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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Roberto D'Alessandro

Il trasloco del Vesuvio

Inknot , Pag. 440 Euro 18,00
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Forse ha ragione il commissario Sermoneta: quando è nel mare, nell’immenso mare, anche una bottiglia vuota, senza messaggio, ha la sua poesia. Giovanni Sermoneta, nato inquieto e con un’indole ossessiva, è il protagonista di questo Il trasloco del Vesuvio, primo romanzo di Roberto d’Alessandro. Il destino non lo ha aiutato di certo a Sermoneta e con lui non è stato dolce, visto che gli ha tolto il figlio e che Jaya, la moglie, lo ha lasciato. A lei, che gli manda messaggi al cellulare, lui risponde con frasi di Shakespeare. Fin qui però niente di nuovo: romanzi e film sono pieni di investigatori “sfigati” che più o meno consapevolmente cercano la seconda occasione. Quello che invece è nuovo e sorprendente è la Napoli che ci descrive D’Alessandro, una città immaginaria ricca di creatività e dove tutto funziona. Utopia e non caotica distopia perciò, un luogo che mantiene le sue bellezze e dove però la criminalità organizzata è ormai un lontano ricordo. Come è stato possibile tutto ciò? Grazie all’operato dell’Ufficio Concretezza, una specie supercircoscrizione nella quale lavora proprio Sermoneta, insieme al suo fido (ma neanche tanto) collega Zollo.
Sermoneta nel romanzo si trova a indagare su una strana morte, quella di una professoressa universitaria che però ha una dark side piccante. Subito dopo si aggiunge un altro morto e le cose si complicano. Sembra che dietro queste omicidi ci sia un movente che ha a che fare con il sesso, ma è così? E che c’entra quella bottiglia di urina trovata nel frigo sulla scena del delitto?
D’Alessandro se la sbriga bene (non è facile prendere per mano il lettore e condurlo per più di 400 pagine). E il capitolo finale, quello che poi in qualche maniera dà il titolo al romanzo, è una chicca che con la storia non ha nulla a che fare, ma è denso di quella filosofia napoletana, e che da solo vale il prezzo del libro. Ma siamo poi sicuri che non sia tutta lì la storia? Da leggere.

di Marco Minicangeli @gattospinoso


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