuni dei suoi personaggi sul modello di persone reali. Non tutti, e ho apprezzato le note finali in cui aiuta il lettore a distinguere la parte vera (benché a volte difficile da credere, vista l’eccezionalità di certe situazioni) dal frutto della sua immaginazione. Per una scelta di libertà e per una sorta di rispetto, come lei stessa afferma, l’autrice ha affidato la parte di protagonista narrante a un personaggio di fantasia.
   Si tratta di una portatrice che alle durezze della vita nel villaggio di montagna, in cui a causa della guerra si è arrivati a patire la fame, aggiunge la fatica e il pericolo delle frequenti ascese verso la trincea con il pesante carico di rifornimenti. La scrittura di Ilaria Tuti è tale da suscitare la massima empatia. Il suo stile unisce essenzialità e spessore, comunica il senso dell’urgenza insieme alla persistenza di emozioni antiche. La narrazione procede saldamente radicata nell’ambiente umano relativo all’epoca e al luogo, e vi ha grande parte anche la natura, che in montagna rivela i suoi aspetti più crudeli e affascinanti. L’autrice opera una continua fusione fra natura ed emozioni.
… Viola recita il nome di lui in una preghiera via via più rabbiosa, come il vento che sibila, annoda i capelli, porta tempesta. Alzo il viso al cielo e una goccia fredda cade sulla fronte. Sopra di noi sfolgorano lampi che mi provocano vertigini. È una girandola di sillabe mozzate. Sento il rintocco di una campana lontana, ma forse è solo il mio cuore nel costato che si è fatto caverna.
   La montagna è per le portatrici uno degli avversari da temere, ma in qualche modo anche un punto di forza, perché fra tutte le parti in causa, più o meno armate, sono loro a possedere le armi dell’esperienza e della sapienza tramandata. Perfino le loro umili scarpette, cucite con gli scampoli di stoffa, offriranno un servizio ai soldati là dove le loro più specifiche attrezzature si sono rivelate improprie.
   Tutto ciò è molto fedele alla Storia, ma l’autrice non manca di metterci una storia sua. A questo punto ammiro l’audacia con cui elabora la vicenda del cecchino austriaco, imboccando la via di un filo di rasoio, più stretto dei sentieri carnici, fra verosimiglianza ed eccezionalità. Dire di più non posso, per rispetto a chi nella lettura vorrà lasciarsi sorprendere. E si sorprenderà di sicuro.

di Giovanna Repetto


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