RECENSIONI
Andrea Appetito
I figli della notte
Lamantica Edizioni, Pag. 266 Euro 20.00
Andrea Appetito scrive poco, per nostra sfortuna, ma quando scrive lascia il segno e si rivela essere un maestro di realismo magico. Lo ha dimostrato fra l’altro in una splendida raccolta di racconti, Vietato calpestare le rovine, già recensita sul Paradiso.
I figli della notte non smentisce questa vocazione. La prosa elegante e sommessa esercita tutto il suo potere evocativo nel creare un’atmosfera onirica quasi palpabile, così che ci si sente soggiogati da una malìa sottile e pervasiva. Ed eccoci a vivere là, alla foce di un fiume senza nome: insieme ai personaggi ci rifugiamo nelle palafitte, corriamo sulle dune, ci inoltriamo in mare su agili canoe scavate nei tronchi d’albero. Il rapporto con la natura si nutre di complicità e meraviglia. Viene in mente Marquez, ma la storia ci riconduce anche al ricordo di Peter Pan, perché l’ambiente principale è una specie di isola che non c’è, dove gli eroi sono bambini e adolescenti.
C’è una differenza, però: qui non si tratta di ragazzini benestanti che sognano l’avventura, bensì di sopravvissuti, sfuggiti a un mondo distopico di cui poco è dato conoscere, se non il suo lascito di ferite fisiche e morali. Radunati alla foce di un fiume insieme ai detriti portati dalla corrente (detriti essi stessi perché rifiutati da un mondo che non comprendono e non li comprende), circondati da una foresta densa di minacce, essi si stringono gli uni agli altri provando a riscrivere le regole di una comunità a misura d’uomo. Imparano a rendere prezioso e utile ciò che altri avevano scartato, diventano riciclatori.
Grazie alle sue mani quello che avevamo raccolto di notte prendeva di giorno una forma meravigliosa. Dietro l’apparenza miserabile di un rifiuto lui vedeva la bellezza e dai rifiuti del mondo faceva nascere un mondo nuovo. Potevo rimanere per ore a guardare le sue mani compiere quel miracolo. C’è un legame tra quello che rifiutiamo e quello che siamo. Questa è la semplice verità, diceva. (pag. 20)
Chi racconta in prima persona è una ragazzina che capeggia il gruppo infondendo l’entusiasmo per una missione temeraria e poetica: liberare il suo leggendario padre da una nave-prigione.
Al suo racconto fa da controcanto il diario del capitano della nave, scritto in un tono allucinato e febbricitante. La voce di un uomo prigioniero del proprio destino, un Achab al contrario, senza balene da inseguire. Piuttosto inseguito, lui stesso, dal suo passato.
Sono due mondi opposti. Laceri e poveri, ma profondamente vitali, sono i ragazzi. La nave e i marinai invece, con tutta la loro attrezzatura, puzzano di morte.
Si sviluppa intanto, all’interno della storia, la nervatura di un romanzo di formazione. Cruciale sarà il momento in cui la protagonista dovrà staccarsi dal padre ideale per incontrare, forse, quello reale. Attraverso prove dolorose, scoprirà presto che la aspettano altre imprese, più realistiche e necessarie.
In definitiva, che cosa abbiamo davanti: una fiaba, un sogno, una storia di avventure? Non saprei dirlo e non ha importanza, perché il testo sfugge gloriosamente a ogni sterile definizione. Ma leggerlo è una gioia per gli occhi e per il cuore. Poesia allo stato puro.
di Giovanna Repetto
I figli della notte non smentisce questa vocazione. La prosa elegante e sommessa esercita tutto il suo potere evocativo nel creare un’atmosfera onirica quasi palpabile, così che ci si sente soggiogati da una malìa sottile e pervasiva. Ed eccoci a vivere là, alla foce di un fiume senza nome: insieme ai personaggi ci rifugiamo nelle palafitte, corriamo sulle dune, ci inoltriamo in mare su agili canoe scavate nei tronchi d’albero. Il rapporto con la natura si nutre di complicità e meraviglia. Viene in mente Marquez, ma la storia ci riconduce anche al ricordo di Peter Pan, perché l’ambiente principale è una specie di isola che non c’è, dove gli eroi sono bambini e adolescenti.
C’è una differenza, però: qui non si tratta di ragazzini benestanti che sognano l’avventura, bensì di sopravvissuti, sfuggiti a un mondo distopico di cui poco è dato conoscere, se non il suo lascito di ferite fisiche e morali. Radunati alla foce di un fiume insieme ai detriti portati dalla corrente (detriti essi stessi perché rifiutati da un mondo che non comprendono e non li comprende), circondati da una foresta densa di minacce, essi si stringono gli uni agli altri provando a riscrivere le regole di una comunità a misura d’uomo. Imparano a rendere prezioso e utile ciò che altri avevano scartato, diventano riciclatori.
Grazie alle sue mani quello che avevamo raccolto di notte prendeva di giorno una forma meravigliosa. Dietro l’apparenza miserabile di un rifiuto lui vedeva la bellezza e dai rifiuti del mondo faceva nascere un mondo nuovo. Potevo rimanere per ore a guardare le sue mani compiere quel miracolo. C’è un legame tra quello che rifiutiamo e quello che siamo. Questa è la semplice verità, diceva. (pag. 20)
Chi racconta in prima persona è una ragazzina che capeggia il gruppo infondendo l’entusiasmo per una missione temeraria e poetica: liberare il suo leggendario padre da una nave-prigione.
Al suo racconto fa da controcanto il diario del capitano della nave, scritto in un tono allucinato e febbricitante. La voce di un uomo prigioniero del proprio destino, un Achab al contrario, senza balene da inseguire. Piuttosto inseguito, lui stesso, dal suo passato.
Sono due mondi opposti. Laceri e poveri, ma profondamente vitali, sono i ragazzi. La nave e i marinai invece, con tutta la loro attrezzatura, puzzano di morte.
Si sviluppa intanto, all’interno della storia, la nervatura di un romanzo di formazione. Cruciale sarà il momento in cui la protagonista dovrà staccarsi dal padre ideale per incontrare, forse, quello reale. Attraverso prove dolorose, scoprirà presto che la aspettano altre imprese, più realistiche e necessarie.
In definitiva, che cosa abbiamo davanti: una fiaba, un sogno, una storia di avventure? Non saprei dirlo e non ha importanza, perché il testo sfugge gloriosamente a ogni sterile definizione. Ma leggerlo è una gioia per gli occhi e per il cuore. Poesia allo stato puro.
di Giovanna Repetto
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Andrea Appetito
Vietato calpestare le rovine
Effigie, Pag. 94 Euro 15,00Un’edizione elegante e curatissima racchiude 19 racconti. Racconti la cui cifra si può definire con un ossimoro: densa rarefazione (o rarefatta densità). Mi spiegherò meglio più avanti. Intanto è da notare la scelta dei titoli, ciascuno dei quali si riferisce a un luogo geografico, come se tutti insieme dovessero tessere una sorta di nervatura che percorre il mondo attraverso il tempo e lo spazio.
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