RECENSIONI
Roberto Piumini
Il piegatore di lenzuoli
Nino Aragno Editore, Licenze Poetiche, Pag. 118 Euro 12,00
Non so se pure a voi qualche volta tornano improvvisamente a galla certe figure, certe parole, certe suoni, quelle immagini impalpabili e tutte vere di cui Roberto Piumini ha disseminato la sua opera disseminata, oppure la vostra è una vita vuota.
Figure, per fare solo alcuni esempi, di abili nel raggiro e veloci nella corsa: come quel Tou-Ema la cui storia viene raccontata nel sapientissimo Motu-Iti; e quel nonno orfico ed iniziatico che nel Mattia e il nonno fa piangere tutti mentre ti infila due o tre verità essenziali, esiziali. E cosa dire del tesoro, quelle parole accorate e ritorte ad arabesco che ci fanno scivolare, insieme al Sakumat dello struggente e bellissimo Lo stralisco, nella straziante scoperta che pure il nulla è qualcosa; e che questo qualcosa, che è il nulla, è infatti il raggiro, l'arte tutta concreta (lo dice il nome) di fare poesia: un'arte per vivere e sopravvivere (che è vincere): l'arte di Odisseo (che è spesso uno dei personaggi, direttamente o meno, di Piumini).
Infatti. Infatti ci vorrebbe un Marquez a scrivere un "La poesia ai tempi dell'editoria" per fare il ritratto di Roberto Piumini, ma è certo che sarebbe costretto a mettergli il petto largo e la stazza quadra a sorreggere tanto volatile intelletto che fu già del figlio (solerte) di Laerte: un Piumini così spiegherebbe ognuna delle sue pagine, e anche il motivo per cui, in un modo o nell'altro, navigando in seno al mare colore del vino, assanguatissimo, della nostra editoria esse riescano a giungerci intatte.
È evidente: sia che Piumini raccolga graziosi ed istruttivi aneddoti per i bambini; sia che infili filastrocche incantatorie; sia che racconti le sue storie per giovani; o che manovri avventure di disincarnati (c'è un magistrale L'ultima volta che venne il vento); che traduca o faccia teatro; perfino nei suoi programmi televisivi, tutto, quando siamo nei suoi paraggi, è esattamente poesia: poesia esattamente concreta, con buona pace delle astrazioni salottiere di Poesia Concreta.
Qualsiasi libro di Piumini, in un modo che può andare dal distratto all'aggressivo, chiama il lettore ad una folie à deux.
Una follia con delle regole di cortesie molto antiche (come sempre nella follia). E, infatti, il lettore presto impara che la storia che gli viene raccontata, la poesia che gli viene filastroccata, prima di tutto, esiste in sé, come una statua nascosta in cima ad una cattedrale, scolpita perché sia bella, ma non necessariamente per qualcuno (o sia bella per gli dei, che è lo stesso); il lettore impara subito, quindi, che è lui a dovere meritare il libro, e non viceversa.
Non devo stare a dilungarmi sul fatto che, in termini mondani, il commercialista ci impone tutti i giorni di pensare in modo del tutto opposto a questo: ed eccoci alla poesia ai tempi dell'editoria: dove si devono togliere versi, ambiguità, raggiri (col quel nulla funebre e poco "consiglio per l'acquisto" che sottende); e, soprattutto, si devono togliere gli dei che, sproloquiò papalinamente qualcuno, per quanto sia brutto dirlo, non sono necessari.
Ma come fa Piumini? Quale dea lo ha sempre amato e lo protegge solo perché è bello? Dove la trova la forza di fare poesia?
E ora, per giunta, se ne esce con questo Il piegatore di lenzuoli, una raccolta di racconti in versi, tutti da recitare, anzi da cantare (ma oggi bisogna fare la faccia stupita quando si dice che i logoi di Erodoto era cantati nelle taverne con souvlaki e iemistès pipiriès, sebbene di lusso).
Ed ecco la storia di un uomo che riesce a trovare se stesso, con la sua fiamma vital costantemente tenuta viva dall'incostanza dell'amore, impiegandosi a vasto beneficio delle casalinghe come secondo nella piegatura di biancheria: il racconto, esaltazione del più sentimentale erotismo, dà il titolo all'opera. E poi segue la mongolfiera, celebrazione melanconica della vertigine; la commedia buffa (estenuazione della tragedia) di un vampiro che diventa buono; un po' di Paolo Conte nel Poema Tango e in Canto della Parigi-Dakar per scivolare (ma c'è un lestofante dietro) in zone leggendarie e medievali con truci e commoventi storie di dame bianche e cantiniere; e infine, perché farci mancare qualcosa?, la storia cretese di Teseo: quella vera, se mai i cretesi, che dicevano di possedere anche la tomba di Zeus, fossero capaci di non mentire: Teseo muore dentro il labirinto e, così, possiamo aggiungere anche questa perla al collare delle nostre storie antiche.
E, come nelle storie antiche, ancora quel fiato largo per l'esametro, non timido nell'epiteto e nell'ornato, possente nella rima: con sicurezza di vaticinatore.
di Pier Paolo Di Mino
Figure, per fare solo alcuni esempi, di abili nel raggiro e veloci nella corsa: come quel Tou-Ema la cui storia viene raccontata nel sapientissimo Motu-Iti; e quel nonno orfico ed iniziatico che nel Mattia e il nonno fa piangere tutti mentre ti infila due o tre verità essenziali, esiziali. E cosa dire del tesoro, quelle parole accorate e ritorte ad arabesco che ci fanno scivolare, insieme al Sakumat dello struggente e bellissimo Lo stralisco, nella straziante scoperta che pure il nulla è qualcosa; e che questo qualcosa, che è il nulla, è infatti il raggiro, l'arte tutta concreta (lo dice il nome) di fare poesia: un'arte per vivere e sopravvivere (che è vincere): l'arte di Odisseo (che è spesso uno dei personaggi, direttamente o meno, di Piumini).
Infatti. Infatti ci vorrebbe un Marquez a scrivere un "La poesia ai tempi dell'editoria" per fare il ritratto di Roberto Piumini, ma è certo che sarebbe costretto a mettergli il petto largo e la stazza quadra a sorreggere tanto volatile intelletto che fu già del figlio (solerte) di Laerte: un Piumini così spiegherebbe ognuna delle sue pagine, e anche il motivo per cui, in un modo o nell'altro, navigando in seno al mare colore del vino, assanguatissimo, della nostra editoria esse riescano a giungerci intatte.
È evidente: sia che Piumini raccolga graziosi ed istruttivi aneddoti per i bambini; sia che infili filastrocche incantatorie; sia che racconti le sue storie per giovani; o che manovri avventure di disincarnati (c'è un magistrale L'ultima volta che venne il vento); che traduca o faccia teatro; perfino nei suoi programmi televisivi, tutto, quando siamo nei suoi paraggi, è esattamente poesia: poesia esattamente concreta, con buona pace delle astrazioni salottiere di Poesia Concreta.
Qualsiasi libro di Piumini, in un modo che può andare dal distratto all'aggressivo, chiama il lettore ad una folie à deux.
Una follia con delle regole di cortesie molto antiche (come sempre nella follia). E, infatti, il lettore presto impara che la storia che gli viene raccontata, la poesia che gli viene filastroccata, prima di tutto, esiste in sé, come una statua nascosta in cima ad una cattedrale, scolpita perché sia bella, ma non necessariamente per qualcuno (o sia bella per gli dei, che è lo stesso); il lettore impara subito, quindi, che è lui a dovere meritare il libro, e non viceversa.
Non devo stare a dilungarmi sul fatto che, in termini mondani, il commercialista ci impone tutti i giorni di pensare in modo del tutto opposto a questo: ed eccoci alla poesia ai tempi dell'editoria: dove si devono togliere versi, ambiguità, raggiri (col quel nulla funebre e poco "consiglio per l'acquisto" che sottende); e, soprattutto, si devono togliere gli dei che, sproloquiò papalinamente qualcuno, per quanto sia brutto dirlo, non sono necessari.
Ma come fa Piumini? Quale dea lo ha sempre amato e lo protegge solo perché è bello? Dove la trova la forza di fare poesia?
E ora, per giunta, se ne esce con questo Il piegatore di lenzuoli, una raccolta di racconti in versi, tutti da recitare, anzi da cantare (ma oggi bisogna fare la faccia stupita quando si dice che i logoi di Erodoto era cantati nelle taverne con souvlaki e iemistès pipiriès, sebbene di lusso).
Ed ecco la storia di un uomo che riesce a trovare se stesso, con la sua fiamma vital costantemente tenuta viva dall'incostanza dell'amore, impiegandosi a vasto beneficio delle casalinghe come secondo nella piegatura di biancheria: il racconto, esaltazione del più sentimentale erotismo, dà il titolo all'opera. E poi segue la mongolfiera, celebrazione melanconica della vertigine; la commedia buffa (estenuazione della tragedia) di un vampiro che diventa buono; un po' di Paolo Conte nel Poema Tango e in Canto della Parigi-Dakar per scivolare (ma c'è un lestofante dietro) in zone leggendarie e medievali con truci e commoventi storie di dame bianche e cantiniere; e infine, perché farci mancare qualcosa?, la storia cretese di Teseo: quella vera, se mai i cretesi, che dicevano di possedere anche la tomba di Zeus, fossero capaci di non mentire: Teseo muore dentro il labirinto e, così, possiamo aggiungere anche questa perla al collare delle nostre storie antiche.
E, come nelle storie antiche, ancora quel fiato largo per l'esametro, non timido nell'epiteto e nell'ornato, possente nella rima: con sicurezza di vaticinatore.
di Pier Paolo Di Mino
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