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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Emma Donoghue

Il prodigio

Neri Pozza Editore, Traduzione di Massimo Ortelio, Pag. 301 Euro 17,00
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Chi ha amato i romanzi di A.J. Cronin accoglierà l’incipit con un senso di familiarità e di gioiosa attesa. È un tema classico: una coscienziosa e intraprendente infermiera inglese si avventura in uno sperduto villaggio irlandese per prestare la sua opera in una missione delicatissima. Siamo verso la metà dell’Ottocento. La protagonista non è un’infermiera qualsiasi. È stata allieva di Florence Nightingale, la fondatrice della moderna scienza infermieristica, e sua collaboratrice durante la disastrosa guerra di Crimea. Donna pratica e sola, sa il fatto suo e non si lascia suggestionare da superstizioni e fantasticherie. È proprio un tipo così che ci vuole per esercitare un’opera di sorveglianza su una bambina di undici anni che il sovreccitato misticismo popolare vorrebbe santa e misteriosamente ispirata da Dio. Subito si entra nel meccanismo del delitto nella stanza chiusa. Tutte le possibili fonti di cibo sono controllate, tutti i familiari sottoposti a sorveglianza. Sembra che sia del tutto impossibile, per la bambina, ricevere una qualsiasi forma di nutrimento. Ma lei è serena: sorride, prega, e dice che sta bene così.
   Come in un giallo, ci sono indizi da analizzare e un ampio stuolo di sospettati che potrebbero essere autori o complici di una gigantesca truffa. Infatti la fama della bambina santa si è estesa oltre confine, e pellegrini devoti stanno arrivando perfino dall’America. Tutti portano doni e offerte in denaro che, si dice, saranno devolute ai poveri.
    L’infermiera tiene gli occhi aperti, diffidando perfino dei suoi stessi alleati. La suora che si alterna a lei nella sorveglianza ininterrotta, per esempio, potrebbe avere le sue ragioni per avallare la certificazione del “miracolo”. Lo stesso vale per il parroco e per il medico locale, che è convinto di essere sull’orlo di una sensazionale scoperta scientifica: un’evoluzione del metabolismo che consentirebbe di vivere senza mangiare. Le farneticazioni personali si aggiungono alle superstizioni di una popolazione ignorante e dominata da una religiosità sincretica, in cui il bigottismo cattolico (un segno di croce accompagna ogni gesto della giornata) si fonde con credenze relative a un invisibile stuolo di elfi e di fate che popolerebbe i boschi. Per la protagonista, ma anche per il lettore che si sente sempre più coinvolto, è un’immersione totale in una sorta di mondo alternativo e a suo modo affascinante, di cui si è costretti a penetrare le logiche.
   Lib sollevò il piattino, accorgendosi solo in quel momento che era sbreccato. “Qualcuno in questa casa ha nascosto del latte sotto la credenza”.
   Le labbra screpolate di Rosaleen O’Donnel si aprirono in un sorriso.
   “Posso solo presumere che vostra figlia venga a berlo di nascosto”.
   “E allora presumete troppo. Tutti, dalle nostre parti, lasciano il latte in cucina, di notte”.
   “Per le creaturine” disse Kitty ridendo, stupita dall’ignoranza della donna inglese. “Altrimenti si offendono e ti fanno il malocchio”.
   “Vorreste farmi credere che il latte è per le fate?”
   È una lettura avvincente che non perde un colpo, perché la meticolosità della protagonista nell’analizzare anche il più minuto elemento rende sempre più stringente l’enigma e sempre più alta la posta in gioco. Di pari passo con il coinvolgimento dell’infermiera, che rischia di superare l’ambito professionale per invadere la sfera personale, si affacciano interrogativi drammatici sul piano etico e umano. Questa bambina di undici anni è dunque un’incallita truffatrice o la vittima di un sistema perverso? Ed è giusto protrarre il controllo a oltranza a costo di mettere a repentaglio la sua vita, o è il caso di capire che se l’infermiera brava è quella ligia al dovere l’infermiera perfetta è quella che sa trasgredire quando è necessario? 
   Gran finale a sorpresa.

di Giovanna Repetto


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